
L’Ingresso del Policlinico Sant’Orsola di Bologna: l’86enne Gino Bragaglia fu trovato morto sulle scale esterne
BOLOGNA – L’Associazione stampa dell’Emilia-Romagna (Aser) e la Federazione Nazionale della stampa Italiana (Fnsi) hanno appreso con stupore e disappunto della visita delle forze dell’ordine alla redazione bolognese del Resto del Carlino per acquisire documenti su ordine della Procura della Repubblica di Bologna.
Non si comprende infatti perché sia stato necessario mandare i militari dell’Arma in redazione quando forse sarebbe stato sufficiente richiedere i documenti a chi ne fosse eventualmente entrato in possesso.
Eseguito con queste modalità, l’atto dovuto da parte della Procura ha una connotazione intimidatoria a cui non siamo abituati in questa regione e che non ci piace.
Tanto più se si tratta, come in questo caso, di dar conto di particolari utili a comprendere una vicenda tragica (quella di un paziente scomparso da un reparto ospedaliero cittadino e ritrovato morto su di una scala di sicurezza non lontana dal luogo in cui era ricoverato) che ha avuto grande impatto sull’opinione pubblica e ha destato grande interesse tra i lettori.
I colleghi del Carlino hanno compiuto il loro dovere di cronaca dando conto nel modo più dettagliato possibile di una vicenda di interesse pubblico e tutelando correttamente la riservatezza delle fonti.
Federazione Nazionale della Stampa Italiana
Associazione della Stampa dell’Emilia Romagna
L’altro ieri c’era stata l’acquisizione di documenti alla redazione de “il Resto del Carlino” dopo che il quotidiano aveva pubblicato stralci della relazione inviata dal policlinico Sant’Orsola alla Regione sull’episodio di Gino Bragaglia, 86enne scomparso dal reparto di Medicina Interna e trovato morto dal figlio due giorni e mezzo dopo su una scala di emergenza. Questo ha provocato la protesta dell’Ordine dei gionalisti e dell’Aser-Fnsi, il sindacato dei giornalisti. “Nel merito rispondo di sì – ha aggiunto Giovannini – Era indispensabile acquisire, e la cosa è stata fatta con grande riservatezza e garbo, il documento posseduto dal giornale, perché dal numero di protocollo visibile dalla foto pubblicata era possibile individuare il contesto dal quale proveniva l’atto. L’acquisizione è stata assai utile perché ci ha permesso di circoscrivere di molto l’ambito investigativo”.
Ma l’atto era gia” pubblico: “No, questo è un grosso equivoco – è la risposta del Procuratore aggiunto -. Il documento redatto da pubblici ufficiali una volta acquisito al fascicolo di indagine diviene, per legge, riservato. Inoltre era stato formalmente comunicato, anche tramite agenzie di stampa, che era possibile, comprendendo la rilevanza della notizia, fornire una comunicazione di carattere generale. In quell’atto vi sono dichiarazioni di testimoni fondamentali per le indagini che dovevano non essere divulgate a soggetti diversi da quelli istituzionali. Del resto l’Assessore Lusenti, nella sua lettera che accompagnava la trasmissione della relazione ai soggetti istituzionali, correttamente lo ha chiaramente scritto”.
Lei che si occupa per la Procura dei rapporti con la stampa (Giovannini è portavoce della Procura di Bologna, ndr), prevedeva quanto accaduto?
“Ci tengo a precisare che la Procura di Bologna ha un proprio magistrato formalmente delegato a curare i rapporti con i media. Spero non sfugga che questa decisione del Procuratore Alfonso è un gesto di grande attenzione e rispetto per i giornalisti. Detto questo, forse sì, avevo messo in conto le reazioni critiche verso la mia persona. Ma se questo è un prezzo necessario da pagare per avere agito da Pubblico Ministero imparziale e rispettoso delle leggi vigenti, accetto di pagarlo. In ogni caso è ovviamente un diritto criticare in modo pacato e costruttivo i provvedimenti dei magistrati”.(Ansa)