Ha fondato e condotto per 37 anni “60 Minutes”, il programma più seguito nella storia della televisione americana

Addio Mike Wallace, il giornalismo perde un mito

Mike Wallace

NEW CANAAN (Connecticut-Usa) – Il giornalismo americano perde un mito. E’ morto Mike Wallace, fondatore di “60 Minutes”, il programma di approfondimento giornalistico più seguito nella storia della televisione americana. Mike Wallace si è spento all’età di 93 anni in una casa di riposo di New Canaan nel Connecticut.
Myron Leon “Mike” Wallace, nato a Brookline il 9 maggio 1918, nei suoi 37 anni di carriera a “60 Minutes” ha intervistato mumerosi importanti personaggi della scena politica mondiale, tra cui Maria Callas, Johnny Carson, Deng Xiaoping, Mohammad Reza Pahlavi, Ruhollah Khomeyni, Kurt Waldheim, Jeffrey Wigand, Yasser Arafat, Ayn Rand, Menachem Begin, Anwar Sadat, Manuel Noriega, e Mahmud Ahmadinejad.
Figlio di immigrati russo-ebrei, manifestò i primi interessi verso lo sport e la musica, ma fu il college che lo aiutò a trovare la vocazione, quando per la prima volta entrò nella stazione radio del campus dell’università del Michigan, nella città di Ann Arbor. Successivamente si laureò all’Università del Michigan nel 1939. Durante la Seconda guerra mondiale prestò servizio all’ufficio comunicazioni della Marina Americana. Dopo la guerra tornò a Chicago e diventò reporter per la stazione radio Wmaq.
All’inizio della sua carriera, Wallace presentò gli show radiofonici “Ned Jordan”, “Secret Agent” e “The Green Hornet”. Si è anche detto che Wallace presentasse “The Lone Ranger”, ma lui lo ha sempre negato.
È stato sposato quattro volte, ha due figli e una figlia. Il primogenito, Peter, morì in montagna durante una scalata nel 1962. Il figlio minore, Chris Wallace, lavorò come moderatore di “Fox News Sunday”, un programma televisivo che andò in onda in tutti i network associati alla Fox. Ha quattro nipoti e recentemente è diventato bis-nonno.
Negli anni ’50, Wallace presentò diversi show a premi, quali The Big Surprise, Who’s the Boss? e Who Pays? In quel periodo era normale per i giornalisti condurre programmi di quel genere; Douglas Edwards, John Daly, John Cameron Swayze e Walter Cronkite fecero lo stesso. Wallace presentò anche l’episodio pilota di “Nothing But the Truth”, assieme a Bud Collyer quando fu sottotitolato, To Tell the Truth. A volte Wallace partecipò ai dibattiti di “To Tell the Truth”. Fece anche da testimonial per la pubblicità.
In questo periodo, Wallace condusse due talk-show in tarda serata, “Night Beat” (trasmesso solo a New York su Wabd) e “The Mike Wallace Interview” su Abc. Le sue interviste erano caratterizzate da domande anche “scomode” (cosa inusuale per quei tempi), venne così soprannominato “Mike Malice” (Mike il Maligno).

Mike Wallace

Nei primi anni Sessanta, la maggior fonte di reddito arrivò dagli spot per le sigarette Parliament. Fu dopo la morte del figlio maggiore che Wallace tornò ad occuparsi di giornalismo. Gli fu offerta la possibilità di presentare una delle prime versioni di “The Cbs Morning News”, che condusse dal 1963 al 1966.
Il 14 marzo 2006, Wallace annunciò il suo ritiro dal programma “60 Minutes” dopo 37 anni. Continuerà a lavorare per la Cbs News come “Emerito Corrispondente”,
Wallace soffrì molto di depressione, scatenata dalle accuse di calunnia e dai processi che ne seguirono. Per questo è stato sottoposto a cure psichiatriche per porre rimedio alle sue condizioni di salute. Wallace disse riguardo alla sua battaglia contro la depressione:
“All’inizio non riuscivo a dormire, poi neanche a mangiare. Mi sentivo senza speranza e credevo di non farcela… poi ho perso la vera percezione della realtà. Sai, diventi pazzo. Precedentemente dedicai una puntata di 60 Minutes sulla depressione, ma non avevo idea di cosa realmente avrei dovuto affrontare. Alla fine collassai, desideravo solo dormire”. (Da: Cbs Cares interview below).
Il 21 maggio 2006, in un episodio di “60 Minutes” rivelò di aver tentato il suicidio con un’overdose di pillole. Negli ultimi anni, Wallace fece pubblica la sua lunga lotta contro la depressione, testimoniò anche al Senato nelle udienze che riguardavano questo problema. Fu intervistato sulla malattia nel programma Larry King Live e su vari documentari. Parlando del problema, egli cercava di spronare le persone affette da depressione per esortarle nel cercare di curarsi.
In uno speciale della Cbs, Mike Wallace intervistò il Gen. William Westmoreland. Il titolo era “The Uncounted Enemy: A Vietnam Deception” (ovvero “Il nemico non considerato: la bugia vietnamita”). A causa di questo programma Westmoreland citò in giudizio Wallace e la Cbs per calunnia.
Nel febbraio 1985, mentre il caso era ancora aperto, la Cbs lo chiuse nei confronti di Westmoreland (dopo delle indagini interne). Il network arrivò alla conclusione che i produttori non utilizzarono un adeguato standard di imparzialità.
Wallace, inoltre, è stato criticato per il modo di condurre le interviste, giudicate piene di circostanze ingannevoli e “imboscate” atte a mettere a disagio le sue prede. L’ex leader di Panama, Manuel Noriega, prima che fosse incarcerato, definì Wallace “la personificazione del boicottaggio giornalistico”.
Wallace è stato interpretato dall’attore Christopher Plummer nel film del 1999 “The Insider”. La sceneggiatura era basata su un articolo di Vanity Fair, “The Man Who Knew Too Much” di Marie Brenner, che accusava Wallace di venire a patti con le corporazioni del tabacco che premevano per sopprimere la storia di Jeffrey Wigand, un ex dipendente della Brown & Williamson che cercò di rendere pubblici i metodi non proprio ortodossi delle multinazionali. Wallace, dal canto suo, prese le distanze da questo “ritratto su celluloide”, ma fu entusiasta di promuovere la storia di Wigand senza alcuna censura.
Il 13 agosto 2006, Wallace intervistò il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad su “60 Minutes”. Le e-mail e i commenti lasciati sul sito di 60 Minutes furono estremamente negative. L’intera intervista fu criticata per essere condiscendente, pregiudizievole e non professionale. Altri, invece, diedero il loro appoggio a Wallace. Sostennero che impedì al presidente iraniano di usare l’intervista come mezzo di propaganda politica.

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