Nell’esprimere solidarietà ai “colleghi” di Rete Kalabria, il vescovo giornalista riprende l’intervento del pontefice del 1 Maggio

Mons. Renzo: “Il lavoro è dignità, lo dice anche il Papa”

Mons. Luigi Renzo

Papa Francesco

VIBO VALENTIA – Un messaggio che va aldilà della semplice manifestazione di solidarietà ai giornalisti di Rete Kalabria, in sciopero da ieri, quello del vescovo – e giornalista – della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo, che, “avendo appreso dello stato di difficoltà degli operatori dell’informazione e dei tecnici dell’emittente Rete Kalabria, in stato di agitazione poiché non riscuotono lo stipendio da diversi mesi”, vuole esprimere loro “piena solidarietà e vicinanza”.
Perché, nell’auspicare “che si trovino al più presto le soluzioni più adeguate alla vertenza, per rispondere alle esigenze concrete delle famiglie, – scrive mons. Renzo nel suo messaggio rivolto ai giornalisti della tv vibonese – per la ripresa normale del delicato lavoro di informazione”, l’arcivescovo giornalista sottolinea un dogma che non ha soltanto un valore etico. O sociale.
Ricorda, infatti, mons. Renzo, ai giornalisti di Rete Kalabria, certo, ma non solo, che “come ci ha insegnato Papa Francesco, ‘nel lavoro è la dignità della persona umana’”. Non è un politico di un’‘ala’ laterale a dirlo, ma il pontefice.
“Questo del lavoro – ha spiegato Papa Bergoglio il primo maggio di quest’anno parlando ai fedeli nella Cappella Santa Marta, intervento poi riportato dall’Osservatore Romano – è un tema molto, molto, molto evangelico. Signore, dice Abramo, col lavoro guadagnerò da vivere”.
“Il lavoro – sono, ancora, le parole del primo Pastore della Chiesa – è qualcosa di più che guadagnarsi il pane: il lavoro ci dà dignità! chi lavora è degno, ha una dignità speciale, una dignità di persona: l’uomo e la donna che lavorano sono degni… La dignità non ce la dà il potere, il denaro, la cultura, no! La dignità ce la dà il lavoro”.
D’altro canto, Papa Francesco riconosce che ci sono tante persone “che vogliono lavorare e non possono”, o quelli che lavorano, ma che non vengono “pagati il giusto”. Ebbene, “questo va contro Dio”. Ben più di un contratto collettivo nazionale o di uno statuto dei lavoratori.

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