Cara Annarosa Macrì, avresti dovuto esser tu a rinunciare a collaborare con un giornale che, tra l’altro, non paga

Giornalisti: il cattivo esempio di lavorare gratis

Annarosa Macrì

Cara Annarosa, se mi avessi scritto nell’immediatezza dei fatti, non avrei potuto esimermi dal concederti qualche “attenuante generica”. Avendolo fatto dopo 11 giorni dalla pubblicazione della notizia su “Giornalisti Calabria”, ti rispondo nei termini che merita chi ha avuto tutto il tempo e il modo per riflettere.
Ho sempre avuto grande stima nel tuo lavoro e non voglio credere che quanto avvenuto in questa circostanza possa essere frutto di ignoranza mista a malafede. Voglio, piuttosto, immaginare che l’intera vicenda sia riconducibile alla maldestra opera di qualche cialtrone che ha pensato di strumentalizzarti offrendoti errate chiavi di lettura.
Se così non fosse, infatti, da cittadino che paga regolarmente il canone della Rai comincerei ad avere qualche dubbio sulle tue capacità di analisi e di sintesi. Ho ricevuto la tua mail venerdì 18 maggio, alle ore 12.29, mentre nel salone della Fnsi, a Roma, partecipavo ai lavori della Commissione Lavoro Autonomo, conclusasi in serata. Il tempo per rientrare a Reggio e, l’indomani, dalle 8, ho partecipato ai lavori dell’Assemblea regionale dell’Ussi Calabria, protrattasi sino alla tarda serata di sabato.
Ti avrei scritto ieri stesso, al massimo oggi, in privato, come hai fatto tu inviandomi la lettera – su una mail personale a conoscenza di una ristrettissima cerchia di persone – indirizzata a me e, per conoscenza, al presidente della Fnsi, Roberto Natale. A proposito: perché solo al presidente della Fnsi e non al segretario generale, Franco Siddi, che è la massima autorità della Federazione Nazionale della Stampa, della quale guida l’azione sindacale ed ha la rappresentanza legale?
Una lettera privata, inviata ad un mio indirizzo privato che – ritenevo – richiedesse una risposta privata. In caso contrario, non comprendo per quale motivo ti sia procurata quel mio indirizzo privato, piuttosto che scrivermi ai due pubblicizzati su “Giornalisti Calabria”.
Invece ieri, alle 15.54, ricevo la telefonata – la prima di una lunga serie – di un collega che mi esprime solidarietà per quanto pubblicato in prima pagina dal direttore editoriale del “Quotidiano della Calabria” a corredo della tua lettera che – sottolineo – aveva per destinatari solo me e Natale.
Ringrazio il collega e, nel pomeriggio, mi procuro copia del giornale che – confesso – non compro più da quando non paga i giornalisti, spesso mortificati nelle loro funzioni, non rispetta il contratto nazionale di lavoro, sfrutta i corrispondenti e i collaboratori, chiede ai redattori di sottoscrivere “transazioni” con “rinuncia a ogni e qualsiasi pretesa connessa al risarcimento di differenze di retribuzione spettanti per lavoro ordinario, straordinario o notturno, per inquadramento, trasferte, missioni, ferie, festività, permessi, riposi, mensilità aggiuntive ed altri istituti indiretti, comprese le eventuali differenze sul calcolo del Tfr, nonché a ogni altra indennità e istituto previsto dalla contrattazione collettiva e/o aziendale applicata, ed ogni altro diritto di natura risarcitoria, anche a titolo di danno, biologico e/o mobbing, contrattuale od extracontrattuale, anche derivante dall’art. 2087 cod. civ., con rinuncia ad ogni azione di accertamento o di condanna, anche generica, avente ad oggetto i diritti ora menzionati, o con questi connessa…”.
Un giornale che vede il Sindacato Giornalisti della Calabria, la Fnsi e le rappresentanze sindacali aziendali, provinciali e regionali al fianco di giornalisti, grafici, poligrafici e amministrativi in stato di agitazione, tra l’altro, per gli stipendi e le spettanze non corrisposti ai redattori e ai collaboratori e il mancato riallineamento del contratto di lavoro. Una situazione drammatica che, il 9 maggio scorso, ha costretto l’assemblea ad affidare al sindacato – a tutto il sindacato – un pacchetto di tre giorni di sciopero.
Ti ringrazio, dunque, cara Annarosa della scelta di fare della vicenda una “piazzata” offrendomi, così, la possibilità di esprimere alcune considerazioni in vista dell’incontro di oggi con l’editore del “Quotidiano della Calabria” che, questa volta, non potrà certo prendersela con il sindacato o i suoi giornalisti per aver affrontato pubblicamente i problemi della sua azienda.
Con estrema franchezza, sono costretto a farti notare che l’intera lettera recante in calce la tua firma è – mi limito a dire – a dir poco imbarazzante. 
Innanzitutto perché il sindacato non è affatto “sceso in campo”, né – come, invece, falsamente affermi – io ho chiesto “un parere asettico a un supertecnico”.
“Giornalisti Calabria”, il quotidiano d’informazione per il mondo dell’informazione, che non spetta a me ricordare quanto venga apprezzato a livello nazionale per il servizio che offre, si è limitato a pubblicare un’email, ricevuta il 7 maggio alle ore 7.33, costituita da un dispaccio dell’Ansa – opportunamente citata – e dal relativo commento del presidente emerito dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Una notizia, dunque, che abbiamo deciso di pubblicare senza entrare nel merito della vicenda.
Nella tua infelice considerazione “hai perso una buona occasione, anzi due: quella di tacere” vorresti, forse, dirmi che l’alternativa al non schierarsi dalla tua parte sarebbe stata censurare la pubblica nota di Franco Abruzzo? E questo perché, secondo te, essere iscritta al Sindacato ti autorizza a pretendere da me una posizione “a prescindere”?
Innanzitutto – ti faccio notare – il Sindacato era completamente all’oscuro della vicenda perché da te mai investito, né informato sui fatti. Nè mi hai mai messo a conoscenza di un tuo contenzioso approdato in Commissione Paritetica che, tra l’altro, come ricordi è di pertinenza della Rai e dell’Usigrai, quindi non coinvolge, né informa, il sindacato dei giornalisti che in caso di tua richiesta si sarebbe, comunque, attivato come ha sempre fatto a tutela di tanti altri colleghi della Rai.
Parli di una “parabola” di quindici mesi di “imbavagliamento” nei tuoi confronti? Denunciata a chi? Da parte tua – lo sai bene – non c’è mai stata una sola segnalazione, né scritta, né verbale, al nostro Sindacato, al nostro Ufficio Legale, tantomeno al sottoscritto, e ti permetti di accusarmi pubblicamente di non averti difeso?
A memoria d’uomo, ricordo solo due telefonate da te ricevute: per segnalare l’uscita di un tuo libro e per invitarmi alla presentazione dello stesso. Avessi, ad esempio, mandato anche a noi l’interrogazione parlamentare, l’avremmo pubblicata il giorno prima senza il commento di Abruzzo e la storia, magari, sarebbe finita lì. L’abbiamo, invece, ricevuta da Franco Abruzzo e, giornalisticamente, abbiamo ritenuto doveroso pubblicare le due posizioni. Punto.
Mi poni cinque domande e seguito a risponderti. Non sono un attento lettore di giornali regionali perché – ti ripeto – non compro quelli che non pagano i giornalisti. In passato compravo tutti i quotidiani calabresi, oggi compro solo la “Gazzetta del Sud”, l’unico che rispetta il contratto di lavoro, le relazioni sindacali, la dignità di chi lavora e, soprattutto, che paga tutti i contributi e le spettanze di quanti, con serietà e sacrificio, contribuiscono a mandare in edicola giornali i cui editori, invece di cospargersi di cenere il capo, chiedendo scusa ai lavoratori che non hanno più i soldi per pagare bollette e mutui e sono costretti a unire il pranzo alla cena – quando ci riescono-, si permettono di fare la voce grossa.
Non so se – come dici – qualche altro caporedattore della Tgr scrive sul “Quotidiano della Calabria” perché, ti ripeto, è un giornale che non leggo. Nel caso in cui, però, ci fosse, per lui varrebbero lo stesso ragionamento e la stessa richiesta: rinunci alla collaborazione.
Dovresti insegnarmi, avendo lavorato con Enzo Biagi, che giornalisticamente non è corretto non fare nomi e sparare nel mucchio. Sono certo, comunque, che tra essi non ci sia quello del caporedattore della Tgr Calabria, Annamaria Terremoto, che cito per non coinvolgerla in una disinvolta generalizzazione su fatti relativi alla Calabria.
Il tuo problema, cara Annarosa, è legato all’articolo 8 del contratto che – piaccia o meno – prevede che:Nessun giornalista può contrarre più di un rapporto di lavoro regolato dall’art.1 (rapporto a tempo pieno). Il giornalista quando sia stato assunto per prestare esclusivamente la sua opera ad un’impresa giornalistica o agenzia di informazioni per la stampa, non potrà assumere altri incarichi senza esserne autorizzato per iscritto dal direttore, d’accordo con l’editore. Se al giornalista non assunto in esclusiva sia, in costanza del rapporto, richiesta la prestazione esclusiva, sarà dovuto un superminimo non inferiore al 13% da calcolarsi sul minimo di stipendio della categoria alla quale il giornalista appartiene, salva la facoltà del medesimo di risolvere il rapporto di lavoro con diritto alle indennità di licenziamento (trattamento di fine rapporto ed indennità di mancato preavviso). In ogni caso il giornalista non potrà assumere incarichi in contrasto con gli interessi morali e materiali dell’azienda alla quale appartiene. Fatti salvi questi interessi, il giornalista potrà manifestare le proprie opinioni attraverso altre pubblicazioni di carattere culturale, religioso, politico o sindacale”.
Giusto o sbagliato, questo è il contratto di lavoro giornalistico Fieg-Fnsi. Si può essere d’accordo o meno. Io, ripeto, mi ero limitato a pubblicare una nota di Franco Abruzzo contenente una posizione a tuo sostegno – l’interrogazione – e il commento di Abruzzo che – ti ripeto – non ho richiesto, ma ho semplicemente ricevuto alla stregua dei circa diecimila destinatari del suo notiziario.
Oggi, chiamato in causa in questo modo a dir poco stravagante, ti dico che, in qualità di segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria sono obbligato – e guai se non lo facessi – a difendere il contratto di lavoro giornalistico che non può piacere solo nelle parti che fanno comodo. Se altri non rispettano le regole, contestiamole assieme, ma non pretendiamo di sentirci autorizzati a rubare perché gli altri rubano o di ammazzare per gli altri ammazzano.
Hai il privilegio di lavorare in Rai e di ricevere mensilmente delle indennità che i collaboratori del “Quotidiano della Calabria” non riuscirebbero a mettere assieme neppure in tutto il corso della loro vita. Ti sembra moralmente accettabile avere la garanzia di lavorare in un’azienda – la Rai – che ti assicura tutte queste – legittime, per carità – tutele e indennità e pretendere una collaborazione fissa su un quotidiano che non paga i giornalisti?
Il problema, cara Annarosa, non è se rinunci a percepire il compenso. E’ la continuità della collaborazione. Qui non si tratta di sentirsi imbavagliato per la censura alla pubblicazione di una lettera o di un intervento occasionale. Nel tuo caso si tratta – ripeto – di una collaborazione fissa, retribuita o meno che sia.
Non entro nel merito dell’obbligo, da parte di chi ha un contratto di esclusiva, di dedicare tutte le sue capacità intellettuali alla testata per cui lavora, mi limito a evidenziare se sia giusto che un editore utilizzi sistematicamente a fini di lucro – perché il giornale, ricordiamolo, è un’impresa economica non benefica – collaboratori, più o meno autorevoli, per riempire le pagine del proprio giornale di rubriche, commenti e articoli non retribuiti e scritti da giornalisti sfruttati e non pagati regolarmente – è il caso di tanti corrispondenti e collaboratori del “Quotidiano della Calabria” – o da chi – è il caso tuo, Annarosa – intende dilettarsi a scrivere avendo le garanzie e la tranquillità economica assicurate dalla Rai.
Il Sindacato, cara Annarosa, ha sempre combattuto contro quei giornali che, avvalendosi di insegnanti, bancari, assicuratori e via dicendo, riempiono le pagine dei giornali senza sborsare un centesimo. E senza versare nulla all’istituto di previdenza che, tra qualche anno, ti assicurerà un trattamento pensionistico che, per la maggioranza della categoria, costituisce sempre più un miraggio pari alla vincita della Lotteria di Capodanno.
A molti “giornalisti della domenica”, infatti, basta la gratificazione di un accredito allo stadio o a teatro, l’ossequio dei compaesani, la frequentazione con personaggi che contano. Questo, tanti editori lo sanno e facendosi forti di tanta “offerta di lavoro gratis” penalizzano, assimilandoli ad essi, tanti precari e tanti giovani che, invece, tentano di vivere esclusivamente di giornalismo.
Cara Annarosa, non è questo il giornalismo che il sindacato ha il compito e il dovere di difendere. Sono da sempre un convinto difensore dei pubblicisti, ma nel rispetto dei ruoli, delle regole e, soprattutto, della dignità umana e professionale del giornalista.
L’articolo 21 della Costituzione, dici bene, garantisce la libertà di pensiero, ma il giornalismo – e dovresti saperlo meglio di me – è ben altra cosa. Tu non sei un cittadino qualunque a cui viene impedito di esprimere liberamente il proprio pensiero, ma un giornalista. Una brava e seria giornalista che, soprattutto ai giovani, dovrebbe dare il più elementare degli esempi: non accettare di lavorare gratis. Soprattutto per quegli editori e quei direttori che calpestano il più elementare dei diritti: la dignità che, cara Annarosa, la nostra Costituzione pone ben 20 articoli prima di quello che si occupa della libertà di pensiero e di stampa.
La Costituzione della Repubblica Italiana, infatti, nell’articolo 1 dei Principi fondamentali, recita che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Quello che tu hai e quello che i giornalisti del “Quotidiano della Calabria” sognano.
Contrariamente a te, non avrei auspicato un tuo silenzio, ma un tuo autorevole intervento: di piena e convinta solidarietà ai giornalisti del “Quotidiano della Calabria” e di vibrata protesta nei confronti degli editori della Finedit e del direttore che li rappresenta in redazione, con una convinta rinuncia alla tua collaborazione.
Quanto all’editoriale del direttore del “Quotidiano della Calabria”, che dire? Si commenta da sè. Replicare sarebbe solo una mera perdita di tempo. Rileva che “Giornalisti Calabria” non si è occupato della vicenda di domenica pomeriggio, ma di averlo fatto il lunedì mattina “in apertura”.
Stendo un velo pietoso sulla questione dell’apertura perché, lo sanno anche i bambini, un giornale on line a ciclo continuo, come il nostro, è come un’agenzia di stampa, quindi non ha apertura, o meglio ogni notizia è di “apertura” fin quando non ne viene inserita una nuova.
Ritengo, invece, francamente provocatorio che il solerte “direttore” si preoccupi di contestarmi l’intempestivo aggiornamento domenicale che, comunque, spesso avviene regolarmente. “Giornalisti Calabria” non è un quotidiano generalista, ma un giornale specializzato che non è tenuto a inseguire la cronaca.
Ma visto che le domeniche stanno tanto a cuore al direttore del “Quotidiano della Calabria”, perché non rende noto l’ammontare dei compensi che vengono corrisposti ai suoi giornalisti per il lavoro domenicale, straordinario e festivo?

Carlo Parisi
***

La lettera di Annarosa Macrì

A Carlo Parisi
Segretario FNSI Calabria
e p.c. a Roberto Natale
Presidente Nazionale FNSI
Caro Segretario,
ho aspettato qualche giorno prima di scriverti, così la mia indignazione un po’ s’è sbollentata.
Ma non l’amarezza. Mai visto un sindacato, che decide di “scendere in campo” in una dolorosa vicenda che riguarda un suo iscritto, con tanta solerzia, peraltro non petita, per agitare come una clava un parere “tecnico” che praticamente dà torto ad un suo iscritto e, di conseguenza, ragione alla controparte.
Sono amareggiata e trasecolata. Credevo di avere problemi con la mia Azienda, non sospettavo di doverne affrontarne degli altri con il Sindacato che mi rappresenta. O meglio, dovrebbe rappresentarmi.
Con queste premesse non varrebbe neanche la pena di entrare nel merito della vicenda, dolorosa, insisto, che mi vede protagonista e vittima.
Lo faccio per chiarire che dell’esistenza dell’art.8, sul quale legittimamente hai chiesto un parere asettico a un supertecnico, certamente non a conoscenza dei dettagli della questione (i dettagli, sai come si dice, sono del diavolo!) è ben a conoscenza il Direttore del Quotidiano Matteo Cosenza, che non è nato ieri: è lui per primo, infatti, a citarlo nel suo editoriale e a porlo alla base del  ragionamento sul suo discutibile utilizzo da parte della Direttore di Testata.
Un sindacato, caro Segretario, dovrebbe occuparsi (e preoccuparsi) se questo art.8 viene adoperato come mezzo di censura o di discriminazione. Sennò, che ci sta a fare? Per farsi dire da un tecnico che l’art. 8 esiste? Sai che responso! La verità è che l’art.8 non è un totem né un tabù: è uno strumento che qualche volta non viene usato correttamente. E se è così un sindacato che si rispetti prova a fare il suo mestiere e cerca di andare a fondo.
Secondo me, caro Segretario, in questa storia hai perso una buona occasione, anzi due: quella di tacere, se, per qualunque motivo, tu fossi stato in disaccordo con me, che, in fondo, resto (?) sempre (?) uno dei tuoi iscritti. E un’altra: quella di chiamarmi al telefono, fare una civile chiacchierata e chiedermi lumi sui dettagli (che, ricordati, sono del diavolo!) di questa vicenda che, forse, ti sono sfuggiti.
1. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei attento lettore dei giornali regionali che un autorevolissimo caporedattore della Tgr scrive regolarmente sullo stesso giornale al quale a me viene impedito di farlo?
2. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei attento lettore dei giornali nazionali che sono moltissimi i giornalisti della Rai che ci scrivono come collaboratori?
3. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei attento sindacalista, che la mia vicenda è oggetto in Commissione Paritetica di discussione tra la Rai e l’Usigrai, che, convenientemente, non si è appellato affatto all’art.8?
4. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei attento difensore di diritti, che la parabola, ormai lunga quindici mesi del mio “imbavagliamento”, scusami non posso non chiamarlo così, ha toni, modi e tempi di una persecutio ad personam?
5. E’ necessario che sia io a ricordare a te, che sei cittadino e non suddito, che a nessuno può essere impedito un diritto (quello di esprimersi liberamente è regolato dall’art. 21 della Costituzione, assai più cogente, credo, dell’art. 8 del nostro contratto) senza che sia data alcuna motivazione?
Vorrei informarti che ho deciso di portare in Tribunale questa vicenda.
Immagino che vorrai esserci anche tu e testimoniare, caro Segretario, e non oso immaginare a favore di chi.
Ti auguro buon lavoro e ti ringrazio
Annarosa Macrì

LA MAIL DI FRANCO ABRUZZO

LA NOTA DI FRANCO ABRUZZO



3 commenti:

  1. Giuseppe Galante

    Piena solidarietà al Segretario Carlo Parisi, la vicenda è veramente paradossale.

  2. Caro Carlo, come non essere d’accordo su quanto esponi e chiarisci in merito ad una vicenda che definire vergognosa è soltanto un eufemismo. Ciò, nella pura consapevolezza che quanto affermo non è dettato da ottusa partigianeria o, peggio, da servile accondiscendenza, ma dalla seria consapevolezza che in un mondo pregno di disvalori spesso è facile fare confusione tra il giusto ed il disonesto.
    Da modesto operatore dell’informazione (minore, come qualcuno sostiene, trattando io – come ben sai – prevalentemente di sport), e per giunta pubblicista, conosco benissimo la situazione in cui si dibatte chi ha la ventura (o sventura, fai Tu) di collaborare con editori di siffatta pasta. Cito, ad esempio, soltanto alcune di quelle testate (per le quali ho speso tempo, denaro e – aggiungo – risorse mentali e fisiche), che mai (o quasi) hanno rispettato la dignità, la professionalità ed il lavoro altrui, calpestando il tutto come fosse cicca di sigaretta su un qualunque marciapiedi.
    Tu ben conosci la vicenda de “Il Patto”, organo di partito (editore sconosciuto, redazione idem ed i vari tentativi, anche solo conciliativi, andati a vuoto), poiché ho investito della vicenda il Sindacato di cui sei segretario, che mai ha onorato gli impegni – che pure aveva assunto – nell’incaricarmi della stesura di articoli vari (politica, cronaca nera ecc.). Di remunerazione, di vile denaro, direbbe qualcuno, neanche l’ombra.
    Interviste a politici (che, qualunque giornalista, ancorché mediocre, sa richiedere tempi biblici, aspettando il “fortunato” di turno districarsi tra impegni istituzionali (sic!) e molesti ed ignobili individui alla ricerca di oboli e prebende. Quindi ore sottratte ad altri impegni, fossero anche soltanto di natura ludica, da potere impiegare in attività ben più concrete e soddisfacenti dal punto di vista personale.
    E, ritornando agli ineffabili editori, che dire del “Domani della Calabria”? Oltre 40 articoli in cerca, non di autore, di pirandelliana memoria, ma della giusta ed equa retribuzione, dalla loro ultradecennale stesura. E l’elenco potrebbe continuare, ma sarebbe solo inutile esercizio mnemonico ed inopportuna elencazione di testate che non meritano una seppur fugace citazione, per non dire la perdita del mio (e Tuo) prezioso tempo.
    La passione e l’amore per una professione (seppure non prevalente, per fortuna mia, sennò sai lo scialo) che meriterebbe migliore sorte e più ampia considerazione, anche dagli stessi appartenenti alla classe giornalistica, che sacrificano la propria dignità umana e professionale sull’altare del dio denaro. Che, anche per indole e vocazione, svergognano una categoria che ha annoverato nelle sue fila persone di illustre lignaggio, infischiandosene di esporsi a censure e/o disapprovazione, proiettando sinistre ed equivoche ombre su tutti gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Penso a quei colleghi (?), soprattutto radio-televisivi, impegnati nel vomitare ogni tipo di contumelia, ogni sorta di spregevole esibizione, ogni specie di vaneggiamento, tipico delle persone rozze ed incivili, pur di raggiungere, Dio solo sa quale, il loro ignominioso fine.
    In questo variegato mondo trovano albergo anche quelli che per soddisfare il proprio incommensurabile io si propongono, per dirla con De Andrè, cioè passano sulla testa di quei colleghi che pure collaboravano, anche da decenni, con giornali noti e meno. Sono quelli la cui dignità è pari allo zero assoluto, nichilisti dell’ultima ora che negano anche la loro stessa esistenza per il solo loro apparire; generano, quindi, sconforto ed annientamento della volontà altrui. Professionisti dello spennellare il deretano dei potenti e non sempre per fini di lucro. Amebe il cui trasformismo risulta talmente rapido che fissarne l’immagine risulta una vera e propria esercitazione tanto vana quanto inutile.
    Con stima
    Ruggero Rizzi

  3. Bianca Maria Ciardullo

    Perchè la giornalista Rai dovrebbe scrivere per il Quotidiano? Se lo fa per arrotondare le sue entrate, che sicuramente sono buone perchè mamma Rai paga bene, mi sento indignata perchè ciò che deve essere dato a lei, potrebbe andare ad un giornalista precario. Non si devono accentrare in poche persone redditi e lavori, è deleterio perchè crea un accentramento di potere economico ed informativo, in più si deve dare la possibilità ad altri, magari anche più giovani della signora in questione, di esprimersi e guadagnare. Se invece lo fa per esprimere il suo pensiero ed in maniera gratuita, potrei accettarlo in parte perchè, fermo restando il rispetto per la libertà di opinione e la sua manifestazione ovunque, rimane il fatto che ella potrebbe lasciare la Rai, che evidentemente da questo punto le va stretta, e scrivere con tutte le testate che vuole, gratis o non. Invece sembra che la giornalista voglia tenersi stretto il posto Rai ben retribuito e che per meglio esprimersi cerchi un’altra opportunità anche gratis. Significa tenere il piede in due scarpe, e soprattutto significa togliere denaro, se viene pagata dal Quotidiano, e spazio, se non viene pagata, a chi è povero precario e solo perchè non è firma Rai o altro, non può né esprimersi né campare. In ultima analisi, dopo l’editoriale di Cosenza e l’intervento di Laratta, si capisce che tra la Rai e la giornalista non v’è il feeling dovuto, continuare a rimanervi a questo punto in cui sono state fatte chiaramente intendere tante cose, equivale a voler rimanervi esclusivamente per lo stipendio. Infatti se la signora ha l’esigenza di scrivere altrove significa che in Rai ciò non glielo permettono, allora perchè rimanere in un’azienda-regime?

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