E’ ormai sin troppo evidente che gli unici giornalisti “buoni” sono quelli che fungono pedissequamente da cassa di risonanza di questo o quel potere, che ossequiano acriticamente qualunque rappresentante del potere costituito, che non si pongono problemi di qualità e dignità del proprio lavoro e che allegramente si adagiano sul ruolo di passacarte o passa-dichiarazioni.
Se ci fosse stato qualche dubbio in tal senso, nonostante le tante reprimende, dichiarazioni di fuoco, manifestazioni di irritazione che sono venute nel tempo soprattutto dal mondo della politica, è arrivato ora il passaggio della relazione della Direzione Nazionale Antimafia nel quale, con un linguaggio in verità un po’ curiale e vagamente assimilabile al politichese, si bacchettano quei giornalisti calabresi che “alimentano polemiche e dibattiti che, partendo da una legittima visione garantista del processo penale e dal doveroso ed irrinunciabile rispetto degli indagati e degli imputati, sposta il fuoco dell’attività giornalistica su polemiche, pro o contro i pubblici ministeri, pro o contro quell’imputato, che alla fine, ancora una volta, oggettivamente, fanno passare in secondo piano la vera origine dei drammatici problemi calabresi”.
Un passaggio che ha spinto già autorevoli colleghi a parlare di tentativo di “sospendere la libertà di stampa in Calabria e forse persino la libertà di opinione” con l’invito all’ex Capo della Dna, Piero Grasso, oggi candidato del Pd ma regnante all’epoca della stesura della relazione, ad intervenire e fare chiarezza.
Certo, è utile sapere se il passaggio contenuto nella relazione sia condiviso da Grasso oppure sia solo il frutto di una lettura distratta della relazione predisposta da altri. Così come è importante sapere se il Csm ed il suo capo, cioè il Presidente della Repubblica, condividano il passaggio stesso.
Nell’attesa è appena il caso di ricordare che le polemiche tra pm e tra giudici non sono il frutto di esagerazioni o invenzioni giornalistiche ma un dato, questo sì oggettivo, rinveniente da dichiarazioni, posizioni o iniziative che il mondo giornalistico si limita a riferire, naturalmente sentendosi libero, fino a quando qualcuno non deciderà che la libertà di stampa in Italia non è più in vigore, di esprimere valutazioni o di fare commenti.
Così come è il caso di ricordare che i giornalisti calabresi sono stati sempre in prima linea, naturalmente dalla propria postazione, che è diversa da quella di forze dell’ordine e magistrati, nel denunciare i fenomeni criminali che condizionano la vita civile nella nostra regione. Tanto che sono molti i giornalisti calabresi fatti oggetto di minacce ed intimidazioni anche gravi da parte di esponenti della ndrangheta.
Contro queste intimidazioni i giornalisti calabresi intendono continuare a battersi con forza, unitamente a quanti, per la specificità del proprio lavoro, sono chiamati ad interdire quotidianamente l’invasività e l’aggressività della malapianta mafiosa. Malapianta che si combatte anche con il coraggio di esprimere sempre e liberamente le proprie idee, anche se questo non piace a qualcuno o a tanti.