Con l’Ordine sul viale del tramonto, l’Inpgi fa gola a tutti. Il gatto, la volpe e la demagogica leggerezza dell’essere

La barzelletta del “cumulo” che ruba lavoro ai precari

Giuseppe Iselli

ROMA – L’articolo di Enzo Chiodini, pubblicato sul numero di ottobre de “Il Giornalista Pensionato”, ha creato un notevole dibattito di consenso e dissenso sulle questioni che erano state sollevate: le norme vigenti sul cumulo fra pensioni dell’Inpgi ed altri redditi da lavoro.
Di ciò non possiamo che essere orgogliosi, perché il primo dovere di tutti noi è quello di farci leggere, di non finire intonsi nel cestino della carta straccia, come avviene per la stragrande maggioranza delle pubblicazioni date alla luce da vari settori sindacali ed “ordinistici” del nostro mondo.
Vi sono, tuttavia, due critiche pesanti sulle quali riteniamo utile, direi necessario, soffermarci: sono quelle espresse dall’ex presidente dell’Inpgi, Gabriele Cescutti, e dall’attuale presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino.
I due, come una moderna versione del “gatto e la volpe” di collodiana memoria, cercano di suadere i giornalisti-pinocchio e di attrarli alla felice intuizione della loro proposta: seppelliamo per sempre il cumulo, così com’è oggi stabilito, e nascerà la grande pianta che darà frutti copiosi per tutti, sia che lavorino, sia che ozino godendosi la dolce pigrizia della quiescenza. Così smetteremo di occuparci dei drammatici problemi dell’editoria: abbiamo trovato i colpevoli, cioè quei pensionati che “rubano” lavoro: basta sterilizzarli e la favoletta ci farà vivere per sempre felici e contenti.
Mettiamo per un momento da parte le fesserie e guardiamo come stanno le cose. Per le norme dello Stato italiano, tutti i pensionati possono lavorare sia con rapporto di tipo subordinato che autonomo. Lo possono, naturalmente, anche i giornalisti perché l’Inpgi non lo vieta, non potrebbe farlo. Il nostro ente (unico fra tutti gli istituti previdenziali) pone solo un massimale di reddito da lavoro (attualmente poco più di 20 mila euro lordi l’anno) oltre il quale scatta una trattenuta sulla pensione.
La norma è una delle decisioni contorte e contraddittorie prese dal nostro istituto. Infatti è una regola vessatoria ma transitoria. Vale solo per chi anticipa il pensionamento. Chi smette il lavoro a 65 anni (60 se donna) non è soggetto a nessun cumulo.
Non conosco le ragioni precise di questa bizzarria e, francamente, non me ne importa nulla. So, però, che gli oltre 700 prepensionati degli ultimi due anni (quasi tutti costretti a lasciare anticipatamente il lavoro) sono strafelici di questa regola, mentre gli “over 65” (o 60 se donne) piangono se lavorano, coscienti che stanno togliendo il pane ai loro figli.
Ma vediamo un po’ come è composto questo piccolo esercito di sbafatori di risorse, di affamatori di precari.
Secondo i dati dell’Inpgi i prepensionati che lavorano sono 365, dei quali 45 sono soggetti al cumulo, cioè guadagnano più di 20 mila euro lordi l’anno (1700 euro al mese, come dice Cescutti che conosce l’aritmetica). Poiché i titolari di pensione diretta sono di poco superiori alle 5 mila unità, vuol dire che lavora il 7% dei giornalisti pensionati, mentre meno dell’1% percepisce più di 20 mila euro.
Gentili colleghi, demagoghi e moralisti, mi sapete dire di cosa parliamo? Davvero fate finta di credere che questi quattro gatti di giornalisti (i 45 reprobi) sono in grado di mantenere nel ghetto la massa dei precari? C’è la netta sensazione che si voglia pescare nel torbido e giocare la carta dei pensionati per altri scopi. C’è chi vorrebbe rimettere le mani sull’Inpgi, magari per interposta persona: chi vorrebbe ritagliarsi un ruolo qualsiasi, ora che l’Ordine è sul viale del tramonto. In mezzo il grande numero di quelli ai quali non dispiacerebbe un posticino al caldo, discretamente pagato. L’imminente sentenza della Cassazione, che potrebbe decidere di far prevalere la legge dello Stato sul regolamento dell’Inpgi, crea nervosismo e agita anche chi dovrebbe starsene tranquillo e godersi i frutti del meritato risposo.
Diamo un’occhiata alla realtà vera del nostro mondo: gli iscritti all’Ordine superano i 110 mila, il 55% dei quali non ha alcuna posizione previdenziale presso l’Inpgi, cioè non fanno i giornalisti, ma votano. Forse Iacopino si sta occupando di loro (nel senso di cancellarli dall’Ordine perché non giornalisti) con lo stesso entusiasmo che dimostra nell’occuparsi dei pensionati?
I 45 mila che fanno i giornalisti sono soprattutto autonomi (25 mila) contro i 20 mila con posto fisso. I dati (vengono da una ricerca di “Libertà di stampa – diritto all’informazione”) dimostrano, com’è già stato scritto che “calano i garantiti, crescono i disperati”.
E’ un mondo radicalmente cambiato, venuto avanti in tempi piuttosto rapidi, sfuggito al controllo del sindacato, spinto dall’interesse all’innovazione degli editori basato quasi esclusivamente sul risparmio del costo del lavoro. Ma è anche un mondo spaventosamente dequalificato che accentua il calo di credibilità e di autorevolezza della stampa italiana.
Possiamo intervenire a correggere queste storture insieme ad Iacopino che, quand’è di buonumore, si mette la giacca da carabiniere e vuole andare nelle redazioni alla caccia dei pensionati, fornito di regolare elenco che chiede (invano) gli sia passato dall’Inpgi? Esiste, o no, un limite a tutto, anche alla demagogica leggerezza?
Cescutti, invece, è più elegante. Con la consueta dolcezza che gli è nel carattere si limita ad ordinare: alla prossime elezioni votate nel Consiglio generale Inpgi dieci pensionati che si impegnino a mantenere il cumulo. E’ anche lui un cultore del “pensiero unico”, di quelli che dicono: “meglio stupido ma ubbidiente”? Visto dall’Inpgi il cumulo è una briciola.
L’istituto per la sua gestione non ha bisogno di “yes men”, ma di gente forte, autorevole e autonoma dalle conventicole e dai centri di potere: troppo importante per rischiare di lasciarlo in mano a gente di scarso valore, di ancor minore senso della responsabilità.

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I ministeri vigilanti, a metà novembre, hanno approvato la riforma varata dal CdA dell’Inpgi nel luglio scorso. E’ la manovra che prevede l’aumento dei contributi, dell’età pensionabile delle donne e gli sgravi contributivi per chi assume a tempo indeterminato. Quest’ultimo aspetto è una formidabile occasione per editori intelligenti ed anche una severa messa in prova per la capacità della Fnsi: riusciranno Franco Siddi ed i suoi “ragazzi” nella straordinaria impresa di spingere all’angolo il lavoro precario? Iacopino, in questo, non centra un fico secco: lui, al sindacato, non è neppure iscritto. IL GIORNALISTA PENSIONATO N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 2011

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