Nel corso del 2011 l’Ordine dei giornalisti del Veneto ha definito 44 fascicoli disciplinari aperti anche d’ufficio

Pubblicista radiato: gli articoli non erano suoi

Gianluca Amadori

Mohamed Hamed

VENEZIA – Nel corso del 2011 il Consiglio regionale dell’Ordine dei giornalisti del Veneto, presieduto da Gianluca Amadori, ha preso in esame e definito 44 fascicoli disciplinari, relativi a presunte violazioni commesse da giornalisti iscritti nell’Albo professionale, denunciate attraverso esposti e segnalazioni (pervenute da lettori/radio-telespettatori, colleghi, avvocati, Giudici, Garante della privacy, Tutore dei minori etc.), oppure acquisiti d’ufficio nel corso dell’attività di monitoraggio.
Le sanzioni inflitte sono state 16: 1 radiazione, 1 sospensione dalla professione per sei mesi, 1 censura, 3 avvertimenti scritti e 10 avvertimenti verbali, comminati direttamente dal presidente, secondo quanto previsto dall’articolo 52 della Legge Professionale, con richiamo all’osservanza dei doveri professionali. Le archiviazioni sono state 28.

 Seguono le “massime” relative ai 9 provvedimenti emessi nel secondo semestre del 2011.
RADIAZIONE – Il giornalista pubblicista padovano Mohamed Ahmed è stato radiato dall’Albo dei giornalisti del Veneto per aver ottenuto l’iscrizione all’Ordine presentando “documentazione non redatta dallo stesso e non corrispondente all’effettivo lavoro svolto nel biennio precedente, bensì articoli di servizi rielaborati da altra persona e riprodotti in lingua italiana scritta (non conosciuta dal giornalista), nonché omesso di riferire dei vari precedenti penali a suo carico, facendo cadere volontariamente in errore il Consiglio circa la sua persona, le sue capacità e l’effettivo lavoro svolto”.
Nel corso del procedimento, il giornalista non ha risposto alle richieste di chiarimento avanzate dal Consiglio e non si è presentato all’audizione alla quale era stato convocato in sede di procedimento disciplinare. Contro la radiazione potrà presentare ricorso al Consiglio nazionale.
PRIVACY – 
Un collega professionista di Treviso è stato sanzionato con l’avvertimento in relazione ad un articolo che forniva dati anagrafici e numerosi altri elementi identificativi di una persona deceduta mentre si trovava appartato in auto assieme alla signora con cui intratteneva una relazione, in violazione della legge sulla Privacy e delle norme relative all’essenzialità dell’informazione sancite dall’articolo 6 del Codice deontologico.
La vittima non era personaggio pubblico, né persona conosciuta e, di conseguenza, sarebbe stato necessario garantire la riservatezza dei particolari relativi alla sua vita privata – oltretutto riguardanti le abitudini sessuali, che godono di particolare tutela nell’ambito del Codice della Privacy.
Non solo: l’articolo in questione ha violato anche la privacy della moglie della vittima, peraltro del tutto estranea al fatto di cronaca (il decesso del marito), resa perfettamente riconoscibile anche attraverso l’indicazione di una serie di dati relativi alla sua persona, tra cui il tipo di lavoro svolto. Tutti elementi non essenziali alla cronaca giornalistica.
La normativa sulla Privacy è precisa e la giurisprudenza in materia ormai consolidata: il giornalista è tenuto a dare le notizie limitandosi a quanto essenziale, evitando di estendere le cronache a persone estranee, in particolare quando tali notizie riguardano sfere delicate – e che, in quanto tali, godono di maggior tutela – quali i dati giudiziari e sensibili, e in particolare quelli relativi alla salute e alle abitudini sessuali. Specifica tutela gode anche il domicilio personale: di conseguenza non è corretto citare indirizzo di casa di persone oggetto di cronaca, se tale elemento non è strettamente essenziale. E’ corretto, ad esempio, citare l’indirizzo di un’abitazione nella quale è stato commesso un delitto, oppure è stata sequestrata droga. Ma non è consentito indicare l’indirizzo di residenza privato di una persona indagata se il dato relativo all’abitazione non è in alcun modo pertinente alla notizia: il domicilio, infatti, gode di tutela costituzionale. Si raccomanda pertanto ai colleghi una particolare attenzione.
MINORI – 
E’ stato comminato un avvertimento a due professionisti trevigiani in relazione ad alcuni articoli riguardanti un episodio di cronaca di cui erano protagoniste due minorenni, rese riconoscibili e identificabili. 
I colleghi sono stati richiamati all’osservanza degli obblighi stabiliti dalla Carta dei doveri del giornalista del 1993 (capitolo “Minori e soggetti deboli”) e dall’articolo 7 (Tutela del minore) del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica del 1998, allegato al Codice della privacy; nonché a quanto previsto dalla richiamata Carta di Treviso in merito alle notizie  riguardanti i minori.
La normativa e la giurisprudenza in materia di dati personali relativi a minorenni è ormai consolidata e precisa: non devono mai essere forniti elementi che possano portare all’identificazione di un minorenne al fine di tutelarlo ed impedire che la pubblicazione di una notizia possa in qualche modo nuocere all’armonico sviluppo delle personalità dei minori, in relazione alla loro vita e al loro processo di maturazione.
Dunque non deve essere pubblicato il nome, ma neppure i nomi di genitori e parenti, l’indirizzo di casa, la scuola e altri elementi che possono portare, anche indirettamente, ad una sua individuazione.
Il giornalista può rendere riconoscibile il minore nel caso di eventi positivi (ad esempio gare sportive, premiazioni ecc), facendosi sempre carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore. Si rammenta a tal proposito che neppure l’espressa autorizzazione resa dai genitori – spesso in conflitto di interessi con i loro figli – è di per sé sufficiente a liberare il giornalista dalle sue responsabilità.
CONFLITTO D’INTERESSI – Un pubblicista di Vicenza è stato sanzionato con la censura per aver operato in conflitto d’interessi/incompatibilità in quanto, nonostante avesse firmato un contratto con un ente pubblico finalizzato allo svolgimento di attività retribuita di addetto stampa, ha proseguito ad occuparsi dello stesso settore, in qualità di collaboratore di un quotidiano, realizzando articoli giornalistici a sua firma in relazione a tematiche che rientravano nella sua competenza di addetto stampa dell’ente pubblico.
Il collega, non appena informato dell’apertura di un procedimento disciplinare, ha rassegnato le dimissioni dal ruolo di addetto stampa dell’ente pubblico, spiegando di non essere stato consapevole dell’incompatibilità dei ruoli. Il Consiglio gli ha ricordato che già una volta, in passato gli era stato chiesto conto di una presunta incompatibilità in relazione ad una situazione di analogo tipo.
In quella occasione il fascicolo fu archiviato in quanto non era emerso alcun elemento a sostegno della segnalazione, ma il collega sicuramente era a conoscenza dell’esistenza di una incompatibilità tra le due attività (incompatibilità, peraltro, ben evidenziata dalle norme deontologiche e più volte sottolineata nel corso degli anni dall’Ordine): ciò nonostante, ha proseguito senza porre fine a tale situazione.
In materia di conflitto di interessi/incompatibilità è stato comminato un avvertimento ad altri due giornalisti pubblicisti di Vicenza e Rovigo: il primo per un articolo scritto per un quotidiano in relazione ad un argomento di cui si occupava in qualità di addetto stampa; la seconda per essersi occupata per un quotidiano di temi relativi al settore della pubblica amministrazione di cui è dipendente.
La Carta dei doveri del giornalista (sezione “Incompatibilità”) prevede esplicitamente che il giornalista non può assumere “incarichi e responsabilità in contrasto con l’esercizio autonomo della professione”. L’accertato rapporto con l’amministrazione pubblica con il ruolo di addetto stampa e la contestuale stesura di articoli giornalistici per un quotidiano sulla stessa materia, infatti, ha posto il collega pubblicista in posizione di incompatibilità.
Il giornalista ha l’obbligo non solo di essere, ma anche di apparire corretto e imparziale, perché su tali elementi si fonda il rapporto di fiducia tra i lettori e la stampa (Corte d’Appello di Milano, 18 luglio 1996, in Foro italiano, 1997, I, 938).
DIFFAMAZIONE VIA FACEBOOK – E’ stato comminato un avvertimento ad un professionista padovano in relazione ad una serie di affermazioni offensive e di portata diffamatoria “postate” su Facebook e relative ad un quotidiano e ad alcuni colleghi che vi lavorano.
Tali affermazioni, visibili a tutti, e segnalate con un esposto al Consiglio dallo stesso direttore del quotidiano, sono state ritenute in contrasto con i doveri imposti al giornalista dalla legge 69/1963. Il collega è stato quindi richiamato dal presidente a mantenere un comportamento più consono ai doveri professionali.
La notizia della sanzione, resa nota dallo stesso collega, ha alimentato un ampio dibattito in Rete, con particolare riferimento a Facebook e alla possibilità di configurare un’ipotesi di diffamazione o ingiuria nei “colloqui” sui Social Network.
Sull’argomento, però, la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che la diffusione tramite internet di comunicazioni offensive dell’altrui onore o reputazione visibili da una pluralità di persone configura l’ipotesi di diffamazione.
ARTICOLI COPIATI – 
Un pubblicista di Vicenza è stato sanzionato con l’avvertimento per aver pubblicato su un periodico, in qualità di direttore responsabile, alcuni articoli copiati da altri giornali, senza il consenso preventivo degli autori e senza neppure citare gli autori, né la fonte da cui tali testi erano stati tratti, violando pertanto anche la normativa sul diritto d’autore e violando le norme deontologiche che impongono al giornalista di comportarsi con lealtà e buona fede.
La sanzione è stata limitata all’avvertimento tenuto conto della successiva pubblicazione, a rettifica, dei nominativi degli autori e la fattiva opera prestata dallo stesso nei confronti dell’editore per il pagamento agli autori del richiesto compenso.

 Si raccomanda ai colleghi di prestare la massima attenzione in particolare con il materiale – testi e fotografie – rinvenute su Internet. Il semplice fatto che documenti e fotografie si trovino in Rete non significa che possano essere utilizzati liberamente.
Le fotografie, in particolare, sono quasi sempre tutelate da diritto d’autore, salvo che non sia espressamente indicato il contrario.

 Si raccomanda la massima attenzione anche in relazione a fotografie e informazioni personali contenute sui Social Network, in particolare su Facebook: ciò che è inserito nel profilo aperto a tutti è, solo in linea generale, pubblicabile, e il giornalista deve in ogni caso controllare per quanto possibile l’esattezza e l’aggiornamento delle informazioni oltre che rispettare i consueti limiti posti all’attività giornalistica (es., l’essenzialità dell’informazione).
Diversi sono stati, infatti, i casi di erronea associazione di una riproduzione fotografica ad omonimi deceduti. Le foto erano state tratte frettolosamente dai profili Facebook senza neppure verificare la corrispondenza della data di nascita (Provvedimenti Garante Privacy 6/5/2009, docc. web n. 1615339 e n. 1615317). Diverso discorso per i profili – ancorché pubblici – dei minori: la disciplina privacy in ambito giornalistico impone, infatti, il massimo rigore quando il trattamento attiene a informazioni relative ai minori.
L’art. 7 del Codice di deontologia considera il diritto alla riservatezza del minore come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca e, in tale ottica, garantisce il diritto all’anonimato del minore laddove l’informazione attenga a fatti che lo coinvolgono, la cui pubblicità possa lederne la personalità (vedasi la Carta di Treviso), salvo che la pubblicazione sia nell’interesse oggettivo, concreto e attuale, del minore.

L’utilizzo dei citati dati personali, quindi, senza espresso consenso può costituire violazione della Privacy (e in quanto tale sanzionata dal Garante) e può costituire anche violazione delle norme deontologiche della professione sanzionabile in sede disciplinare dall’Ordine. A tal riguardo si rammenta che la tutela della privacy delle persone non viene meno con la morte delle stesse.

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