
Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti
ROMA – “In una settimana abbiamo impresso una forte accelerazione sulle liberalizzazioni, per le quali ci sarebbe voluto molto più tempo”.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, la dichiarazione del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, sarebbe più che sufficiente a fargli comprendere le reali intenzioni del Governo in materia di liberalizzazioni.
Se Tremonti, nella conferenza stampa sulla manovra, tenuta, ieri sera, al fianco di Berlusconi, è stato chiaro in materia di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici locali, altrettanto non ha fatto per spiegare cosa intende per “liberalizzazione delle professioni”. Ovvero se il Governo Berlusconi abbia in mente di smantellare gli ordini professionali e, di conseguenza, mettere le mani sulle casse di previdenza per sanare i danni provocati da scelte politiche che hanno portato il Paese sull’orlo del disastro.
Nino Lo Presti, deputato di Futuro e Libertà e capogruppo in Commissione Bilancio, denuncia che “nessuno, finora, ha capito come vuole agire il Governo: intende smantellare gli ordini? Togliere l’esame di Stato? Abilitare chiunque ad effettuare prestazioni senza controllarne la formazione e la deontologia? Se è questo il piano, l’esecutivo non andrà da nessuna parte” perché “ad impedirlo sarà, innanzitutto, la Costituzione e, quindi, ogni persona di buonsenso che sa perfettamente che non è attraverso l’abolizione degli ordini, o con altri provvedimenti demagogici, che si può modernizzare il mercato del lavoro nell’ambito delle attività professionali”.
“Dobbiamo e possiamo intervenire con forza su liberalizzazioni, servizi pubblici e professioni”, ha detto Tremonti, trovando sponda in Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, e Antonio Catricalà, presidente dell’Antitrust.
E dopo la lettera di Marina Calderone, presidente del Cup (il comitato degli Ordini professionali), a Silvio Berlusconi, pubblicata ieri da Giornalisti Calabria, Andrea Sisti, presidente del Conaf, il Consiglio dell’Ordine nazionale dei dottori agronomi e dottori forestali, in un’intervista a Labitalia, ha denunciato che “ciò che è stato fatto uscire dalla porta si vuol far rientrare dalla finestra”.
Ribadendo con forza la sua contrarietà al tentativo di reintrodurre, con il decreto anti-crisi, le misure di liberalizzazione degli ordini professionali come contenuto nell’emendamento «39 bis» e poi non formalizzato, Sisti afferma che “c’è bisogno di nuove forme organizzative per lo svolgimento della professione, reti di professionisti, società multidisciplinari, riordino dei percorsi formativi e anche una visione moderna che guarda al futuro di professioni della green economy”.
“Scambiando, però, la competenza e la responsabilità personale con la responsabilità patrimoniale e di mercato – avverte – non si fa tanta strada. La comunicazione della commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Atto per il mercato unico, le dodici leve per stimolare la crescita e rafforzare la fiducia «insieme per una nuova crescita», certamente non parla di liberalizzazioni selvagge ma di condivisione in un percorso europeo nella mobilità dei cittadini e dei professionisti”.
Il Consiglio dei Ministri, invece, ha deciso “senza aver ascoltato gli Ordini e, probabilmente, senza tener conto di quello che l’Europa indica con i propri atti: favorire una carta professionale europea, migliorare gli standard di qualità, la responsabilità e la formazione. Normalizzare i servizi, come recita il punto 2.5 della comunicazione della Commissione, non significa certo abolire le regole del nostro sistema professionale ma definire standard omogenei in tutta l’Europa”.
Insomma, è il momento di intensificare la mobilitazione in difesa degli ordini professionali e, per quanto ci riguarda, l’Ordine dei giornalisti. Un motivo in più per sottoscrivere la petizione su Giornalisti Calabria per garantire tutela e autonomia ai giornalisti italiani.
Una battaglia importante contro la riforma approvata dalla Commissione Cultura della Camera, che passerà all’esame del Senato e, come avevamo previsto, altro non era che uno specchietto per le allodole, per spostare, cioè, l’attenzione dal vero problema: le liberalizzazioni che incideranno sulla professione di giornalista che verrà snaturata nella propria identità, nella propria indipendenza, oltre che nel trattamento economico.
Quanti, mettendosi un intero prosciutto sugli occhi, si erano affrettati a “ringraziare” la Commissione Cultura della Camera per una riforma arrivata “dopo 17.685 giorni (48 anni), farebbero, dunque, meglio a recitare un “mea culpa”, per non aver fatto nulla per contestare e contrastare, per tempo e con forza, lo smantellamento della professione.