Da domani a venerdì a Roma, nella sala “Walter Tobagi” della Fnsi, gli Stati Generali organizzati dal sindacato dei giornalisti

Lavoro autonomo giornalistico: nessuna deroga alla dignità

Leyla Manunza

Leyla Manunza (Giunta Esecutiva Fnsi)

ROMA – Alla vigilia degli Stati Generali che si terranno a Roma, nella sala “Walter Tobagi” della Fnsi, domani e venerdì, 11 e il 12 luglio, per fare chiarezza sulle prerogative dello sfaccettato mondo del lavoro autonomo, considerando le variegate declinazioni e distinguo, facciamo il punto sul confronto con gli editori in vista del nuovo contratto e analizzato lo stato dell’arte della legge sull’equo compenso dopo l’approvazione del Parlamento e l’insediamento della commissione ministeriale che dovrà stabilire una soglia minima dignitosa, sotto la quale non si potrà scendere.
Per avere una dimensione reale del lavoro autonomo, abbiamo bisogno del conforto dei numeri
Da un’analisi condotta di recente dal direttore della Fnsi, Giancarlo Tartaglia, emerge che l’area del lavoro autonomo tende ad aumentare contestualmente alla decrescita del lavoro subordinato. I giornalisti iscritti alla gestione separata sono passati da 33.282 (31 dicembre 2010) a 34.335 (fine 2011) facendo registrare un incremento del 3,16%.
Una fetta consistente di questi colleghi, 6.642, sono iscritti alla gestione separata, ma non hanno provveduto ai versamenti contributivi e dunque non possiamo ricomprenderli nella popolazione “attiva”. In sostanza, depurando dal totale degli iscritti i silenti, si arriva a individuare il numero complessivo di giornalisti autonomi pari a 27.693.
Interessante osservare anche due aspetti che riguardano l’età e il genere
Il 57% di questi colleghi si posiziona in una fascia superiore ai 40 anni e quasi il 60% fa parte della popolazione attiva maschile. Bisogna, dunque, sfatare l’idea che gli autonomi siano solo le giovani leve e in contro tendenza rispetto ai subordinati, non prevale la componente femminile.
Altro elemento che merita attenzione è determinato dalla doppia iscrizione all’Inpgi, 1 e 2. Numerosi giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato, svolgono infatti anche attività autonoma, anche se in modo non prevalente.
Se volessimo considerare esclusivamente gli autonomi attivi iscritti alla gestione separata, il numero scenderebbe sino ad attestarsi su 17.256.
Necessario un distinguo tra le diverse tipologie di giornalisti autonomi
I freelance che prestano la propria opera intellettuale per vari committenti, spesso scrivono per alcune testate e si occupano anche di uffici stampa privati.
In questo gruppo rientrano delle fasce di reddito molto diverse. I freelance di lusso che arrivano a guadagnare cifre stratosferiche (c’è chi percepire anche 25.000 euro per moderare un convegno di una mattina) ma di questi non vogliamo occuparci visto che si autodeterminano nel mercato.
Ci interessano gli altri freelance. Alcuni raggiungono compensi medi annui che si avvicinano e alcune volte superano quelli dei contrattualizzati sebbene con minori garanzie (nessun diritto alle ferie, alla malattia, al Tfr e ai contributi previdenziali), mentre altri, a stento, riescono ad arrivare a fine mese.
Nel grande calderone dei lavoratori autonomi rientrano anche le partite Iva e le cessioni del diritto d’autore. Un elemento accomuna questi tre gruppi di giornalisti (freelance, partite Iva e cessioni d’autore).
Si trovano spesso nella condizione di dover versare all’Inpgi, oltre il 10%, anche il 2%, di spettanza degli editori. Ci arrivano segnalazioni da parte dei colleghi di tutta Italia che molte aziende, nel trattamento economico complessivo, ricomprendono anche il 2%, sottraendolo surrettiziamente al lavoratore.
Non essendo in grado le redazioni di assorbire la grande offerta di lavoro, una buona fetta degli autonomi si è riversata negli uffici stampa privati, ancora non regolamentati.
Bisognerebbe mettere ordine in questo settore, per allargare la platea contributiva a vantaggio della tenuta generale del sistema, a garanzia delle pensioni di tutti.
Vi è poi il lavoratore parasubordinato. I Co.co.co. sono circa 8000 in Italia. Si tratta di forme che sempre più di frequente dissimulano un rapporto subordinato.
I colleghi vengono, infatti, utilizzati full time come veri e propri redattori con vincolo di esclusiva e mono committenza. E non potrebbe essere diversamente, visto che durante l’intero arco della giornata sono a disposizione della redazione.
Proposte per il contratto: nuove fattispecie contrattuali
Da fine settembre, con l’insediamento della Commissione Paritetica Fieg – Fnsi sul Lavoro Autonomo, di recente allargata ad altri colleghi della Giunta per la trattativa sul nuovo contratto, abbiamo tentato di trasformare i Co.co.co. in art.2 e 12.
La nostra controparte non perde occasione per ribadire che il costo del lavoro va sempre considerato e che si dovrebbe abbassare il minimale Inpgi per incentivare l’uso di queste figure contrattuali, oggi sempre meno diffuse. Il vero disegno degli editori è di scardinarle totalmente.
Con uno sforzo creativo abbiamo portato al tavolo nuove fattispecie più flessibili che prevedano di contro, una liquidazione di indennizzo, una sorta di fine rapporto.
In modo pretestuoso i rappresentanti degli editori hanno rilanciato l’estensione di questa nuova figura che prevede la licenziabilità, all’art. 1. E’ evidente che il terreno è scivoloso e la prudenza non è mai troppa.
Sfumata anche la proposta di revisione dell’art.2 con un contratto di competenza, una nuova formula che tenga conto delle specifiche professionalità (nera, giudiziaria, politica).
Entrambe le proposte probabilmente non hanno riscosso successo perché prive di un minimo di appeal economico per la Fieg, che dall’applicazione, non ne trarrebbe alcun vantaggio.
Garanzie per tutti i lavoratori autonomi da inserire nella rinnovazione del protocollo sul lavoro autonomo
– Il pagamento a trenta giorni degli articoli (oggi previsto solo per i Co.co.co.).
– Il pagamento in toto del pubblicato o almeno del 50%, purchè richiesto.
– Le note spese, accompagnate da pezze giustificative a carico dell’azienda.
– La tracciabilità degli articoli prodotti dai collaboratori. Molti colleghi (anche in Sardegna) hanno subito il mancato pagamento del pubblicato.
– L’inserimento di una norma che imponga alle aziende di accollarsi, la spettanza del 2%.
– Il divieto di imporre contratti in esclusiva.
Il punto sulla legge dell’Equo Compenso e la proposta della Commissione Lavoro Autonomo della Fnsi
Gli editori non hanno fatto particolari obiezioni su queste ultime richieste avanzate probabilmente perché considerate quisquilie in confronto alla portata della legge sull’equo compenso approvata dal Parlamento il 4 dicembre 2012 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2013) che per la prima volta subordina l’accesso ai contributi in favore dell’editoria, al rispetto di un compenso dignitoso.
La commissione ministeriale, dopo varie peripezie, si è finalmente insediata con decreto il 24 giugno scorso ed entro 60 giorni dovrà definire una soglia minima sotto cui non si potrà scendere.
Per effettuare queste valutazioni dovrà considerare le prassi retributive, in coerenza con la contrattazione collettiva nazionale. Si dovrà anche occupare di redigere un elenco, una sorta di white list dei media che garantiscono il rispetto di tali parametri. Le testate, dopo aver dimostrato di essere in regola, potranno iscriversi nell’elenco, pena la perdita dei contributi pubblici in favore dell’editoria e degli altri benefici. Intanto il nuovo sottosegretario Giovanni Legnini ha dichiarato che gli editori interessati dalla legge sull’equo compenso saranno soltanto il 10%.
In realtà l’art.3 comma 1 della legge, nel fare riferimento alla decadenza dai contributi pubblici, include anche gli altri benefici. Secondo un’interpretazione estensiva fornita di recente dall’avv. Del Vecchio, in questa dicitura sarebbero ricompresi anche gli ammortizzatori sociali. Se così fosse, la portata sarebbe dirompente.
Nell’ultima riunione con la Fieg (la commissione è composta da Alessandra Comazzi, Leyla Manunza, Fabio Morabito, Carlo Parisi e Giovanni Rossi, ndr), abbiamo discusso la proposta per l’equo compenso elaborata dalla Commissione Nazionale Lavoro Autonomo della Fnsi, che il presidente Giovanni Rossi ha già consegnato al tavolo Ministeriale.
Vista la complessità nell’individuazione delle variegate tipologie di prodotto giornalistico, nel redigere il documento, la commissione della Fnsi non ha previsto alcun importo. Ha preferito invece ragionare sui criteri in grado di valorizzare l’impegno del giornalista in termini di tempo, imputando il costo ad una serie di istituti che fanno parte del salario differito.
Siamo partiti dall’idea di base che il lavoro autonomo debba costare di più di quello dipendente, assunto contestato dagli editori che sostengono che in questo modo si annulla la differenza tra il lavoro autonomo e subordinato. Sulla stessa logica sostengono non si possa invocare per gli autonomi il rispetto dell’art. 36 della Costituzione che commisura la retribuzione alla quantità e alla qualità di lavoro prestato.
I giuslavoristi della Fieg preferiscono sostenere l’idea di un tariffario che tenga conto delle differenti tipologie di prodotto. Posizioni evidentemente molto diverse che affronteremo nella prossima riunione, fissata il prossimo 25 luglio.
E’ evidente che le valutazioni di base sono agli antipodi. I casi che i rappresentanti degli editori definiscono “patologici” e quindi sporadici, rappresentano invece la regola e non l’eccezione. La realtà quotidiana in tutta Italia ci racconta infatti l’utilizzo improprio di collaboratori e Co.co.co, come fossero dei  dipendenti.
Il confronto non ci spaventa, proseguiamo tenaci nella strenua difesa dei diritti dei giornalisti autonomi.

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