Il 14 maggio a Washington il suo nome nel “Muro della Memoria”, ma dopo quasi un anno le indagini segnano il passo

Ancora senza nome gli assassini del giornalista Shahzad

Salim Shazad e Giuseppe Marra

ROMA – Mentre il mondo si prepara a ricordare Syed Saleem Shahzad, il giornalista di Aki-Adnkronos International ucciso quasi un anno fa, in Pakistan le indagini sulla sua morte sono in una fase di stallo. L’ultimo atto rilevante risale a gennaio scorso, quando una commissione incaricata di indagare sulla vicenda ha presentato il suo rapporto, in cui si punta il dito contro “attori statali e non statali, tra cui Talebani, al-Qaeda e soggetti stranieri”, senza tuttavia fare nomi né indicare singole organizzazioni colpevoli dell’omicidio.
Shahzad è scomparso alla fine di maggio dello scorso anno e il suo corpo è stato ritrovato il 30, senza vita e con evidenti segni di percosse, a 150 km da Islamabad, nella regione del Punjab. Era un “giornalista coraggioso”- come lo ha più volte definito la moglie Anita – autore di numerosi reportage sui gruppi islamici attivi in Pakistan e nella regione, sul terrorismo, sui legami tra terroristi e militari.
Proprio su quest’ultimo tema – in particolare sui legami tra al-Qaeda e marina in relazione a un attentato contro una base militare – stava lavorando quando è stato ucciso, tanto da far puntare il dito, da parte di ong e di colleghi pakistani, contro l’Isi, i servizi segreti di Islamabad.
Il 14 maggio a Washington si svolgerà una cerimonia per l’inserimento del suo nome nel “Muro della Memoria” del Newseum, interamente dedicato ai giornalisti “eroi della democrazia”, come li ha definiti Hillary Clinton all’inaugurazione del museo. Ma ancora la verità sulla vicenda di Saleem sembra lontana.
Già prima che pubblicasse a gennaio il suo rapporto, Human Rights Watch (Hrw) definiva “incapace” la commissione nominata per far luce sull’omicidio e chiedeva al governo pakistano di “raddoppiare gli sforzi” per individuare i responsabili.
Prima di essere ucciso, Shahzad aveva confidato proprio a Hrw di aver ricevuto minacce da agenti dell’intelligence. Amici e familiari raccontano, inoltre, di almeno tre episodi in cui l’Isi avrebbe dato avvertimenti e ultimatum al giornalista. Non mancano piste secondarie, come quella dei Talebani, che lo avevano tenuto prigioniero nel 2006 nella provincia afghana dell’Helmand.
Ma per Hrw i dubbi sono pochi. “Il fallimento della commissione nell’andare a fondo all’omicidio di Shahzad mostra l’abilità dell’Isi di restare lontanta dal sistema giudiziario del Pakistan”, commentava Brad Adams, direttore per l’Asia di Hrw, alla pubblicazione del rapporto della commissione.
“Sembra che la commissione abbia paura di confrontarsi con l’Isi sulla morte di Shahzad – aggiungeva – Shahzad aveva detto chiaramente a Hrw che, nel caso fosse stato ucciso, l’Isi doveva essere considerato il principale sospettato. Non aveva detto di aver paura di essere ucciso da gruppi militanti o da qualcun altro”.
L’Isi ha sempre negato ogni coinvolgimento nella vicenda e ha replicato duramente alle accuse di Hrw. “In un solo colpo Brad Adams ha screditato la commissione giudiziaria che ha indagato sull’omicidio di Saleem Shehzad, demonizzato l’Isi e castigato il governo del Pakistan”, si leggeva in un comunicato dell’Isi.
“Le accuse contro l’Isi sono infondante – si leggeva ancora – e sono insostenibili sia sul piano logico, sia su quello delle prove. La Commissione giudiziaria che indaga sull’omicidio ha piena libertà di azione e l’Isi non ha risparmiato gli sforzi per collaborare e per rispettare tutte le esigenze”.
Non facendo nomi e non indicando chiaramente colpevoli, la commissione ha in realtà lasciato la porta aperta ad altre indagini e il caso al momento non è ancora chiuso. Ma nessun nome compare nel registro degli indagati. Per avere giustizia, più volte la famiglia di Shahzad ha affermato di puntare molto sul sostegno internazionale e sulla capacità dei media di tutto il mondo di tenere i riflettori accesi sulla storia di Saleem. (Adnkronos/Aki)

“Gratitudine” e “commozione” dalla moglie Anita

ISLAMABAD (Pakistan) – Esprime “gratitudine” e “commozione” Anita Saleem, vedova del reporter pakistano di Aki-Adnkronos International, Syed Saleem Shahzad, ucciso a maggio 2011, per la decisione del Newseum di Washington di inserire il nome di suo marito nel “Muro della Memoria”, che onora chi ha perso la vita cercando o diffondendo notizie.
Avvisata da Aki sulla decisione dell’istituzione di Washington, la giovane vedova dice di “apprezzare molto tutto quello che la comunità internazionale sta facendo per ricordare Saleem”.
“Sono commossa e grata – dice – per quello che si continua a fare in tutto il mondo per ricordare mio marito. Sono fiera di Saleem, perché era un grande uomo, con un grande coraggio”. Pur non pronunciandosi in merito alle indagini sull’omicidio del reporter, Anita si dice certa che l’attenzione che la redazione di Aki, l’Italia e il mondo intero continuano a riservare alla vicenda contribuirà a fare giustizia. (Adnkronos/Aki)

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