

Non ti ho chiamato, come solitamente faccio quando c’è da congratularsi per uno dei tuoi successi.
Non ti ho contattato sulla tua email personale, perchè stavolta di personale c’è ben poco.
Io sono un Pubblicista. Un singolo elemento di un esercito di nani. Un esercito che sostiene, con le fattezze di un unico gigante, gran parte del mondo del nostro Sindacato.
Vorrei, con la presente, rendere i miei colleghi partecipi della mia esperienza perchè, negli ultimi mesi, ho avviato un progetto editoriale che, senza il tuo supporto e i tuoi consigli, non sarebbe stato possibile iniziare.
Specifico, per chi dovesse leggere, che sono regolarmente stipendiato con contratto nazionale di lavoro giornalistico Fieg-Fnsi e che, pur non sapendo quanto durerà questa fantastica avventura da direttore responsabile, non sarebbe stato possibile ottenere il “pezzo di carta” senza i tuoi consigli.
Non c’è stata settimana dell’ottobre 2011 in cui tu non abbia ricevuto una mia chiamata (a volte di sabato o di domenica) per avere conforto su determinate scelte o sull’interpretazione di alcuni cavilli per la registrazione del giornale.
Non c’era bisogno che ti contattassi come faccio di solito, perchè tu già sai quanto io ti sia solidale e quanta stima e fiducia riponga nei tuoi confronti.
Vorrei che, come ho fatto io, tanti miei colleghi Pubblicisti (la P è maiuscola perchè vi si concentrano più nani…) scrivessero le parole di conforto e di fiducia che, sicuramente, ti avranno già trasmesso a voce.
Perchè quando le parole vengono scritte, se qualcosa non è chiaro, si può tornare una riga su e rileggere, anche cento volte se necessario. A presto.
Roberto Bonsignore
***
Caro Roberto,
la vita è strana. Ho quasi sempre censurato – lo ammetto – lettere e mail smaccatamente lodevoli nei miei confronti. “Chi si loda s’imbroda”, recita il vecchio proverbio, e, nella nostra professione, il più semplice degli esercizi, a volte, cede il passo alla napoleonica tentazione di sentirsi protagonisti della storia.
Oggi faccio un’eccezione perché la tua sincera testimonianza mi ripaga di tanti sacrifici al servizio di una categoria che, purtroppo spesso, finisce per complicarsi la vita da sola. Ritengo che il mio compito, così come quello di quanti si occupano degli istituti di categoria dei giornalisti, sia semplicemente quello di riuscire – il più possibile – a far comprendere che la nostra è una professione straordinariamente affascinante, ma nel contempo pericolosamente illusoria. Un oceano di squali nel quale, oltre che imparare a nuotare, bisogna attrezzarsi adeguatamente per riuscire a sopravvivere.
Tu, con grande umiltà, hai seguito le ragioni del cuore – quelle che ti hanno portato al giornalismo – unendole alla lucida consapevolezza che soltanto studiando con serietà e passione, come hai fatto laureandoti e specializzandoti, avresti potuto conquistarti – senza scorciatoie di sorta – un’opportunità.
L’hai trovata a parecchie centinaia di chilometri di distanza dalla tua terra d’origine, ma si sa, la “casa” è quella che riesci a costruirti nel luogo che ti dà lavoro, liberandoti dalla schiavitù del bisogno.
Ti auguro di cuore che la tua nuova avventura ti porti lontano e colgo l’occasione per ringraziarti a nome dei pensionati Inpgi che, grazie al tuo lavoro ed ai relativi contributi che la tua azienda versa, possono sperare in un futuro più sereno, ma soprattutto ai tanti giovani come te che, probabilmente, una pensione non l’avranno mai, ma vi trovano un buon esempio per credere ancora nella nostra professione.
Un grazie, infine, a nome del sindacato dei giornalisti, che non fa niente di straordinario: garantisce semplicemente un servizio a quanti, come te, vogliono vivere di giornalismo senza farsi sfruttare e umiliare e, soprattutto, senza illudersi che lavorare gratis costituisca una “vetrina” o un nobile esercizio di libertà di espressione.
Il giornalismo è un lavoro e va retribuito dignitosamente. La libertà di stampa è un valore che non ha prezzo, ma non dimentichiamo che passa sempre dal peggior censore: l’editore, pubblico o privato che sia, che non edita certo giornali per hobby o per beneficenza.
la vita è strana. Ho quasi sempre censurato – lo ammetto – lettere e mail smaccatamente lodevoli nei miei confronti. “Chi si loda s’imbroda”, recita il vecchio proverbio, e, nella nostra professione, il più semplice degli esercizi, a volte, cede il passo alla napoleonica tentazione di sentirsi protagonisti della storia.
Oggi faccio un’eccezione perché la tua sincera testimonianza mi ripaga di tanti sacrifici al servizio di una categoria che, purtroppo spesso, finisce per complicarsi la vita da sola. Ritengo che il mio compito, così come quello di quanti si occupano degli istituti di categoria dei giornalisti, sia semplicemente quello di riuscire – il più possibile – a far comprendere che la nostra è una professione straordinariamente affascinante, ma nel contempo pericolosamente illusoria. Un oceano di squali nel quale, oltre che imparare a nuotare, bisogna attrezzarsi adeguatamente per riuscire a sopravvivere.
Tu, con grande umiltà, hai seguito le ragioni del cuore – quelle che ti hanno portato al giornalismo – unendole alla lucida consapevolezza che soltanto studiando con serietà e passione, come hai fatto laureandoti e specializzandoti, avresti potuto conquistarti – senza scorciatoie di sorta – un’opportunità.
L’hai trovata a parecchie centinaia di chilometri di distanza dalla tua terra d’origine, ma si sa, la “casa” è quella che riesci a costruirti nel luogo che ti dà lavoro, liberandoti dalla schiavitù del bisogno.
Ti auguro di cuore che la tua nuova avventura ti porti lontano e colgo l’occasione per ringraziarti a nome dei pensionati Inpgi che, grazie al tuo lavoro ed ai relativi contributi che la tua azienda versa, possono sperare in un futuro più sereno, ma soprattutto ai tanti giovani come te che, probabilmente, una pensione non l’avranno mai, ma vi trovano un buon esempio per credere ancora nella nostra professione.
Un grazie, infine, a nome del sindacato dei giornalisti, che non fa niente di straordinario: garantisce semplicemente un servizio a quanti, come te, vogliono vivere di giornalismo senza farsi sfruttare e umiliare e, soprattutto, senza illudersi che lavorare gratis costituisca una “vetrina” o un nobile esercizio di libertà di espressione.
Il giornalismo è un lavoro e va retribuito dignitosamente. La libertà di stampa è un valore che non ha prezzo, ma non dimentichiamo che passa sempre dal peggior censore: l’editore, pubblico o privato che sia, che non edita certo giornali per hobby o per beneficenza.
Carlo Parisi