CROTONE – “Un salto lungo come la civiltà d’Occidente…dalla Magna Grecia ad oggi, tutto sommato, per fare sempre la stessa cosa: il vino per gli uomini, l’unica specie che beve non solo perché ha sete”. Ce lo racconta con minuzie che ci fanno persino sognare quel lungo salto nella storia, Virgilio Squillace, giornalista di lungo corso e dalla rara sapienza, nel suo libro “I vignaioli del Cirò”, edito da Rubbettino.
In realtà, quello di Squillace – un brillante excursus giornalistico, dal Giornale di Calabria a Paese Sera e al Corriere della Sera, con corrispondenze dalla Calabria, sino ai 20 anni, gli ultimi, che lo hanno visto responsabile della redazione di Crotone, la sua città, e provincia della Gazzetta del Sud – è molto più di un libro sul vino calabrese famoso nel mondo e sui suoi produttori, 40 viticoltori riuniti dal 2008 nell’Associazione “I vignaioli del Cirò”. Appunto. Che, ammonisce subito Squillace, non è un circolo culturale, quanto piuttosto “un’associazione che ha finalità pratiche immediate: incentivare la qualità del vino prodotto nel territorio di Cirò, valorizzare le produzioni viticole, promuovere la formazione e l’aggiornamento per sviluppare una moderna imprenditorialità, organizzare degustazioni e momenti culturali qualificati, studi e ricerche per perseguire gli scopi sociali”. In una terra, ricca e misera ad un tempo, benedetta e martoriata, qual è la Calabria dove Dio solo sa se di queste iniziative, che significano voglia di fare, lavorare, crescere, intraprendere, c’è un grande, profondo, sincero bisogno. Ecco che il giornalista Squillace, novello Virgilio nelle pieghe della sua terra, ci conduce in un viaggio straordinario in mezzo alle vigne, tra i filari da cui si vede il mare, in mezzo agli uomini e alle donne che, oggi come duemila e settecento anni fa, con la loro intelligenza trasformano “al meglio ciò che la terra dà spontaneamente”. Perché “solo fra le dita del vignaiolo esperto la vite si lascia andare alla magia del vino”.
I primi a capire che “i venti freschi provenienti da nord e dai Balcani, impregnati della salsedine accumulata nell’attraversare il mare, si caricavano diventando una sorta di microscopico aerosol che depositandosi sulle viti le proteggeva da malattie e parassiti” furono i greci. Oggi ci sono intere famiglie calabresi, dai Librandi ai Porti, ai Calabretta, agli Scilanga, ai d’Agostino – solo per citarne alcuni –, senza dimenticare Salvatore Mezzotero che, a 86 anni, “ha un solo cruccio: i miei figli non mi hanno seguito”. Uomini e donne, vale la pena ripeterlo, che la vigna ce l’hanno nel sangue e la passione se la tramandano – quasi sempre – di padre (o madre) in figlio (o figlia). E con quella passione lavorano ogni giorno a Cirò e dintorni per produrre dal gaglioppo, il vitigno da cui “nasce” il Cirò, l’omonimo vino che è il primo vino calabrese ad aver ottenuto, nel 1969, la Denominazione di Origine Controllata. Un vino, ricorda, attraverso la penna di Virgilio Squillace, Nicodemo Librandi – a cui si devono le meravigliose foto dei vignaioli del Cirò che completano il volume – dal “sapore asciutto con decisione, stoffa calda e pieno carattere”. Così, ci rammenta Librandi, scrisse Luigi Veronelli nel descrivere il Cirò Riserva Duca Sanfelice. (giornalistitalia.it)
Nicoletta Giorgetti