Nel mondo patinato delle riviste americane in 103 anni non c’era mai stato un direttore di colore

Conde Nast: Keija Minor al timone di Brides, cade un tabù

Alessandra Baldini

Keija Minor

NEW YORK (Usa) – L’America da quattro anni ha un presidente nero, ma nel mondo patinato delle riviste Condé Nast non c’era mai stato un direttore di colore. Mai fino a oggi: la casa editrice che pubblica i magazine più famosi del mondo, da Vogue a Vanity Fair, da Wired all’intellettuale New Yorker, ha annunciato la nomina di Keija Minor al timone di Brides, un mensile per spose. Una vittoria per l’eguaglianza.
Keija è la prima afro-americana in 103 anni a dirigere una testata Condé Nast ed é una pietra miliare. Nella storia dei magazine patinati americani il numero di direttori non bianchi si conta sulle dita di una mano: nessuno poi nelle testate femminili che sono poi quelle che garantiscono il grosso delle vendite.
Questo perché quello delle riviste negli Usa è un mondo tutto a parte: mentre i ranghi degli altri settori del giornalismo – quotidiani e tv – hanno aperto alle minoranze negli ultimi 40 anni, l’industria dei magazine è rimasta indietro, ha detto al Washington Post, Richard Prince che cura il blog “Journal-ism” per il Robert C. Maynard Institute for Journalism Education.
Sono pochissime le riviste che hanno avuto in posizione di vertice giornalisti di colore: tra questi Newsweek (con Mark Whitaker, ora top executive di Cnn), Men’s Fitness, Money, Teen People (Amy DuBois Barnett, oggi a Ebony) e Billboard.
Oprah Winfrey, la regina dei talk show, ha fondato la rivista “O” ma ne ha affidato la direzione ad altri. Questa situazione è in parte dovuta al fatto che l’industria dei magazine è diretta a un pubblico specializzato e “segmentato”, e tra questi segmenti quello della razza è dominante. Un mondo “autosegregato” tra bianchi e neri.
Testate importanti come Ebony, Jet e Essence, mirate a lettori e lettrici afro-americani, sono confezionate da una squadra di giornalisti e editors di colore. Brides è un caso a parte, con un pubblico che al 40 per cento si definisce afro-americano o “latino”. Potrebbe essere una spiegazione. Ma c’é anche chi sostiene che l’assenza di neri ai vertici delle riviste è dovuta a una selezione naturale: molti afro-americani e afro-americane non possono permettersi i lunghi periodi di stage spesso non pagati che alla fine per pochi eletti preludono all’assunzione. (Ansa).

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