Corte europea per i diritti umani e Consiglio d’Europa dal 2007 chiedono la depenalizzazione della diffamazione

Pena carceraria incompatibile con la libertà di stampa

STRASBURGO (Francia) – Punire con il carcere un reato commesso a mezzo stampa non è compatibile con la libertà di espressione dei giornalisti garantita dall’articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Questo il principio basilare fissato dalla Corte europea per i diritti umani. La prigione, secondo i giudici di Strasburgo, può essere prevista solo in circostanze eccezionali legate a gravi violazioni dei diritti fondamentali, come ad esempio l’incitamento all’odio o alla violenza.
La Corte ha anche fissato dei criteri per stabilire se nei 47 Paesi aderenti all’organizzazione è stato raggiunto un buon equilibrio “normativo” tra il diritto alle libertà di espressione e il rispetto della vita privata. Ciò dipende dal contributo dell’articolo di stampa a un dibattito di interesse generale, dalla notorietà della persona citata nell’articolo, dal comportamento tenuto della persona, da come sono state ottenute le informazioni e dalla loro veridicità, dal contenuto, dalla forma e dalle ripercussioni dell’articolo e naturalmente dalla gravità delle sanzioni applicate.
La Corte, sebbene abbia “quasi” riconosciuto al giornalista un diritto all’esagerazione e alla provocazione, ha poi sempre ribadito l’importanza dell’esattezza dell’informazione pubblicata e ha distinto tra un articolo che riporta fatti e uno che esprime opinioni.
Anche l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa chiede dal 2007 la depenalizzazione del reato di diffamazione a mezzo stampa esortando tutti i Paesi interessati (una pattuglia composta all’epoca, oltre che dall’Italia, da Germania, Grecia, Armenia, Azerbaijan, Croazia, Lettonia Islanda e San Marino) ad abolire le leggi che violano questo principio. (Ansa).

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