Luciana Borsatti
MARSIGLIA (Francia) – E’ molto difficile e pericoloso lavorare come giornalisti in Siria, tra “taglie sui giornalisti di Al Jazeera” e il rischio di uccisioni e rapimenti, “ma è cruciale poter coprire la storia, ed è ancora maggiore l’obbligo morale di trovarsi sul terreno”. E’ la lucida testimonianza della giornalista siriana Rima Marrouch ai lavori del Forum euro-mediterraneo della Fondazione Anna Lindh, che fino a domani, domenica 7 aprile, raccoglie un migliaio di esponenti della società civile, giovani leader delle rivolte, analisti e policy-makers.
Dopo oltre due anni di guerra, risponde la giovane cronista di fronte alla vasta platea della cerimonia inaugurale, “non abbiamo più aspettative” tanto che ormai è diffusa fra i siriani l’espressione “non ci sono più parole da dire”.
Eppure questa “non è la peggiore crisi della storia”, prosegue Rima, aggiungendo che ci si sarebbe aspettati una maggiore capacità di agire da parte della comunità internazionale. E ammette che “da oltre un anno e mezzo” i siriani si sentono abbandonati.
“Dicono che l’opposizione siriana è divisa, ma mi pare che anche l’Europa lo sia”, ancora in merito alla controversa questione di una revisione dell’embargo sulle armi su cui è chiamata a decidere l’Europa. Fra le vittime di questa guerra civile, Rima mette anche la minoranza alawita, cui appartiene il presidente Bashar al Assad.
“Dicono che l’opposizione siriana è divisa, ma mi pare che anche l’Europa lo sia”, ancora in merito alla controversa questione di una revisione dell’embargo sulle armi su cui è chiamata a decidere l’Europa. Fra le vittime di questa guerra civile, Rima mette anche la minoranza alawita, cui appartiene il presidente Bashar al Assad.
“Questa minoranza non è mai stata un problema in Siria”, la cui natura è tuttora, sostiene, quella di essere una comunità interconfessionale. E ora anche fra di loro, sottolinea, “vi sono 17 mila vittime”. Tanto che del loro presidente alcuni alawiti dicono, riferisce, “lui sta nei palazzi, noi nelle tombe”.
Il problema con Assad, a suo avviso, sta nel fatto che il suo governo ha ancora a disposizione 6-700 arsenali, ma soprattutto nella convinzione del presidente di essere ancora in controllo della situazione e del potere. “Ed è difficile aprire il dialogo per una soluzione politica con qualcuno che parta da questi presupposti”.
Il problema con Assad, a suo avviso, sta nel fatto che il suo governo ha ancora a disposizione 6-700 arsenali, ma soprattutto nella convinzione del presidente di essere ancora in controllo della situazione e del potere. “Ed è difficile aprire il dialogo per una soluzione politica con qualcuno che parta da questi presupposti”.
Ma non ci sono solo jihadisti e fondamentalisti contro Assad, rimarca ancora la giovane reporter, premiata nel 2012 proprio dalla Fondazione Anna Lindh, il quadro della guerra civile “non si può dipingere in bianco e nero”. E in Siria – conclude, ci sono ancora molti giovani che ancora credono nella rivolta pacifica con cui tutto è iniziato”. (Ansamed).