Il seminario Efj/Etui di Fiesole ricorda che “il compenso dev’essere dignitoso ed equo”

Freelance: lavorare gratis è giornalismo?

Il seminario Efj/Etui in corso a Fiesole

FIESOLE (Firenze) – Giornata conclusiva, a Fiesole, del seminario internazionale Efj/Etui su “I cambiamenti dell’industria dell’informazione”.
Alle 9.30, al Centro Studi Cisl, l’ultima giornata di lavori della tre giorni organizzata dall’European Federation of Journalists e dall’European Trade Union Institute, si aprirà con la discussione plenaria per la presentazione dei risultati dei Gruppi di lavoro su “Strategie Freelance” (Cosa devono fare i sindacati per poter rispondere meglio alle necessità dei freelance) e su “Mappatura e Reclutamento” (Chi organizza chi e come).
La riunione, presieduta da Judith Reitstatter (Gpa – Austria) precederà le conclusioni ed il Piano d’azione affidati, alle 11.15, ad Arne Konig (presidente Efj) e Renate Schroeder (Efj).
La giornata di ieri è stata dedicata ad importanti temi, come remunerazioni e tariffe, contratti ingiusti e diritti d’autore ed ipotesi di contrattazione collettiva per i freelance, confrontando le esperienze dei sindacati dei giornalisti europei, impegnati a cercare risposte alle crescenti condizioni di precariato e di disagio dei giornalisti freelance.
Il presidente dell’Efj, Arne Konig, ed il finlandese Heikki Jokinen (Sjl), in particolare, hanno posto l’accento sulla tentazione, sempre più diffusa in Europa, ma da tempo in uso in Italia, di non pagare gli articoli alla consegna, come normalmente – ha ricordato Martine Rossard (Snj) – avviene in Francia.
In Italia si è riusciti a ridurre i tempi d’attesa da 60 a 30 giorni, ma di fatto nella stragrande maggioranza dei casi il periodo si allunga notevolmente e, soprattutto, quasi sempre esclude dai compensi il materiale non pubblicato. Un “orrore” per la maggior parte dei giornalisti europei.
“Quando entriamo in un supermercato a fare la spesa – ha ricordato Jokinen – paghiamo sempre alla cassa. Così dev’essere per un articolo, una foto, un disegno o un fumetto. Il lavoro deve essere pagato alla consegna, indipendentemente da suo utilizzo. Sarebbe come prendere una busta di latte al supermercato e pagarla soltanto se si decide di consumarla”. Certo, ha osservato Judith Acsay (Muosz), esiste anche una via di mezzo: “In Ungheria, ad esempio, se un articolo non viene pubblicato, viene corrisposto all’autore il cinquanta per cento del compenso”.
“Ottant’anni fa – ha ricordato il direttore della Fnsi, Giancarlo Tartaglia – paradossalmente in Italia le cose andavano molto meglio. A Gabriele D’Annunzio, che chiedeva un anticipo sugli articoli che avrebbe dovuto scrivere per il Corriere della Sera, l’allora direttore Albertini rispose: «Ti ho già dato anticipi per un anno. Con questa richiesta arriveremo a due»”. “La verità – ha tagliato corto Tartaglia – è che manca un efficace sistema sanzionatorio. E come diceva un insigne giurista: la norma senza la sanzione è come la campana senza il batacchio”.
Per il presidente dell’Efj, Arne Konig, insomma, il problema è sempre più grande in un’Europa nella quale la maggior parte del materiale pubblicato dai giornali viene fornita dai freelance pagati con retribuzioni molto basse”. Dunque, ha chiosato Judith Acsay, obiettivo dei freelance dev’essere quello di aggiungere al termine compenso gli aggettivi dignitoso ed equo”.
“Certo – ha aggiunto Carlo Parisi – bisogna anche tenere conto che l’Europa ha raggiunto la moneta unica, ma è ancora molto vario il valore che i singoli Stati attribuiscono alla dignità del lavoro. Se in Austria percepire 500 euro al mese equivale a lavorare gratis, in Italia per molti significa addirittura privilegio.
Dunque, bisogna affrontare il problema partendo dalla consapevolezza che accordarsi per compensi irrisori significa, oltre che mortificare la propria dignità umana e professionale, mettere in discussione se, in effetti, si svolge una vera e propria attività professionale”.
“Un buon giornalismo – ha concluso l’inglese John Toner (Nuj) – è un bene pubblico; un peggior giornalismo è una minaccia all’opinione pubblica”.

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