Una riflessione articolata sul ruolo sociale di chi fa informazione al centro del Congresso dell’Ucsi

Giornalismo: dire la verità, sempre

Il segretario della Cei Mons. Mariano Crociata

CASERTA – Dire la verità a ogni costo, saper “esprimere la complessità”, rispettare la dignità delle persone. Le indicazioni sono emerse alla tavola rotonda su “La credibilità dell’informazione in Italia: verso un giornalismo di servizio pubblico”, che si è tenuta ieri alla Cappella palatina della Reggia di Caserta all’interno del XVIII Congresso nazionale dell’Unione cattolica della stampa italiana (Ucsi).
Il confronto è stato aperto dai saluti delle autorità e di mons. Pietro Farina, vescovo di Caserta, il quale ha sottolineato come la “credibilità del’informazione” passi attraverso “la credibilità del giornalista”, chiamato ad aver sempre presente “la vita delle persone cui si riferisce”.
Una dimensione essenziale. Sulla credibilità si gioca una “dimensione essenziale” della professione giornalistica, ha rimarcato il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, ricordando che questa è “necessaria per essere un servizio pubblico, orientato al bene comune dell’intero nostro Paese”.
Il segretario dei vescovi italiani ha messo in luce tre “pericoli” che rischiano di rendere l’informazione “strumento d’interessi disumanizzanti”. Dapprima la “mancanza d’indipendenza economica e l’asservimento a interessi economici, culturali, politici”; in secondo luogo la “sudditanza ai modelli culturali prevalenti”, dove però gli stessi media “contribuiscono in maniera decisiva a costruire” la “cultura dominante”; terzo, “la scomparsa, dal nostro orizzonte culturale, della questione della verità e del senso”.
Il presule ha evidenziato la “tradizione significativa” e il “ruolo sociale” dell’Ucsi, lodando le diverse iniziative attraverso le quali l’associazione sta “esortando il giornalismo a non cessare di assolvere al proprio ruolo sociale”.
Universo in trasformazione. Ma “cosa succede nel mestiere del giornalista in questo universo in trasformazione”, nel quale “i nuovi media si moltiplicano e si diversificano” affiancando i tradizionali mezzi di comunicazione? Questo uno degli interrogativi posti dal presidente Ucsi, Andrea Melodia, facendo riferimento all’ultimo rapporto Censis-Ucsi, dal quale emerge che “i giornalisti sono ritenuti poco affidabili dal 49,8% degli italiani, poco oggettivi dal 53,2%, poco indipendenti addirittura dal 67,2%”.
“Forse – ha aggiunto Melodia – non avremo più bisogno di un servizio pubblico ufficiale quando una parte significativa dei media si sarà convinta che servire il pubblico, e non sé stessi, è lo stato naturale del lavoro informativo e di comunicazione; ma oggi non è così”.
Per camminare verso “un giornalismo al servizio del bene comune del Paese”, mons. Crociata ha indicato tre strade. Primo, “rigenerare il linguaggio”, “evitare il luogo comune e trovare nuovi modi di parlare di una realtà in continuo cambiamento”, sapendo che “la semplicità è una conquista, ben lontana dalla semplificazione”. Poi, “dire con coraggio la verità, a ogni costo”. Infine, essere “testimoni”, “cercatori della verità, consapevoli dei propri limiti ma anche desiderosi di superarli nella comunicazione con gli altri”.
Capire la complessità. Contro la “semplificazione” si è scagliata pure Lucia Annunziata, giornalista ed ex presidente Rai, per la quale il giornalismo “è capacità di capire la complessità ed esprimerla con parole semplici, il che non è semplificare”. Certo, le ha fatto eco il direttore del Giornale radio Rai, Antonio Preziosi, “bisogna capire, nel bombardamento informativo cui siamo sottoposti, quale sia l’informazione buona”.
Sulle esigenze di riforma dell’ordinamento professionale è intervenuto Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale della stampa, chiedendo “un organismo in grado di agire con efficacia immediata rispetto ai colleghi che sbagliano”, superando gli attuali “lacci e lacciuoli” che rendono l’Ordine dei giornalisti inefficace con il tacito consenso della politica, alla quale “fa comodo che sia così”.
Con la vita della gente. Per chi fa informazione da alcuni anni il rischio è di essere “il passato”, ha messo in guardia Enrico Mentana, direttore del Tg La7, forte di 32 anni di giornalismo televisivo. La decadenza dell’informazione non è una specifica italiana, ha ammesso Mentana; pensando al naufragio della Costa Concordia e al delitto di Avetrana, “anche in Italia è invalsa l’abitudine di serializzare tutto” perché, in fondo, “queste storie di cronaca usate serialmente sono l’essenza del giornalismo popolare”.
Dal direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, la richiesta del rispetto di un’etica poiché “impastiamo i nostri racconti con la vita della gente”. “L’informazione che noi facciamo – si è chiesto – è un servizio pubblico o privato? Questo è il grande quesito”. Riguardo al caso del capitano della Concordia, Tarquinio ha criticato la campagna di denigrazione fatta da diversi media perché in gioco c’è la dignità di un uomo che, “se colpevole, verrà processato e condannato da un tribunale”.
E il presidente della Federazione dei settimanali cattolici (Fisc), Francesco Zanotti, ha evidenziato che “per recuperare autorevolezza bisogna fare leva sulla credibilità e sulla competenza”, ricordando che si è “giornalisti per i lettori, e non per compiacere qualche potente”.

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