Domenica a Bologna i funerali del cantautore, iscritto all’Ordine dei giornalisti dal 3 giugno 1987

Ciao Lucio, collega pubblicista

L’ultimo pezzo di Dalla per il “Corriere” di Bologna

Lucio Dalla

BOLOGNA – Che ieri sia scomparso, in un lampo, un poeta tra i più raffinati e, ad un tempo, popolari della canzone d’autore italiana, è notizia. Quel che, invece, molti non sanno è che Lucio Dalla, fulminato da un infarto, a 68 anni, a Montreux, in Svizzera, dove si trovava per una serie di concerti, era anche un giornalista pubblicista. Iscritto all’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna dal 3 giugno 1987.
Scriveva poesie in musica, l“omino buffo” e geniale nato all’ombra delle due Torri il 4 marzo 1943, ma, dalla sua penna e, più di recente, dal suo computer, spuntavano anche “pezzi” destinati ad un’altra platea. Quella dei lettori.
Continuava, insomma, a fare il pubblicista, Lucio Dalla, di professione cantautore. E uno dei suoi ultimi articoli l’artista simbolo di Bologna e della bolognesità lo scrisse, il 2 febbraio scorso, per il “Corriere della Sera”, edizione di Bologna: è lo stesso “Corriere” a ricordarlo, oggi, nella sua versione on line.
Racconta la nevicata che ha impacchettato la sua Bologna, nel pezzo scritto per il “Corriere”, Dalla. E lo fa con quella profonda leggerezza da bambino che è come un marchio nelle sue canzoni: “La neve è una certezza sulla ripetitività delle cose e ci lascia il dubbio sul suo significato: cosa ci vuole dire il cielo? I problemi che crea sono niente rispetto alle sensazioni che ci dà. È fenomeno ipnotico che ti collega con la memoria, in questo caso misteriosa, e ci riporta all’elemento forte e grande della natura. La neve è bella e io la festeggio”.
Domenica Bologna darà l’ultimo saluto a questo suo figlio dai mille talenti. Già, dopodomani: 4 marzo, giorno del suo compleanno (ce lo rammenta una delle canzoni più belle, e non solo tra quelle di Dalla, “4 marzo 1943”, che di biografico, poi, ha solo la data).
Nella Basilica di San Petronio, alle 14.30, le esequie di uno che era solito dire ai “colleghi” giornalisti che lo incalzavano sulle canzoni, la vita e, prima o poi, il passaggio all’aldilà: “Meglio non morire per non veder i politici al mio funerale”.

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