Iacopino ha nascosto alla Camera il documento del Cnog, Siddi vuole ridurli al lumicino. Ma pagano 7 milioni di euro

La svendita dei pubblicisti sarà la tomba della categoria

Gino Falleri

ROMA – Sono come i grani di un rosario. I problemi che si affacciano sul mondo dell’informazione si susseguono l’uno dietro l’altro. Quasi ovunque. In Cina sono stati chiusi oltre un milione di siti web, con grave danno alla libertà di espressione, mentre in Inghilterra è scoppiato lo scandalo del “News of the World” di Rupert Murdoch, con la conseguente chiusura del settimanale per aver violato la privacy ed il licenziamento dell’intera redazione.
Sempre in Inghilterra il “Guardian” ha auspicato l’introduzione di un “giuramento di Ippocrate” per i giornalisti al fine di evitare la manipolazione dell’informazione e dare così certezza a quanto era solito affermare Charles Prestwich Scott, suo direttore per 57 anni, quando il giornale si chiamava “Manchester Guardian”: le notizie sono sacre e le opinioni sono libere.
Da noi tengono invece banco i precari, gli uffici stampa, i finanziamenti pubblici all’editoria sempre più risicati, il nuovo quadro normativo del settore dell’emittenza radiotelevisiva che produrrebbe disoccupazione, il calo della pubblicità e le intercettazioni telefoniche, punto di forza del diritto di cronaca.
Niente deve essere taciuto. Nessuna riflessione sul disinteresse dei giovani per il giornale cartaceo o iniziative contro l’eventuale cancellazione dell’Ordine. Solo qualche sobria parola sulla stagione delle querele e della class action, che sembra essere in atto per l’insofferenza nei confronti dei giornalisti.
Le inchieste su entrambi i fronti politici creano ombre e defezione nei consensi. E’ il lavoro il problema dei problemi ed è il più arduo da risolvere.
La Fnsi, il sindacato unitario, al termine del congresso di Bergamo si era impegnata ad individuare una soluzione per i precari, di chi lavora per pochi euro ad articolo ed è in genere senza coperture assicurative.
Niente previdenza e assistenza sanitaria. Un futuro quanto mai incerto. L’intervento della Fnsi ha come sponda la proposta di legge presentata da Silvano Moffa dei Responsabili e deve pure esserci intesa con la Fieg poiché, in sua mancanza, non si va lontano. Qualche frizione con il Consiglio nazionale dell’ordine proprio sui precari non è mancata.
Finora niente è andato al di là dei confronti e dell’identità di vedute. Per i primi di ottobre è in programma un incontro internazionale a Fiesole, nella sede del Centro Studi della Cisl, con la Fnsi capofila e a cui parteciperanno i Sindacati dei Paesi dell’Unione per lanciare un Progetto europeo contro la precarietà.
Nel frattempo serra i battenti più di una testata. Nella sola provincia di Latina, tanto per fare un esempio, sono state chiuse la redazione locale de “Il Tempo”, “Il Territorio”, “Il Corriere Pontino” ed ora Tele Etere. Anche il Velino, una autorevole agenzia, ha i suoi problemi.
Tutto questo non significa altro che disoccupazione intellettuale, che si scontra con la penuria dell’offerta. Ora sul tappeto c’è un altro problema, potrebbe essere definita una bomba, che sta creando agitazioni, irritazioni, preoccupazioni e proteste. Grazie al governo, ma anche al silenzio dei partiti di opposizione, i pubblicisti, che assieme ai professionisti costituiscono l’albo dei giornalisti, dopo 124 anni di onorato servizio sono destinati a scomparire.
Non saranno più l’aristocrazia del giornalismo italiano come li considerava Alberto Bergamini e tanto meno costituiranno il tessuto connettivo del nostro sistema dell’informazione. Quali conseguenze per il diritto di informare, ed il corrispondente di essere informati, non è facile prevedere.
Tutto nasce da un emendamento introdotto, “more solito” alla chetichella, all’articolo 29 della legge finanziaria varata a luglio. Come tutti sanno, il governo aveva manifestato l’intenzione di abolire gli ordini professionali, che ha trovato un immediato fuoco di sbarramento e la conseguente marcia indietro.
L’intenzione, comunque, è restata e si è trasformata in norma per incrementare “il tasso di crescita dell’economia nazionale”. Cosa significa? Ai sensi dell’articolo 33 della Costituzione, rimarranno solo gli Ordini per il cui accesso è previsto l’esame di Stato.

Franco Siddi

Enzo Iacopino

I pubblicisti non lo sostengono. Affrontano un colloquio, la cui paternità è da attribuire all’Ordine del Lazio e con l’iniziale avversione del Consiglio nazionale dell’Ordine. L’abolizione della categoria dei pubblicisti, il loro “De profundis”, non è una novità in senso assoluto.
In un passato recente c’era stata la proposta Passigli, a cui si può aggiungere, per completare il quadro, che non sempre c’è stato grande feeling tra gli appartenenti ai due elenchi dell’albo ed i professionisti, non a torto, ritengono di essere i dominus dell’informazione.
Non altro. Tuttavia l’apologo di Menenio Agrippa dovrebbe insegnare qualcosa. Per le scienze strategiche dividere le forze, o fare a meno di una parte, è un grave errore. E’ sufficiente vivere nell’interno delle istituzioni della categoria, Ordine e Sindacato, per avere il termometro della situazione.
Persino un moderato come Franco Siddi, l’attuale segretario generale della Fnsi e un tempo pubblicista, non fa mistero di non essere a favore dei pubblicisti in materia di rappresentanze, sebbene questi diano alla Fnsi un consistente contributo economico ed altrettanto lo forniscono i 71mila iscritti all’Ordine.
Qualcosa come oltre 7 milioni di euro, 14 miliardi circa delle vecchie lire. Posizione ribadita nel corso di un confronto sul citato emendamento, svoltosi nella sede federale giovedì 28 luglio. Il segretario lo ha fatto capire anche tramite il tono della voce, allorché si è fatto cenno alla proposta di legge Pisicchio – la Commissione parlamentare non è stata tenuta al corrente di un ordine del giorno votato all’unanimità dal Consiglio nazionale di via Parigi -, che mira appunto a diminuire il peso dei pubblicisti in seno al Consiglio nazionale. Potrebbe aver influito la non condivisione sulle scelte per la presidenza del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. E’ solo una ipotesi.
L’emendamento ha posto un termine e conferito un potere al governo. Per il legislatore, il governo, fermo restando l’articolo 33 della Costituzione, ha il potere di formulare “alle categorie interessate proposte di riforma in materia di liberalizzazione dei servizi e delle attività economiche, trascorso il termine di otto mesi ciò che non sarà espressamente regolamentato sarà libero”.
L’immediata conseguenza è il “De profundis” per una categoria professionale. La sua uscita sia dal sindacato che dall’ordine professionale. Va fuori anche chi tempo addietro, in uno slancio di altruismo, ha sostenuto dalla tribuna che i pubblicisti dovevano fare un passo indietro. Tutto questo potrebbe diventare il grimaldello per far saltare in un proseguo di tempo l’Ordine dei giornalisti, che non annovera, tra i parlamentari, molti amici.
Di qui una petizione lanciata da alcuni dirigenti dell’Ordine e del Sindacato, che sta raccogliendo non poche adesioni, nonché l’ipotesi di un Collegio. A marzo 2012 si tireranno le somme. In senso positivo, si spera.

Gino Falleri
Vice Presidente Ordine dei Giornalisti del Lazio
Consigliere nazionale Fnsi

Un commento:

  1. Natalino Bianco (consigliere nazionale Odg)

    Sono uno degli ottanta firmatari dell’ordine del giorno cui si fa riferimento. Continueremo una sacrosanta battaglia per impedire la mortificazione dei pubblicisti per approdare all’abolizione dell’ordine.

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