La nuova serie ripercorre le orme della storica testata semestrale fondata nel 1953, ma con una veste tipografica nuova

Bentornato latino: il Vaticano rilancia la rivista Latinitas

CITTA’ DEL VATICANO (Vaticano) – In latino sono un’ampia parte dei contenuti, i titoli delle sezioni e egli indici, e anche la dedica iniziale a papa Francesco, “Urbis episcopo Ecclesiaeque pastori”, vescovo di Roma e pastore della Chiesa, in perfetta sintonia con l’appellativo preferito da Bergoglio e con lo stile “pastorale” del suo pontificato.
Con l’uscita del primo numero della nuova serie della rivista semestrale “Latinitas”, a cura della Pontificia Academia Latinitatis istituita da Benedetto XVI nel novembre 2012, il Vaticano si lancia sempre più nella promozione dello studio e della conoscenza della lingua di Cicerone. E non poteva essere altrimenti, essendo il latino tuttora la lingua ufficiale della Chiesa, riproposta nella modernità anche attraverso i social media come Twitter (sul suo account in latino papa Francesco vanta qualcosa come 182.455 followers), nonché in situazioni storiche, come l’annuncio-shock dell’11 febbraio scorso con cui Benedetto XVI ha comunicato al mondo le sue dimissioni.
Uno strumento di grande prestigio con cui l’Accademia di latinità svolgerà ora il suo lavoro di studio e cura del patrimonio classico sarà ora la rivista semestrale, presentata oggi alla stampa dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, dal prof. Ivano Dionigi, presidente della stessa Pontificia Accademia e rettore dell’Università di Bologna, e dallo scrittore e archeologo Valerio Massimo Manfredi.
La nuova serie prosegue la storica testata fondata nel 1953, presentandosi però con una veste tipografica rinnovata, edita da Palombi e diretta da Dionigi, ospitando articoli in latino, in italiano e nelle principali lingue moderne. Proprio Dionigi, rispondendo nel suo articolo alle domande “Latino per chi? Latino perché?”, lancia la sfida della Pontificia Accademia di Latinità, espressione della Chiesa ma destinata a costruire “ponti con il sapere delle Università e del mondo laico, nella consapevolezza che è in gioco un comune destino culturale”.
Seguono le tre sezioni in cui è articolata la rivista: quella propriamente scientifica (tra i contributi quelli di Massimo Cacciari, Luciano Canfora, Carlo Carena, lo stesso Ravasi, Manlio Simonetti e Manlio Sodi), intitolata “Historica ed philologica”; quella di letteratura contemporanea in lingua latina, “Umaniora”, con poesie tra gli altri di Alfonso Traina, un cui epigramma latino è stato “twittato” stamane da Ravasi; l’ultima dedicata alla didattica delle lingue e culture classiche, “Ars docendi”, con all’interno anche un articolo di Stefano Bartezzaghi. Redatti in latino sono poi l’appendice con il resoconto dell’attività dell’Accademia e gli “abstracts” (Argumenta), e l’indice (Index universus).
Il card. Ravasi ha spiegato che l’Accademia ha la funzione di “esaltare, celebrare la grandiosa e gloriosa tradizione che sta alle nostre spalle”, ma senza che ci sia “un recupero artificioso”.
Ravasi ha perfino citato Antonio Gramsci e i suoi “Quaderni dal carcere”: “Non si impara il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti o i corrispondenti commerciali: li si impara per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e per conoscere se stessi”.
Dionigi ha ricordato che “L’Europa ha ininterrottamente parlato latino tramite le sue tre sfere fondamentali: lo ‘studium’, l”imperium’ e l”ecclesia’”.
“Perché i classici? – ha chiesto Dionigi – Perché ci insegnano a parlare bene. E oggi esiste un problema del parlare bene”. Ravasi, che ha sottolineato come tra i giovani ci sia ancora molto interesse per “la bellezza dei classici”, ha fatto appello anche ai traduttori della Segreteria di Stato ad essere attenti, ricordando che anche nel testo letto da Benedetto XVI al momento della sua rinuncia c’erano due errori. E ha raccontato un piccolo episodio di quel giorno.
“Ero al Concistoro e quando il Papa finì di parlare un cardinale che era vicino a me mi chiese: ‘Ma che cosa ha detto?’. ‘Ha detto che dà le dimissioni’, risposi. ‘No, lei non ha capito!’, fu la sua replica”. Segno che anche tra i porporati c’è chi deve ripassare il latino. (Ansa)

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