
Ban Ki-Moon, segretario generale Onu

Irina Bokova, direttore generale Unesco
ROMA – La libertà di stampa, la ricerca della verità sono un dovere e un diritto, “tutti hanno voce e devono essere messi in condizione di parlare liberamente e in sicurezza”.
Nella ventesima Giornata mondiale per la Libertà di stampa, celebrata in tutto il mondo, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, e il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova, hanno inviato un messaggio ai governi, alle società e ai singoli individui: bisogna proteggere la sicurezza di tutti i giornalisti, offline e online.
“Un clima di impunità persiste – ha detto Ban, ricordando che negli ultimi dieci anni hanno perso la vita sul lavoro oltre 600 reporter – nove su dieci casi di giornalisti uccisi restano impuniti. Troppi rappresentanti dei media soffrono ancora di intimidazioni, minacce e violenza”.
I numeri pubblicati da Reporter senza Frontiere sono preoccupanti: 19 giornalisti uccisi solo nel 2013, 174 arrestati. E oltre i giornalisti impegnati nelle aree di guerra, a volte sottoposti a torture, ci sono quelli dell’informazione digitale contro la quale si stanno sviluppando forme occulte di censura e violazione di privacy.
In Siria, Iran, Cecenia, ma anche in Cina e in Vietnam, sono spesso dei “blogger” che portano avanti la difesa dei diritti umani, che aprono gli occhi al mondo sulle ingiustizie e gli sfruttamenti. Anche l’Ue ha sottolineato l’importanza della libertà di espressione “che deve essere difesa in tutti i media, online e offline”.
L’Alto rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, ha sottolineato che l’Ue “continuerà a promuovere la libertà di espressione” e ha condannato “le violenze contro la libertà di espressione”.
In occasione della Giornata mondiale della Libertà di Stampa Amnesty International ha pubblicato nuovi dati secondo cui dall’inizio della rivolta contro il regime di Assad sono 36 i reporter moti e numerosi risultano dispersi. Intanto oggi a Londra la scultura “The Breathing”, il respiro, sul tetto della
Bbc rimarrà accesa tutto il giorno per commemorare tutti i giornalisti morti in aree di guerra. (Agi)
AMNESTY: “I GIORNALISTI PRESI DI MIRA IN SIRIA”
Nel corso degli ultimi due anni in Siria, decine di giornalisti sono stati imprigionati ingiustamente, torturati, sottoposti a sparizioni forzate e uccisi dalle forze governative e dai gruppi armati d’opposizione, nel tentativo di impedire loro di occuparsi della situazione del paese, comprese le violazioni dei diritti umani.
La denuncia, nella Giornata Mondiale della libertà di stampa, arriva da Amnesty International che in un rapporto descrive decine di casi di giornalisti presi di mira dall’inizio della rivolta del 2011 e rende omaggio al ruolo determinante dei “citizen journalist”, molti dei quali rischiano la vita per informare il mondo su cosa accade in Siria e, come i loro colleghi professionisti, vanno incontro a rappresaglie. I giornalisti, prosegue Amnesty, non sono gli unici obiettivi civili, ma finora 36 di loro sono stati uccisi in quelli che sono apparsi attacchi mirati.
“Con questo rapporto, abbiamo documentato ancora una volta come tutte le parti in conflitto stiano violando le leggi di guerra, sebbene il livello di abusi commesso dalle forze governative resti molto più grande – ha dichiarato Ann Harrison, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord -. Gli attacchi deliberati contro i civili, compresi i giornalisti, sono crimini di guerra i cui responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia’”.
Da decenni – sottolinea Amnesty – quotidiani, radio e televisioni indipendenti non possono operare liberamente. Sebbene lo stato d’emergenza in vigore dal 1963 sia stato abolito nell’aprile 2011, i giornalisti continuano a essere perseguitati quando vogliono occuparsi di un’ampia serie di temi, comprese le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze governative. Nuove leggi che avrebbero in teoria dovuto garantire maggiore libertà d’informazione, non hanno fatto nulla per migliorare la situazione.
Nel 2011, per impedire ai giornalisti di seguire le manifestazioni prevalentemente pacifiche, le autorità siriane hanno intensificato le tattiche repressive attraverso un blackout virtuale nei confronti dei media tradizionali. Queste pesanti limitazioni hanno dato luogo al fenomeno del citizen journalism e alla diffusione di informazioni sui social network da parte di cittadini che non sono giornalisti professionisti.
Tra i professionisti presi di mira figura lo scrittore e giornalista palestinese Salameh Kaileh, arrestato il 24 aprile 2012 dai servizi segreti dell’Aeronautica per aver criticato la nuova Costituzione. Portato in un centro di detenzione di Damasco, è stato chiuso seminudo in una stanza con altre 35 persone, bendato e torturato col metodo della falaqa (pestaggi sulle piante dei piedi). E’ stato torturato anche in ospedale prima di essere rilasciato ed espulso in Giordania.
Il presentatore televisivo Mohammed al-Sa’eed e’ stato rapito dalla sua abitazione di Damasco nel luglio 2012 e ucciso sommariamente dal gruppo armato d’opposizione islamista Jabhat al-Nusra.
“Chiediamo da due anni – conclude l’organizzazione – alla comunità internazionale di adottare misure concrete per garantire che i responsabili di tutte le parti in conflitto siano chiamati a rispondere di fronte alla giustizia per i crimini commessi e che le vittime ricevano una riparazione. Il popolo siriano sta ancora aspettando. Di quante altre prove di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità ha bisogno il Consiglio di sicurezza prima di riferire la situazione della Siria alla Corte penale internazionale?”.