La manovra uccide l’Ordine cancellando i pubblicisti e imponendo assurdi balzelli. Altro che semplificazione

Professioni: costringiamo il Governo a fare marcia indietro

Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti

ROMA – L’inesorabile destino degli ordini professionali è contenuto nell’articolo 3 titolo II del decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 (“Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”), nella parte relativa a “Liberalizzazioni, privatizzazioni ed altre misure per favorire lo sviluppo”, che il Governo Berlusconi definisce “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche”.
Anche se si parla ancora di ordini professionali, di fatto gli stessi vengono presi a picconate, svuotati di competenze e obbligati a imporre nuovi balzelli agli iscritti (vedi obbligo di stipulare una polizza assicurativa). E’, quindi, sempre più necessario continuare nella mobilitazione, anche attraverso la sottoscrizione della nostra petizione contro l‘abolizione dell’Ordine dei giornalisti, per  far sì che il decreto, firmato da Napolitano, venga adeguatamente modificato in Parlamento. Un’impresa non impossibile, considerate le frizioni già riesplose nella maggioranza, tanto che da più parti vengono reclamati urgenti “correttivi”.
“In attesa della revisione dell’articolo 41 della Costituzione – è scritto nel decreto – Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge” di conversione del decreto, “adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge” nei soli casi di: “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale; disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; disposizioni che comportano effetti sulla finanza pubblica”.
Nello specifico, il decreto prevede che, “fermo restando l’esame di Stato (di conseguenza i pubblicisti verranno cancellati con un colpo di scure – n.d.r.) di cui all’art. 33 comma 5 della Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate”, gli ordinamenti professionali debbano “garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti”.
Nel provvedimento del Governo “gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi: l’accesso alla professione è libero e il suo esercizio è fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista”.
“La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, è consentita – stabilisce il decreto – unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, in caso di esercizio dell’attività in forma societaria, della sede legale della società professionale”.
Inoltre, è previsto “l’obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM)”.
“Formazione continua”, naturalmente, significa dover sborsare continuamente denaro per vedersi rilasciare da un organismo – che in Italia sappiamo bene da quali soggetti, solitamente, viene formato – deputato a rilasciare un altro “pezzo di carta”, con buona pace della semplificazione burocratica.
“La violazione dell’obbligo di formazione continua – ammonisce il decreto – determina un illecito disciplinare e come tale è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale che dovrà integrare tale previsione”.
Inoltre, “ la disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l’accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a tre anni e potrà essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica; il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. E’ ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe” stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia”.
Dunque, in materia di compensi, è previsto tutto e il contrario di tutto. Si parla, infatti, di tariffe professionali, ma al contempo di “deroga alle tariffe”.
Inoltre, “a tutela del cliente”, il professionista “è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale”, pertanto un nuovo salatissimo balzello diventa obbligatorio per quanti già si trovano già in difficoltà per mettere insieme il pranzo e la cena.
“Il professionista – è scritto, infatti, nel decreto – deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale”. Le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti.
Gli ordinamenti professionali dovranno, inoltre, “prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. La carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali”. Ciò, in parole povere, significa sottrarre ai Consigli regionali e nazionale dell’Ordine i compiti disciplinari per affidarli a collegi dei probiviri da istituire a livello regionale e nazionale. Alla faccia della riduzione del numero di cariche elettive.
Anche la “pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie”. In quest’ultimo caso sarà, dunque, possibile leggere annunci del tipo: “AAA giornalista professionista disoccupato, munito di regolare certificato di aggiornamento professionale, offresi gratis pur di vedere la propria firma sul giornale”.
Non sarà così? Nella maggioranza di Governo, in tanti l’hanno già capito e stanno facendo sentire la loro voce. L’opposizione, invece, ancora una volta perde l’occasione di presentarsi come una valida alternativa. Nei sette punti della “controriforma” Pd, al punto “liberalizzazioni”, si parla di “realizzare subito proposte già presentate: ordini professionali…”. Altro che “controriforma”: Bersani offre una stampella al Governo per il quale i suoi stessi ministri stanno già suonando le campane a morto. Il decreto legge

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