La Corte Costituzionale ha ribadito in 22 sentenze (dal 2003 al 2011) la competenza esclusiva dello Stato

Le Regioni non hanno titolo sulle professioni

Franco Abruzzo

Franco Abruzzo (consigliere e presidente emerito dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia)

ROMA – L’individuazione delle professioni, la disciplina dei relativi percorsi formativi e l’esame di Stato per accedere alle professioni stesse  sono di competenza esclusiva dello Stato. Lo ha ribadito, con un indirizzo costante, la Corte costituzione in 22 sentenze pronunciate dal 2003 al 2010 (nn. 353 del 2003, 319, 255 e 424 del 2005, 40, 153, 423, 424 e 449 del 2006, 57, 300 e 443 del 2007, 93, 179 e 222 del 2008, 138, 271 e 328 del 2009, 131, 132; 300 del 2010 e 230 del 2011).
Leggiamo la sentenza 153/2006, sesta in ordine di tempo dal dicembre 2003. Questa volta presa di mira dalla Consulta, su ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  è l’articolo 32, comma 1, della legge della Regione Piemonte n. 1 del 2004, che contrasterebbe con l’art. 117, comma terzo, della Costituzione, giacché l’ambigua espressione «individua» sembrerebbe riservare alla Regione la determinazione dei titoli professionali e dei correlativi contenuti della professione, in contrasto con il riparto di competenze previsto dalla norma costituzionale in materia di professioni.
Inoltre, secondo Palazzo Chigi,  l’articolo 32, comma 2, della medesima legge regionale, nel prevedere quali titoli idonei per l’accesso alla professione di educatore professionale titoli diversi da quelli già richiesti dalla disciplina statale (titoli di formazione regionale e titoli universitari senza alcun esame finale abilitante), violerebbe l’art. 117, terzo comma, Costituzione, perché apparterrebbe alla determinazione dei principi fondamentali l’individuazione, per ciascuna professione, quanto meno del contenuto e del corrispondente titolo professionale; e si porrebbe in contrasto, altresì, con l’art. 33 della Costituzione, perché la materia degli esami di Stato rientrerebbe nell’ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che per le professioni regolamentate, alle quali si accede con un esame di Stato, la disciplina dei titoli che danno accesso alla professione, nonché quella dei relativi percorsi formativi, è di esclusiva competenza statale.
La Consulta osserva preliminarmente che l’art. 32 della legge della Regione Piemonte n. 1 del 2004, dedicato alle figure professionali che operano nei servizi sociali, va ricondotto alla materia delle “professioni”, appartenente alla competenza legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Alla stregua di quanto affermato in materia, la Corte costituzionale ribadisce che “ – spettando allo Stato la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente previste dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione – qualora non ne siano stati formulati di nuovi, la legislazione regionale deve svolgersi (ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131) nel rispetto di quelli risultanti anche dalla normativa statale in vigore (sentenza n. 355 del 2005)”.
Si legge ancora nella sentenza: “Parimenti, va riaffermato che la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle ‘professioni’ deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e i titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.
Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera di singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale (sentenze n. 40 del 2006, n. 424 e n. 319 del 2005 e n. 353 del 2003).  L’art. 32, comma 1, della legge della Regione Piemonte n. 1 del 2004, provvedendo ad individuare direttamente le figure professionali, alle quali la Regione fa ricorso per il funzionamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali, viola il principio fondamentale che assegna allo Stato l’individuazione delle figure professionali.
Altrettanto lesiva delle competenze statali è la disposizione di cui al comma 2 del medesimo art. 32. La stessa indicazione, da parte della legge regionale, di specifici requisiti per l’esercizio della professione di educatore professionale, anche se in parte coincidenti con quelli già stabiliti dalla normativa statale, viola senza dubbio la competenza dello Stato, risolvendosi in un’indebita ingerenza in un settore, quello della disciplina dei titoli necessari per l’esercizio della professione, costituente principio fondamentale della materia”.
Leggiamo ora una delle sentenze più recenti, la 300/2010, che riguarda la legge della Regione Basilicata 13 novembre 2009 n. 37 (Norme in materia di riconoscimento della figura professionale di autista soccorritore).
La Corte costituzionale ne ha dichiarato l’illegittimità  con questo ragionamento, che non si discosta dalle altre motivazioni precedenti: “Questa Corte ha più volte affermato che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle professioni deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.
Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera dei singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale. Da ciò deriva che non è nei poteri delle Regioni dar vita a nuove figure professionali» (sentenza n. 153 del 2006, nonché, ex plurimis, sentenze n. 57 del 2007 e n. 424 del 2006).
La legge in esame istituisce la figura professionale dell’autista soccorritore (art. 1) e ne disciplina il percorso di formazione, rimettendo ad un regolamento della Giunta regionale la regolamentazione e l’organizzazione dei corsi di formazione professionale per ottenere il titolo abilitativo (art. 2). Inoltre, tra i compiti e le funzioni attribuiti alla nuova figura professionale ve ne sono alcuni riconducibili direttamente allo svolgimento di professioni sanitarie, come la «capacità di riconoscere le principali alterazioni alle funzioni vitali attraverso la rilevazione di sintomi e di segni fisiologici», e «la conoscenza delle procedure da adottare in caso di TSO (trattamento sanitario obbligatorio)» (allegato B e art. 5), o come il supporto al personale responsabile della prestazione sanitaria e agli altri operatori dell’equipaggio, in caso di interventi di urgenza/emergenza per «la liberazione delle vie aeree, il mantenimento della temperatura corporea, il mantenimento delle funzioni vitali e la defibrillazione effettuata a mezzo DAE (defibrillatore semiautomatico esterno)» o per «le procedure diagnostiche e la stabilizzazione del paziente sul luogo dell’evento» (allegato A e art. 5).
L’art. 1 della legge 1° febbraio 2006, n. 43 (Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali), prevede che «sono professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, quelle previste ai sensi della legge 10 agosto 2001, n. 251 […] i cui operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione». Pertanto, la legge regionale censurata, istituendo la figura di autista soccorritore e regolandone il percorso formativo diretto al conseguimento del relativo attestato di qualifica, nonché attribuendole compiti e funzioni riconducibili direttamente allo svolgimento di professioni sanitarie, non rispetta il limite imposto dall’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di professioni, secondo il quale l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato (sentenza n. 179 del 2008)”.
La sentenza più recente (n. 230/2011) stronca, invece, la legge del 22 novembre 2010, n. 28 (Norme in materia di sport nella Regione Calabria): “Le disposizioni impugnate vanno senza dubbio ascritte alla materia, di legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), delle professioni, dato che ne è evidente la finalità, e l’effetto obiettivo, di incidere sulla individuazione dei profili professionali operanti nell’ambito sportivo: questa Corte ha già ritenuto che, ai fini della selezione della materia pertinente, non abbia «alcuna influenza» l’oggetto su cui si esercita l’attività professionale, venendo in rilievo la sola prioritaria attinenza dell’intervento legislativo al campo delle professioni (sentenze n. 424 del 2005, n. 138 del 2009, n. 222 del 2008, n. 40 del 2006).
Si tratta, perciò, di decidere se il legislatore regionale abbia ecceduto i limiti della normativa di dettaglio. Sotto tale profilo, va posto in rilievo che le norme censurate operano su di un duplice livello: da un lato, esse consentono alla Giunta, ove la legge statale non abbia riconosciuto determinate figure professionali, di definirne gli elementi costitutivi e le modalità formative (art. 17, comma 1, lettera a); dall’altro lato, istituiscono direttamente (art. 3, comma 1, lettera m; art. 11, comma 5) o per atto della Giunta (art. 17, comma 1, lettera b), e comunque disciplinano (art. 11, commi 6 e 7) gli albi professionali.
Si è perciò in presenza di un articolato intervento, il cui nucleo si colloca nella fase genetica di individuazione normativa della professione: all’esito di essa una particolare attività lavorativa assume un tratto che la distingue da ogni altra e la rende oggetto di una posizione qualificata nell’ambito dell’ordinamento giuridico, di cui si rende espressione, con funzione costitutiva, l’albo.
Questa Corte ha costantemente ritenuto che una simile operazione abbia carattere di principio e competa pertanto al solo legislatore statale (ex plurimis, sentenze n. 300 del 2010, n. 328 del 2009, n. 93 del 2008, n. 57 del 2007, n. 153 del 2006, n. 424 del 2005 e n. 353 del 2003). In particolare, non spetta alla legge regionale né creare nuove professioni, né introdurre diversificazioni in seno all’unica figura professionale disciplinata dalla legge dello Stato (sentenza n. 328 del 2009), né, infine, assegnare tali compiti all’amministrazione regionale, e in particolare alla Giunta (sentenze n. 93 del 2008, n. 449 del 2006). Infatti, la potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale (art. 1, comma 3, del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30, recante norme in tema di ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131).
Nel caso di specie, le disposizioni impugnate sono incorse in tutti questi profili di invasione della competenza statale: l’art. 11, comma 5, contiene un elenco di professioni sportive, anche ignote, in quanto tali, alla legge nazionale (cariche nelle associazioni sportive dilettantistiche; dirigenti sportivi; esperti gestori di impianti sportivi; istruttori qualificati; tecnici federali; assistenti o operatori specializzati; atleti e praticanti; altre figure tecnico-sportive): l’incompiutezza della descrizione normativa rende, poi, obbligato il ricorso ad un atto della Giunta, al fine di definirne in forma sufficientemente analitica gli elementi costitutivi.
Nel contempo, l’albo professionale non svolge una funzione meramente ricognitiva o di comunicazione e di aggiornamento di professioni già riconosciute dalla legge statale, come è invece consentito disporre da parte della legge regionale (sentenza n. 271 del 2009), ma, all’esito di un percorso formativo cui è subordinata l’iscrizione, assume una particolare capacità selettiva ed individuatrice delle professioni, che ne tradisce l’illegittimità costituzionale, «anche prescindendo dal fatto che la iscrizione nel suddetto registro si ponga come condizione necessaria ai fini dell’esercizio della attività da esso contemplata» (sentenze n. 93 del 2008, n. 132 del 2010, n. 138 del 2009).
L’introduzione dell’albo, inoltre, diviene indice sintomatico (sentenza n. 93 del 2008) dell’illegittimità dell’intervento normativo regionale, anche con riguardo alle figure dei fisioterapisti e dei massaggiatori, indicate dall’art. 11, comma 5, lettera h), ma oggetto di normazione da parte della stessa legge dello Stato.
Quanto ai fisioterapisti, non è consentito alla legge regionale, a fronte di un profilo compiutamente descritto dal decreto ministeriale 14 settembre 1994, n. 741 (Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista), sulla base dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), conferire una particolare specificità al fisioterapista sportivo, giungendo a richiedere a tal fine il conseguimento di un titolo rilasciato da enti pubblici o istituzioni sportive abilitate, in potenziale contrasto con le competenze attribuite sul punto al Ministro dell’università e della ricerca scientifica (art. 6, comma 3, del d. lgs. n. 502 del 1992).
Analogamente, la normativa statale si è limitata ad istituire l’albo dei massaggiatori privi della vista (art. 8 della legge 21 luglio 1961, n. 686, recante norme sul collocamento obbligatorio dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi), senza conferire invece ai massaggiatori sportivi alcuna posizione differenziata, rispetto a quanto previsto in via generale, e con riguardo anche al titolo di studio necessario, dalla legge 19 maggio 1971, n. 403 (Nuove norme sulla professione e sul collocamento dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi) (sentenze n. 179 del 2008, n. 449 del 2006, n. 319 del 2005).
Né emerge quale particolare collegamento vi possa essere tra le disposizioni censurate e le peculiari esigenze della realtà territoriale cui la legge regionale si rivolge, e in relazione alle quali soltanto si giustifica l’intervento legislativo di dettaglio nella materia delle professioni (sentenza n. 153 del 2006). In conclusione, tutte le disposizioni impugnate si pongono in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., e vanno conseguentemente dichiarate costituzionalmente illegittime”. Le leggi 138 e 183/2011 nonché il dl 201/2011, che hanno riordinato l’organizzazione delle professioni intellettuali regolamentate, non hanno violato in alcun modo il dettato costituzionale. (www.francoabruzzo.it)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *