Iacopino forza la mano, respingendo la proposta di rinvio, e l’esito del voto è devastante: 59 a 57 più 7 astenuti

Odg: il Consiglio nazionale si spacca sulla riforma

Enzo Iacopino

ROMA – Il progetto di riforma della legge dell’Ordine dei Giornalisti (così com’è risultato dopo due giorni di dibattito) ha trovato 59 voti favorevoli e 57 contrari.
Il Consiglio Nazionale si è spaccato al momento della decisione finale come, del resto, lo è stato quando si è trattato di individuare i riferimenti ideologici, utili a ispirare l’adeguamento delle regole per il futuro del mondo dell’informazione.
Due scuole di pensiero. Un buon gruppo riteneva (e ritiene) che le cose possano continuare ad andare avanti come sono sempre andate. Senza cambiare niente o proponendo, tutt’al più, una spolverata a qualche orpello, giusto per non rimanere del tutto inerti. Altri, invece, sono sembrati convinti della necessità di una trasformazione più radicale dei presupposti della legge ordinistica. E, questo, per tentare di adeguare le regole alla trasformazione tumultuosa dei mezzi e degli operatori della comunicazione.
I temi controversi hanno riguardato la figura del pubblicista, l’individuazione di nuove figure professionali, il numero dei rappresentanti della categoria e la loro ripartizione secondo gli elenchi di appartenenza.
Un gruppo di lavoro, istituito per l’occasione, ha tentato una mediazione, sforzandosi di smussare qualche asperità e proponendo un articolato che, pur rimanendo ancorato nella tradizione, si è sforzato di introdurre qualche elemento innovativo.
Il dibattito, emendamento dopo emendamento, ha svuotato il progetto di ogni singulto di novità con il risultato di scontentare la maggioranza del Consiglio. Occorreva, probabilmente, un altro momento di maturazione per proporre una soluzione di migliore sintesi delle posizioni espresse.
Al momento del voto finale, gli interventi di almeno quattro colleghi hanno suggerito al presidente Enzo Iacopino di evitare la conta finale e di rinviarla a un prossimo Consiglio. Il tempo, in mezzo, avrebbe potuto avvicinare le posizioni più distanti e indicare la strada di una sintesi più accettabile.
Iacopino ha respinto l’indicazione. Secondo lui, il voto era stato previsto e voto sarebbe stato. Si è attenuto alla massima in base alla quale occorre “fare quello che si deve” e lasciare che “accada quello che può”.
L’esito è stato sconfortante e il futuro, adesso, è macchiato d’incertezza.
A commento del risultato finale, Iacopino ha sostenuto di voler “dar corso alla volontà del Consiglio”. Ma non si capisce a quale volontà si riferisse. I 59 voti favorevoli rappresentano poco più di un terzo del plenum. E non hanno raggiunto nemmeno la maggioranza dei presenti perché almeno sette consiglieri non hanno votato. Quattro di loro hanno dichiarato che la loro astensione era determinata da un risultato assolutamente insoddisfacente. Dunque gli oppositori al documento sono stati, nei fatti, almeno 64.
Con quei numeri Iacopino dove crede di andare? Forse era meglio preparare l’assemblea e, visto come si stava mettendo, accettare l’indicazione di chi chiedeva di temporeggiare, evitando la fretta della gatta che fa i gattini ciechi. Perché, a questo punto, è lecito dubitare che, per davvero, sia stato fatto “tutto quello che si doveva” mentre, con certezza, risulta evidente che è accaduto “quello che poteva”.

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