
Rossana Caccavo
MARINA DI SIBARI (Cosenza) – Buongiorno a tutti. Il mio nome è Rossana Caccavo e da quando me ne ricordo, il mio più grande sogno è sempre stato quello di diventare un giornalista. Sono nata e cresciuta in Calabria, a Crotone, in una famiglia di imprenditori. Avevo circa tredici anni, quando mio padre mi regalò un suo libro. Il titolo era “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati. Leggendolo, quel libro, in ogni sua parola scoprivo la mia passione e non è mai più cambiata.
Da lì in poi, difatti, non ho avuto alcun dubbio. La mia professione sarebbe stata quella che ancora oggi, con immensa fatica, sto tentando di costruire.
Un altro elemento, inoltre, ha condizionato la mia crescita: la violenza delle azioni criminali.
Come dicevo prima, mio padre è un imprenditore e questo in Calabria significa due cose: scendere a compromessi o rischiare tutto.
Le bombe della fine degli anni ‘80 che ci hanno costretto, insieme alla crisi economica causata dalla chiusura delle fabbriche crotonesi, a chiudere i nostri supermercati, le ho avvertite come un sopruso intollerabile. Volevo poterlo urlare al mondo che non era giusto, che bisognava schierarsi. Tutti insieme.
Di quel periodo orrendo, però, un ricordo bello ce l’ho. Ricordo lo sguardo di mio padre, non l’ho mai dimenticato. Ed in quegli occhi c’era un solo insegnamento: resistere. Non cedere, non piegarsi, davanti a nulla ed a nessuno.
Ebbene anche per questo sono diventata un giornalista. Per raccontare le storie di chi non ha mai voce, di chi dice di no e sono in tanti a farlo, quotidianamente.
Se oggi dovessi dire che cos’è per me il giornalismo, direi che per me il giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; sono certa che davvero il resto è solo propaganda. Il compito di un giornalista è svelare ciò che è nascosto, darne testimonianza.
La mia carriera io l’ho iniziata a Roma, nel 2005, da stager, facendo la gavetta, per strada, senza mai essere retribuita, perché come tanti altri, non avevo l’opportunità economica di frequentare le scuole di giornalismo e sono sempre stata cosciente del fatto che la mia strada, non battuta se non da me, l’avrei attraversata con fatica.
Lo sapevo anche quando i colleghi, quelli orami arrivati, mi sconsigliavano di proseguire, quando mi dicevano “in Italia per fare il giornalista devi avere un politico in famiglia o un cardinale”. Io non avevo né l’uno, né l’altro, ma questo non mi ha mai scoraggiata.
Non ho avuto paura. Mai. E’ la mia regola, anche perché l’ho visto con i miei occhi cosa vuol dire aver paura. La paura immobilizza e se questo Paese è ancora immobile, è proprio perché ha timore di cambiare.
Quando sono tornata in Calabria, nel 2007, ho visto che qui per assurdo era anche peggio. Devi rispettare il sistema, mi consigliavano i più prudenti. Un sistema fatto di silenzi, di collusioni, di vicinanze, di amicizie, di rispetto per “i poteri forti”.
Me lo hanno sempre detto, e poi del resto, lo avevo vissuto sulla mia pelle cosa vuol dire ‘Ndrangheta e crescendo ho conosciuto anche la massoneria, sono sistemi strettamente correlati, che si celano ovunque, in mille forme diverse.
E’ un muro di gomma. E’ un blob che attanaglia la vita di tutti. Un sistema che fa sentire soffocati. Voglia di gridarlo al mondo, di nuovo mi sono detta, come quando ero bambina.
Ora però è diverso, mi son ripetuta più volte. Ora sei grande e se non ti ribelli, tutto perderà di senso. Anche quell’urlo che avresti voluto lanciare nell’aria, per amore di tuo padre, della tua famiglia, resterà muto.
Ed ecco perché il mio impegno, è stato finora e sarà in futuro, proprio quello di raccontare che invece questa terra non merita di essere stretta in questa morsa. Di dimostrarlo che non è tutto marcio, imputridito e che si deve fare qualcosa. Subito e non domani.
Perché deve esserci chi la pensa come me, devo trovare anche il più piccolo degli spiragli, e nel momento di maggiore difficoltà in questo mestiere, ho deciso di cercarlo. Ebbene l’ho trovato.
Io voglio, se mi permettete, ringraziare pubblicamente il Sindacato dei giornalisti della Calabria ed il suo Segretario. Voglio dire grazie a Carlo Parisi, perché mi ha ridato la speranza.
E’ stato Carlo il mio spiraglio, la luce che cercavo, e guardate, l’ho trovata quella luce, proprio laddove ogni giornalista dovrebbe cercarla. Tra le regole che governano questo mestiere, sempre più complesso, sempre più condizionato.
Ho trovato nel sindacato la casa sicura, la dimora dei lavoratori.
E proprio perché io questo mestiere lo rispetto prima ancora che amarlo, e perché credo che l’unico nostro padrone, come sosteneva il giornalista Indro Montanelli, deve essere il lettore, bisogna dire di no a chi, invece, purtroppo, crede di poter fare il padrone. E se lo crede, ed è in questa sede che voglio sottolinearlo, è perché ancora c’è chi glielo permette.
Mi chiamo Rossana Caccavo, è vero, ma in questa sede, questo non è più importante. Quello che conta davvero è che sono una giornalista, licenziata dall’emittente per la quale, alacremente, ho lavorato per un anno e mezzo. Licenziata in tronco, senza preavviso, verbalmente.
Quando ho chiesto che il mio licenziamento venisse messo per iscritto, mi è stato sottoposto un foglio di dieci righe. Motivazioni economiche, mi si diceva nello stesso. A malincuore, si sottolineava.
In fondo a quel foglio, dove ho dovuto apporre la mia firma, la beffa. Per accettazione, c’era scritto. Al momento di quella firma, i sentimenti che mi hanno assalito, posso riassumerli in sgomento, paura, smarrimento umano e professionale.
A Marina di Sibari io c’ero ed ho ascoltato l’intervento di Rossana Caccavo.
Rossana è un esempio per noi tutti. Brava!
Scriveva Manzoni: “Dio non toglie una gioia ad un figlio se non per dargliene un’altra più grande”. Tieni duro Rossana. Lassù Qualcuno ti (ci) ama. I frutti presto germoglieranno come desidera il tuo cuore. Ciao.