Legge non approvata e norma deontologica non applicata: cosa non va in materia di precariato giornalistico

Giornalisti: perché il Governo frena sull’equo compenso?

Il Senato della Repubblica

Dario Fidora

Dario Fidora
PALERMO – Continua ad andare in scena secondo copione, nei teatri della politica italiana, il dramma della precarizzazione nel settore dell’informazione. Mentre la fine della legislatura è sempre più vicina, la riunione del comitato ristretto della commissione Lavoro del Senato viene “sconvocata” (terribile termine tecnico rinvenuto negli atti parlamentari ufficiali) rimandando così a data da destinarsi la prevista discussione del testo sull’equità retributiva dei giornalisti.
Nel frattempo il Governo ribadisce la sua posizione contraria all’approvazione, rispondendo ad un’interrogazione che l’on. Teresa Bellanova, il 2 ottobre, aveva rivolto al ministro del Lavoro sulla proposta di legge per l’equo compenso ancora ferma al Senato: “Il precariato giornalistico ha delle specificità e deve essere trattato attraverso un provvedimento specifico affinché la libertà d’informazione e di autonomia del giornalismo spesso invocata e troppo poco praticata trovi finalmente spazio”.
Il ministro Martone, a nome del Governo, il 16 ottobre ribadisce la necessità di “armonizzare la disciplina di questo settore con il quadro ordinamentale complessivo”, e la posizione contraria già espressa dal ministro Fornero. Gli emendamenti alla proposta di legge approvata la scorsa primavera dalla Camera sono già pronti per l’esame in Commissione, annuncia Martone, “il presidente Giuliano, anche nella veste di relatore del provvedimento, ha elaborato, in sede di comitato ristretto, una proposta di modifica del Ddl 3233, che sarà sottoposta all’esame della 11ª Commissione del Senato” anche se, sottolinea, “i rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Dipartimento dell’informazione e dell’editoria hanno già evidenziato alcuni profili di criticità fra la proposta di legge in esame e la legge n. 92/2012”.
L’aspetto denunciato dai giornalisti freelance e precari come scandaloso va oltre il dover subire che sul principio stesso dell’equo compenso ci debba essere un “accordo politico”. I conflitti normativi invocati sono del tutto fuori luogo poiché la materia d’intervento riguarda non il libero mercato, ma l’assistenza economica pubblica a datori di lavoro che generalmente trattano i loro collaboratori con iniquità. Perché mai una Repubblica fondata sul lavoro dovrebbe dare denaro pubblico a chi sfrutta i lavoratori? Non c’entra affatto invocare il libero accordo tra le parti quando si parla di contributi da parte dello Stato, che non debbono affatto essere elargiti agli editori a pioggia ma a condizione del rispetto dei principi fondamentali di equità e dignità.
Con questa premessa, sugli emendamenti al testo approvato dalla Camera i rumors riguardano soprattutto il drastico rimaneggiamento dell’articolo 3. Quello approvato a Montecitorio riporta semplicemente: “A decorrere dal 1º gennaio 2012 l’iscrizione nell’elenco di cui all’articolo 2, comma 3 (l’elenco degli editori che osservano l’equo compenso, ndr), è requisito necessario per l’accesso a qualsiasi contributo pubblico in favore dell’editoria”.
Nei primi giorni di agosto inizia a circolare ufficiosamente un testo emendato in cui l’art. 3 viene così modificato: “A decorrere dal 1° gennaio 2013 la mancata iscrizione nell’elenco di cui all’articolo 2 per un periodo superiore ad un anno dalla prima pubblicazione di tale elenco determina la decadenza del contributo pubblico in favore dell’editoria fino alla successiva iscrizione”.
E’ evidente che questa stravolgente versione emendata di testo disinnesca l’efficacia della legge. Una cosa è stabilire che corrispondere compensi equi è requisito necessario per avere contributi pubblici, altra cosa è concedere a chi sfrutta una moratoria di un anno tra una iscrizione e l’altra nell’elenco. Per esempio, non è affatto così che funziona il rilascio del Durc (Documento unico di regolarità contributiva). L’ottemperanza non può essere intermittente.
Lo stesso testo emendato diffuso ufficiosamente lo scorso agosto conteneva un’altra modifica stravolgente nell’art. 1, dove l’equità retributiva veniva stabilita non più “in coerenza” con i compensi del vigente contratto di lavoro giornalistico ma “tenendo anche conto” del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico, espressione assai più sfumata.
Lo scenario dell’equo compenso e precarizzazione del giornalismo contiene un enorme fattore d’incertezza e imbarazzo del tutto interno alla categoria: l’impasse nell’applicazione della Carta di Firenze. Lo scorso anno, con la motivazione di voler anche supplire a una, nei fatti, generale mancanza o inefficacia di interventi concreti a tutela dei lavoratori autonomi sfruttati, l’Ordine dei giornalisti ha promosso l’iniziativa di una fase partecipativa di base nella elaborazione di una carta deontologica sulla precarietà.
L’assemblea nazionale dei giornalisti freelance e precari convocata a Firenze il 6 ottobre 2011 ha discusso e approvato il testo della Carta la cui bozza era stata redatta da un tavolo di lavoro Ordine-Sindacato formato tra il gruppo sul precariato del Cnog e la commissione lavoro autonomo della Fnsi.
A fronte della grandissima aspettativa da parte dei freelance e precari, a più di un anno dall’assemblea di Firenze la Carta è rimasta “sulla carta”. Si ha informale notizia di pochissimi procedimenti iniziati. Volendo cercare di spiegare il flop, è del tutto evidente che dall’entrata in vigore della normativa il 1° gennaio 2012 l’esistenza conclamata di condizioni di sfruttamento economico a partire dalle maggiori redazioni nazionali, comprovate anche attraverso tariffari di dominio pubblico, avrebbe dovuto dare luogo a centinaia di iniziative d’ufficio da parte di ciascun consiglio regionale e di specifica denuncia testata per testata da parte degli stessi organismi del Cnog e dei loro componenti. Invece, perfino la recente elaborazione e diffusione di un modello-tipo per fare l’esposto è frutto della buona volontà di un gruppo di colleghi.
A chi obietta che non esistano riferimenti sulla “reale consistenza economica dell’equo compenso” basterebbe ricordare che nell’ultimo Tariffario ufficiale dell’Ordine dei giornalisti, quello del 2007, il compenso dichiarato congruo di importo più basso è di 25 euro. Come può, quindi, oggi non essere dichiarato iniquo un pagamento addirittura di 1-2-5 euro ad articolo?
Inoltre, non è stato mai insediato l’organismo nazionale espressamente preposto all’applicazione della Carta, l’Osservatorio sulla dignità professionale”. Eppure questo organismo è previsto debba anche farsi carico di valutare, elaborare e proporre al Cnog eventuali aggiornamenti della Carta, a partire dagli emendamenti richiesti dal Consiglio nazionale della Fnsi e non ancora recepiti.
E’ stata già segnalata al Cnog da parte di organismi sindacali non solo la necessità di provvedere all’insediamento dell’Osservatorio nazionale ma l’opportunità di promuovere anche analoghi organismi su base territoriale, visto che la competenza spetta agli ordini regionali.
E’ evidente che non basta affatto mettere su carta principi ampiamente condivisi ma costruire strumenti operativi concreti. Non basta il contentino di una qualsiasi norma che resta in un cassetto, peraltro assistendo alla disputa tra chi reclama primogeniture, leadership, meriti e accusa gli altri di essere ladri di medagliette. Bisogna cercare l’unità della categoria e recuperare la dignità professionale denunciando l’illegalità che conosciamo tutti, dove esiste, redazione per redazione. Tutto il resto è propaganda.

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