Guido Columba, presidente nazionale dell’Unci
Julian Assange
MILANO – Lo sviluppo tecnologico è positivo: costituisce la storia stessa dell’umanità. Tutte le nuove tecnologie sono positive perché migliorano il modo di vivere, portano nuovi prodotti, riducono i tempi e i costi (anche se questo vuol dire soprattutto meno persone impiegate).
Tuttavia non si possono sottovalutare i risvolti negativi. Per fare un esempio, che non sia il solito banale dell’energia nucleare, l’automobile evidentemente ha prodotto una rivoluzione positiva, le persone possono muoversi liberamente e facilmente, il risvolto però sono le migliaia di vittime e le centinaia di migliaia di feriti all’anno, gli ingorghi e l’inquinamento.
Nella relazione tra Internet e l’informazione avviene lo stesso fenomeno. Ho detto informazione, e questo vocabolo è determinante: indica che al cittadino viene fornita una notizia che è stata trovata, verificata e scritta o raccontata da un giornalista. Da un professionista cioè, (anche se in questi anni ci sono molti giovani ridotti a fare il mestiere di giornalista in modo irregolare) che è tenuto dalla legge dello Stato e dalle norme deontologiche del proprio ordine, a dare le notizie in modo corretto, compiuto e tempestivo, soprattutto tendendo a rendere la verità dei fatti. Occorre, dunque, fare molta attenzione alla differenza tra informazione, che sulla carta dovrebbe essere asettica e disinteressata, e comunicazione, cioè la propaganda soprattutto politica, economico e finanziaria. Di notizie fornite dallo stesso soggetto che beneficia del loro contenuto, ce ne sono troppissime, uso volutamente questo vocabolo esasperato.
Se l’informazione è un diritto del cittadino, ne consegue che per il giornalista è un dovere. C’è sempre un po’ di confusione quando si parla di queste cose e spesso ci si rifugia nel concetto di diritto di cronaca per cercare di risolvere il problema.
Il diritto di cronaca è stato riconosciuto ai giornalisti dalla giurisprudenza, poiché nella legislazione non se ne parla: da molto tempo però tutto il giornalismo, Federazione della Stampa, Ordine dei Giornalisti, Unione Cronisti, riconoscono che è il cittadino il titolare del diritto di cronaca, in applicazione dell’art 21 della Costituzione, e che ha diritto a ricercarla come e dove vuole, senza le barriere di un tempo che ne limitavano la libertà.
L’informazione, come l’ho delineata prima, è una sola, e si declina secondo i differenti mezzi di diffusione al pubblico: carta stampata, tv, radio, on-line, immagine. Ciascuno di essi ha peculiarità che rendono diverso il messaggio, ma il contenuto di attendibilità rimane lo stesso, o dovrebbe.
Sull’informazione, sempre più spesso si moltiplicano indagini, sondaggi e ricerche, la cui attendibilità è spesso dubbia, che dicono tutto e il contrario di tutto, ma lanciano il loro messaggio come se fosse la verità assoluta.
Lo scorso ottobre Civiltà cattolica ha sostenuto che il giornalismo italiano è in “crisi” perché per il 49,8% degli italiani la categoria dei giornalisti risulta “poco affidabile”. “L’ansia di arrivare per primi ha aumentato errori, imprecisioni e diminuito il controllo sull’attendibilità delle fonti” ha detto la rivista dei Gesuiti “l’istantaneità dell’informazione limita la capacità di contestualizzare, ricordare, analizzare e confrontare le notizie tra loro; l’onnipresenza dei media sta abituando a far pensare vero ciò che emoziona, al punto che l’informazione, con il suo linguaggio, enfatizzando il pathos (colpire le emozioni dell’ascoltatore) ignora il logos (educare a ragionare)”.
Qualche anno fa una ricerca della società di comunicazione ligure Chiappe e Revello, ha detto che gli utenti giudicano affidabile solo Internet. Chiamati a dare un voto da uno a dieci sul livello di affidabilità/credibilità dei media, gli interpellati hanno dato la sufficienza solo a Internet con 6,2 e bocciato tutti gli altri media: 5,5 la carta stampata, 4,9 l’informazione italiana in generale, 3,9 quella televisiva, 3,4 quella telefonica
Nel novembre 2007 il 16° Osservatorio Demos-Coop sul Capitale sociale, ha detto che la televisione è in cima alla classifica del pubblico ma è in coda a quella della credibilità. E’ il principale strumento di informazione per i cittadini: la vedono tutti, tutti i giorni. Ma, per l’attendibilità, è superata da vecchie e nuove fonti: da Internet, ma anche dai giornali e, soprattutto, dalla radio. L’indagine ha rilevato che la televisione (94%), i quotidiani (63%) e la radio (61%) rappresentano mezzi “tradizionali” ampiamente utilizzati per informarsi. In particolare, quasi la totalità della popolazione apprende le notizie dalla Tv. Però tv digitale (29%) o Internet (39%) sono un’esperienza quotidiana per una parte considerevole di cittadini. L’indagine Demos-Coop fa osservare, inoltre, come la radio (60%), ma anche Internet (36%) e i quotidiani (38%) siano ritenuti più affidabili della televisione (30%).
Lo scorso luglio è stato reso noto il nono rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione. Il rilievo più significativo è lo stato di diffuso scetticismo sulla credibilità del nostro sistema mediatico: il 49,8% degli intervistati giudica i mass media “poco affidabili”; ancor più severo il giudizio sull’autonomia e sulla libertà d’esercizio del giornalismo: il 67,2%, cioè più di 2 italiani su 3, denuncia che i massmedia sono “poco indipendenti”. In una scala di valori da 0 a 10 al livello della credibilità, la televisione arriva a 5,74, la carta stampata a 5,95. Si salva invece la radio (6,28) e ancor più il web! che risulta il più credibile dei media (6,51).
Il rapporto dice anche che nel 2011 l’utenza di Internet si attesta al 53,1%, in crescita del 6,1% rispetto al 2009. L’87,4% degli utenti è costituito da giovani tra i 14 e i 29 anni, mentre gli anziani tra i 65 e i 80 anni sono il 15,1%. Nel mondo dell’informazione, la centralità della televisione è ancora fuori discussione, visto che l’80,9% degli italiani la utilizza come fonte. Tra i giovani, però, il dato scende al 69,2%, avvicinandosi al 65,7% raggiunto dai motori di ricerca su Internet e al 61,5% di Facebook.
Lo scorso ottobre al congresso dell’Unione mondiale dei giornali e degli editori a Vienna è stato rilevato che il numero di lettori dei quotidiani, su scala mondiale, continua ad essere superiore a quello degli utenti di Internet, almeno per il 20%. I primi, in un giorno medio, raggiungono 2,3 miliardi di persone, contro 1,9 miliardi di internauti giornalieri. La diffusione dei quotidiani, comunque, è calata dai 528 milioni di copie giornaliere del 2009 a 519 milioni.
Quali che siano le considerazioni e come la si voglia mettere, le ricerche confermano ciò che è esperienza comune: Internet e le altre tecnologie digitali si sono saldamente insediate e rappresentano il futuro. Ho detto all’inizio che considero positivo lo sviluppo tecnologico, nel campo specifico dell’informazione ricordo quale fervore e aspettativa di liberazione dalle pastoie dell’informazione ingessata e ufficiale accompagnò la nascita delle Tv cosiddette libere.
Internet, comunque, è una tecnologia ormai matura, altre e più avanzate incalzano, che vive di vita propria e poco si cura nella sua travolgente espansione di lacci e lacciuoli adottati o ipotizzati.
Conviene, quindi, cercare di comprendere esigenze e potenzialità di Internet al fine di minimizzare i rischi. Che, nel mondo dell’informazione, sono essenzialmente quelli che dicevo all’inizio: attendibilità, indipendenza, equidistanza. Evidentemente è l’attendibilità il tema più scottante. Vorrei sapere se qualcuno è in grado di garantire che un miliardario non possa fondare un migliaio di Blog e condurre attraverso di essi, in modo occulto, la propria politica.
Il tema dell’attendibilità è molto delicato e assurge a livelli globali per il meccanismo di riproduzione dell’informazione da una testata all’altra. Se un blog, squalificato per i suoi lettori, pubblica una notizia sballata si dirà, poco male. Ma se a leggerla è anche il redattore di un’agenzia di stampa che, non potendo o non volendo fare controlli, la rilancia parapara, che succede? Che i redattori delle Tv e dei giornali e i blogger, non solo in Italia ma in tutto il mondo, ritengono giustamente che la notizia abbia il target di qualità dell’agenzia e la trasmettono: con le interconnessioni attuali una notizia del genere – priva di garanzie di qualità e di controlli – potrebbe fare il giro del mondo su tutti i media. Non si tratta di fantascienza, qualche caso è già avvenuto.
Gli aspetti positivi di Internet, comunque, sono al momento più rilevanti, basti pensare che si sono moltiplicati i possibili testimoni diretti – cosa che dovrebbe essere alla base del giornalismo – degli avvenimenti. C’è sempre qualcuno che assiste ad un disastro naturale ed è in grado di dare notizie e immagini in diretta. E’ attraverso Internet che sono giunte informazioni sulla recente “primavera” araba, anche se il ruolo svolto dai blogger non è sempre stato cristallino ed esiste il sospetto di orchestrazioni intercettate. La “disinformatia” è un’arma da sempre. Voglio dire che non esiste un media che per sua sola natura sia veritiero, la sua attendibilità deve essere sempre controllata.
Internet rappresenta, inoltre, uno strumento “nuovo” e quindi esente da pecche e vizi ormai consolidati nei media tradizionali. E’ uno strumento da accompagnare nella sua crescita, da non guardare con sufficienza, da considerare parte integrante del mondo dell’informazione e come tale titolare di diritti e difese. In questo ambito suonano proprio stonate alcune, reiterate, iniziative della magistratura inquirente contro Blog e altri sistemi on-line. Magistratura che, peraltro, non smette di cercare di intimidire i cronisti come è accaduto ancora a Siena dove, per aver pubblicato un avviso di concluse indagini, un atto a conoscenza delle parti e quindi non più segreto, è stata perquisita la redazione de “La Nazione”.
I Blog, però, non possono pensare di vivere in un ambito di impunità, sono tenuti come tutti a rispettare le norme sulla responsabilità di chi fa informazione e di legge. Nella parte finale della lotta contro il disegni di legge sulle intercettazioni i blogger hanno protestato contro l’eventualità di essere obbligati a pubblicare le smentite. Le loro argomentazioni erano inaccettabili, sostenevano infatti di non essere in grado organizzativamente e tecnicamente di pubblicare le smentite come gli altri organi di informazione.
A parte la considerazione che non si può chiedere la tutela dell’informazione solo quando conviene, la risposta che avrei dato è: non c’è problema, fermatevi cinque minuti, autonomamente, senza coercizioni, e quando vi siete organizzati ricominciate a trasmettere. La cosa importante è però questa: il tema della smentita era solo uno dei punti del famigerato disegno di legge sulle intercettazioni, quello che, non dimentichiamolo, da un lato voleva impedire ai magistrati di usare le intercettazioni nelle indagini e dall’altro voleva impedire ai cittadini di essere informati sul tema. Ebbene il congegno della smentita prevedeva che chiunque, a sua sola sensazione potesse scrivere a un organo di informazione pretendendo la pubblicazione della sua smentita senza alcun commento. Come si vede era una cosa molto più grave che non l’imposizione ai blog. Per fare un paradosso, se un rapinatore armato di mitra arrestato dentro una banca avesse chiesto di smentire la notizia del suo arresto sostenendo che nel giorno indicato era ad Assisi a fare gli esercizi spirituali, i giornali avrebbero dovuto pubblicarlo senza alcuna possibilità di replica.
Quanto l’Unione cronisti creda al mezzo digitale lo testimonia il premio, che lo scorso marzo a Viareggio, abbiamo assegnato a Julian Assange per il giornalismo internazionale. WikiLeaks non ha rilevato nulla di veramente inedito, non ha fatto veri scoop, ma ha fatto un’opera eccezionale di disvelamento degli “arcana imperii”, i segreti che sovrintendono all’esercizio del potere: ha dato le prove di ciò che molti avevano pensato solo guardando le dinamiche degli avvenimenti, ma senza poterne avere la certezza. WikiLeaks non ha rivelato cose illegittime, le ha rivelate e basta e ciò ha mandato su tutte le furie chi agisce nell’ombra scatenando contro Assange accuse e reazioni di ogni tipo.
Tanto per essere chiaro, in finale, il giornalismo va difeso con tutte le forze perché è uno strumento di libertà, di civiltà e di crescita democratica, perché solo se è informato di ciò che avviene un cittadino può partecipare in modo consapevole alla vita pubblica. Ed è per questo che abbiamo difeso con le unghie e con i denti la possibilità di pubblicare le intercettazioni che la Procura abbia reso note all’imputato.
Ben quattro Guardasigilli hanno tentato di impedire che gli italiani venissero a conoscenza di ciò che si dicono veramente coloro che dovrebbero governare nell’interesse generale. Castelli, Mastella, Alfano, che almeno ci hanno messo il nome e la faccia, e Palma, che si è vergognato di firmare il disegno di legge. Tutti e quattro sono stati sconfitti da una grande coalizione che ha visto, come era giusto, in prima linea l’Unione Cronisti, la Federazione e l’Ordine e nella quale era schierato anche l’Osservatorio sulla legalità.
Nella battaglia ci sono state di grande conforto le sentenze della Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, la cui giurisprudenza è ormai univoca e senza tentennamenti: niente e nessuno può indebolire il ruolo di “cane da guardia della democrazia” che solo la stampa libera è in grado di assicurare.
Però nessuno di noi può dare poi troppe lezioni. Per mesi davanti alle nostre coste e con il coinvolgimento delle nostre forze armate si è combattuta in Libia una vera guerra e l’informazione, nè quella tradizionale, nè quella digitale è riuscita dare una sola notizia. La censura militare ha zittito tutti: cronisti, reporter, giornalisti on-line e grandi inviati internazionali di guerra, non solo quelli italiani per la verità.
L’intervento del presidente nazionale dell’Unci, Guido Columba, al convegno “Internet fra libertà e diritti”
Nuovi media, diritto di cronaca e diritto all’informazione
Guido Columba, presidente nazionale dell’Unci
Julian Assange
MILANO – Lo sviluppo tecnologico è positivo: costituisce la storia stessa dell’umanità. Tutte le nuove tecnologie sono positive perché migliorano il modo di vivere, portano nuovi prodotti, riducono i tempi e i costi (anche se questo vuol dire soprattutto meno persone impiegate).
Tuttavia non si possono sottovalutare i risvolti negativi. Per fare un esempio, che non sia il solito banale dell’energia nucleare, l’automobile evidentemente ha prodotto una rivoluzione positiva, le persone possono muoversi liberamente e facilmente, il risvolto però sono le migliaia di vittime e le centinaia di migliaia di feriti all’anno, gli ingorghi e l’inquinamento.
Nella relazione tra Internet e l’informazione avviene lo stesso fenomeno. Ho detto informazione, e questo vocabolo è determinante: indica che al cittadino viene fornita una notizia che è stata trovata, verificata e scritta o raccontata da un giornalista. Da un professionista cioè, (anche se in questi anni ci sono molti giovani ridotti a fare il mestiere di giornalista in modo irregolare) che è tenuto dalla legge dello Stato e dalle norme deontologiche del proprio ordine, a dare le notizie in modo corretto, compiuto e tempestivo, soprattutto tendendo a rendere la verità dei fatti. Occorre, dunque, fare molta attenzione alla differenza tra informazione, che sulla carta dovrebbe essere asettica e disinteressata, e comunicazione, cioè la propaganda soprattutto politica, economico e finanziaria. Di notizie fornite dallo stesso soggetto che beneficia del loro contenuto, ce ne sono troppissime, uso volutamente questo vocabolo esasperato.
Se l’informazione è un diritto del cittadino, ne consegue che per il giornalista è un dovere. C’è sempre un po’ di confusione quando si parla di queste cose e spesso ci si rifugia nel concetto di diritto di cronaca per cercare di risolvere il problema.
Il diritto di cronaca è stato riconosciuto ai giornalisti dalla giurisprudenza, poiché nella legislazione non se ne parla: da molto tempo però tutto il giornalismo, Federazione della Stampa, Ordine dei Giornalisti, Unione Cronisti, riconoscono che è il cittadino il titolare del diritto di cronaca, in applicazione dell’art 21 della Costituzione, e che ha diritto a ricercarla come e dove vuole, senza le barriere di un tempo che ne limitavano la libertà.
L’informazione, come l’ho delineata prima, è una sola, e si declina secondo i differenti mezzi di diffusione al pubblico: carta stampata, tv, radio, on-line, immagine. Ciascuno di essi ha peculiarità che rendono diverso il messaggio, ma il contenuto di attendibilità rimane lo stesso, o dovrebbe.
Sull’informazione, sempre più spesso si moltiplicano indagini, sondaggi e ricerche, la cui attendibilità è spesso dubbia, che dicono tutto e il contrario di tutto, ma lanciano il loro messaggio come se fosse la verità assoluta.
Lo scorso ottobre Civiltà cattolica ha sostenuto che il giornalismo italiano è in “crisi” perché per il 49,8% degli italiani la categoria dei giornalisti risulta “poco affidabile”. “L’ansia di arrivare per primi ha aumentato errori, imprecisioni e diminuito il controllo sull’attendibilità delle fonti” ha detto la rivista dei Gesuiti “l’istantaneità dell’informazione limita la capacità di contestualizzare, ricordare, analizzare e confrontare le notizie tra loro; l’onnipresenza dei media sta abituando a far pensare vero ciò che emoziona, al punto che l’informazione, con il suo linguaggio, enfatizzando il pathos (colpire le emozioni dell’ascoltatore) ignora il logos (educare a ragionare)”.
Qualche anno fa una ricerca della società di comunicazione ligure Chiappe e Revello, ha detto che gli utenti giudicano affidabile solo Internet. Chiamati a dare un voto da uno a dieci sul livello di affidabilità/credibilità dei media, gli interpellati hanno dato la sufficienza solo a Internet con 6,2 e bocciato tutti gli altri media: 5,5 la carta stampata, 4,9 l’informazione italiana in generale, 3,9 quella televisiva, 3,4 quella telefonica
Nel novembre 2007 il 16° Osservatorio Demos-Coop sul Capitale sociale, ha detto che la televisione è in cima alla classifica del pubblico ma è in coda a quella della credibilità. E’ il principale strumento di informazione per i cittadini: la vedono tutti, tutti i giorni. Ma, per l’attendibilità, è superata da vecchie e nuove fonti: da Internet, ma anche dai giornali e, soprattutto, dalla radio. L’indagine ha rilevato che la televisione (94%), i quotidiani (63%) e la radio (61%) rappresentano mezzi “tradizionali” ampiamente utilizzati per informarsi. In particolare, quasi la totalità della popolazione apprende le notizie dalla Tv. Però tv digitale (29%) o Internet (39%) sono un’esperienza quotidiana per una parte considerevole di cittadini. L’indagine Demos-Coop fa osservare, inoltre, come la radio (60%), ma anche Internet (36%) e i quotidiani (38%) siano ritenuti più affidabili della televisione (30%).
Lo scorso luglio è stato reso noto il nono rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione. Il rilievo più significativo è lo stato di diffuso scetticismo sulla credibilità del nostro sistema mediatico: il 49,8% degli intervistati giudica i mass media “poco affidabili”; ancor più severo il giudizio sull’autonomia e sulla libertà d’esercizio del giornalismo: il 67,2%, cioè più di 2 italiani su 3, denuncia che i massmedia sono “poco indipendenti”. In una scala di valori da 0 a 10 al livello della credibilità, la televisione arriva a 5,74, la carta stampata a 5,95. Si salva invece la radio (6,28) e ancor più il web! che risulta il più credibile dei media (6,51).
Il rapporto dice anche che nel 2011 l’utenza di Internet si attesta al 53,1%, in crescita del 6,1% rispetto al 2009. L’87,4% degli utenti è costituito da giovani tra i 14 e i 29 anni, mentre gli anziani tra i 65 e i 80 anni sono il 15,1%. Nel mondo dell’informazione, la centralità della televisione è ancora fuori discussione, visto che l’80,9% degli italiani la utilizza come fonte. Tra i giovani, però, il dato scende al 69,2%, avvicinandosi al 65,7% raggiunto dai motori di ricerca su Internet e al 61,5% di Facebook.
Lo scorso ottobre al congresso dell’Unione mondiale dei giornali e degli editori a Vienna è stato rilevato che il numero di lettori dei quotidiani, su scala mondiale, continua ad essere superiore a quello degli utenti di Internet, almeno per il 20%. I primi, in un giorno medio, raggiungono 2,3 miliardi di persone, contro 1,9 miliardi di internauti giornalieri. La diffusione dei quotidiani, comunque, è calata dai 528 milioni di copie giornaliere del 2009 a 519 milioni.
Quali che siano le considerazioni e come la si voglia mettere, le ricerche confermano ciò che è esperienza comune: Internet e le altre tecnologie digitali si sono saldamente insediate e rappresentano il futuro. Ho detto all’inizio che considero positivo lo sviluppo tecnologico, nel campo specifico dell’informazione ricordo quale fervore e aspettativa di liberazione dalle pastoie dell’informazione ingessata e ufficiale accompagnò la nascita delle Tv cosiddette libere.
Internet, comunque, è una tecnologia ormai matura, altre e più avanzate incalzano, che vive di vita propria e poco si cura nella sua travolgente espansione di lacci e lacciuoli adottati o ipotizzati.
Conviene, quindi, cercare di comprendere esigenze e potenzialità di Internet al fine di minimizzare i rischi. Che, nel mondo dell’informazione, sono essenzialmente quelli che dicevo all’inizio: attendibilità, indipendenza, equidistanza. Evidentemente è l’attendibilità il tema più scottante. Vorrei sapere se qualcuno è in grado di garantire che un miliardario non possa fondare un migliaio di Blog e condurre attraverso di essi, in modo occulto, la propria politica.
Il tema dell’attendibilità è molto delicato e assurge a livelli globali per il meccanismo di riproduzione dell’informazione da una testata all’altra. Se un blog, squalificato per i suoi lettori, pubblica una notizia sballata si dirà, poco male. Ma se a leggerla è anche il redattore di un’agenzia di stampa che, non potendo o non volendo fare controlli, la rilancia parapara, che succede? Che i redattori delle Tv e dei giornali e i blogger, non solo in Italia ma in tutto il mondo, ritengono giustamente che la notizia abbia il target di qualità dell’agenzia e la trasmettono: con le interconnessioni attuali una notizia del genere – priva di garanzie di qualità e di controlli – potrebbe fare il giro del mondo su tutti i media. Non si tratta di fantascienza, qualche caso è già avvenuto.
Gli aspetti positivi di Internet, comunque, sono al momento più rilevanti, basti pensare che si sono moltiplicati i possibili testimoni diretti – cosa che dovrebbe essere alla base del giornalismo – degli avvenimenti. C’è sempre qualcuno che assiste ad un disastro naturale ed è in grado di dare notizie e immagini in diretta. E’ attraverso Internet che sono giunte informazioni sulla recente “primavera” araba, anche se il ruolo svolto dai blogger non è sempre stato cristallino ed esiste il sospetto di orchestrazioni intercettate. La “disinformatia” è un’arma da sempre. Voglio dire che non esiste un media che per sua sola natura sia veritiero, la sua attendibilità deve essere sempre controllata.
Internet rappresenta, inoltre, uno strumento “nuovo” e quindi esente da pecche e vizi ormai consolidati nei media tradizionali. E’ uno strumento da accompagnare nella sua crescita, da non guardare con sufficienza, da considerare parte integrante del mondo dell’informazione e come tale titolare di diritti e difese. In questo ambito suonano proprio stonate alcune, reiterate, iniziative della magistratura inquirente contro Blog e altri sistemi on-line. Magistratura che, peraltro, non smette di cercare di intimidire i cronisti come è accaduto ancora a Siena dove, per aver pubblicato un avviso di concluse indagini, un atto a conoscenza delle parti e quindi non più segreto, è stata perquisita la redazione de “La Nazione”.
I Blog, però, non possono pensare di vivere in un ambito di impunità, sono tenuti come tutti a rispettare le norme sulla responsabilità di chi fa informazione e di legge. Nella parte finale della lotta contro il disegni di legge sulle intercettazioni i blogger hanno protestato contro l’eventualità di essere obbligati a pubblicare le smentite. Le loro argomentazioni erano inaccettabili, sostenevano infatti di non essere in grado organizzativamente e tecnicamente di pubblicare le smentite come gli altri organi di informazione.
A parte la considerazione che non si può chiedere la tutela dell’informazione solo quando conviene, la risposta che avrei dato è: non c’è problema, fermatevi cinque minuti, autonomamente, senza coercizioni, e quando vi siete organizzati ricominciate a trasmettere. La cosa importante è però questa: il tema della smentita era solo uno dei punti del famigerato disegno di legge sulle intercettazioni, quello che, non dimentichiamolo, da un lato voleva impedire ai magistrati di usare le intercettazioni nelle indagini e dall’altro voleva impedire ai cittadini di essere informati sul tema. Ebbene il congegno della smentita prevedeva che chiunque, a sua sola sensazione potesse scrivere a un organo di informazione pretendendo la pubblicazione della sua smentita senza alcun commento. Come si vede era una cosa molto più grave che non l’imposizione ai blog. Per fare un paradosso, se un rapinatore armato di mitra arrestato dentro una banca avesse chiesto di smentire la notizia del suo arresto sostenendo che nel giorno indicato era ad Assisi a fare gli esercizi spirituali, i giornali avrebbero dovuto pubblicarlo senza alcuna possibilità di replica.
Quanto l’Unione cronisti creda al mezzo digitale lo testimonia il premio, che lo scorso marzo a Viareggio, abbiamo assegnato a Julian Assange per il giornalismo internazionale. WikiLeaks non ha rilevato nulla di veramente inedito, non ha fatto veri scoop, ma ha fatto un’opera eccezionale di disvelamento degli “arcana imperii”, i segreti che sovrintendono all’esercizio del potere: ha dato le prove di ciò che molti avevano pensato solo guardando le dinamiche degli avvenimenti, ma senza poterne avere la certezza. WikiLeaks non ha rivelato cose illegittime, le ha rivelate e basta e ciò ha mandato su tutte le furie chi agisce nell’ombra scatenando contro Assange accuse e reazioni di ogni tipo.
Tanto per essere chiaro, in finale, il giornalismo va difeso con tutte le forze perché è uno strumento di libertà, di civiltà e di crescita democratica, perché solo se è informato di ciò che avviene un cittadino può partecipare in modo consapevole alla vita pubblica. Ed è per questo che abbiamo difeso con le unghie e con i denti la possibilità di pubblicare le intercettazioni che la Procura abbia reso note all’imputato.
Ben quattro Guardasigilli hanno tentato di impedire che gli italiani venissero a conoscenza di ciò che si dicono veramente coloro che dovrebbero governare nell’interesse generale. Castelli, Mastella, Alfano, che almeno ci hanno messo il nome e la faccia, e Palma, che si è vergognato di firmare il disegno di legge. Tutti e quattro sono stati sconfitti da una grande coalizione che ha visto, come era giusto, in prima linea l’Unione Cronisti, la Federazione e l’Ordine e nella quale era schierato anche l’Osservatorio sulla legalità.
Nella battaglia ci sono state di grande conforto le sentenze della Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, la cui giurisprudenza è ormai univoca e senza tentennamenti: niente e nessuno può indebolire il ruolo di “cane da guardia della democrazia” che solo la stampa libera è in grado di assicurare.
Però nessuno di noi può dare poi troppe lezioni. Per mesi davanti alle nostre coste e con il coinvolgimento delle nostre forze armate si è combattuta in Libia una vera guerra e l’informazione, nè quella tradizionale, nè quella digitale è riuscita dare una sola notizia. La censura militare ha zittito tutti: cronisti, reporter, giornalisti on-line e grandi inviati internazionali di guerra, non solo quelli italiani per la verità.