Perché solo il fotoreporter Umberto Pizzi ha il coraggio di definire correttamente il catenaccio ai teleobiettivi in Parlamento?

“Stretta” alla libertà di stampa. Il bavaglio è solo di destra

Antonio La Tella

Mario Monti con il bigliettino di Enrico Letta

REGGIO CALABRIA – Procediamo con ordine. L’immagine – ormai ne convengono tutti – è parte non secondaria dell’informazione. Appaiono sui giornali fotografie che dicono più di una dozzina di articoli di fondo. Si tratta di un luogo comune, che però non sarà inutile ripetere.
La foto “rubata” del bigliettino indirizzato da Enrico Letta al presidente del Consiglio ha occupato per più di un giorno un posto centrale nella comunicazione politica. Non poteva andare diversamente.
Sono anni, ormai, che i fotografi sono assimilati alla categoria dei giornalisti. Fare il loro lavoro senza condizionamenti è il meno che si possa desiderare. Ed invece questi condizionamenti vengono ora annunciati a causa dello zoom impertimente che ha messo nei pasticci il professore ed il suo incauto interlocutore del centro sinistra.
Fin qui la notizia, peraltro risaputa lippis et tonsoribus, a causa, come abbiamo detto, della sua risonanza. Quel che, invece, è passato (quasi) sotto silenzio è la risposta dei giornalisti in quanto categoria organizzata: freddina, burocratica, evanescente, persino infastidita.
Ma insomma, c’è da chiedersi, le norme-catenaccio imposte dai poteri dominanti sono da considerare bavaglio oppure no? Non lo sono a quanto pare. Lo sarebbero state se, poniamo, il presidente del Consiglio, invece di chiamarsi Monti, si fosse chiamato Berlusconi e il mittente dell’imprudente bigliettino Reguzzoni piuttosto che Letta (Enrico). Beh, in quel caso, contro il bavaglio, voci sdegnate (e persino barricate) si sarebbero levate – statene certi – dai vari “articolo 21”, Usigrai, federazioni di qua e federazioni di là. Per farla breve, il solito casino italiano.
I dati della cronaca. La “stretta”, decisa dall’Ufficio di presidenza della Camera, parte il prossimo 29 novembre e prevede un tesserino anche per fotografi e cameramen, documento concesso previa firma di un codice in cui ci si impegna «a non utilizzare strumenti di ripresa fotografica o visiva per cogliere gli atti o i comportamenti non risultanti essenziali per l’informazione» (ma chi lo stabilisce quando atti e comportamenti siano da ritenersi essenziali per l’informazione? n.d.a).
Fotografi e cameramen potranno continuare a lavorare nelle tribune di Montecitorio. Ma dovranno attenersi ad un codice di autoregolamentazione che scriveranno insieme alla Camera. Per rispetto della privacy dovranno evitare di “scrutare” sms, bigliettini e labiali di deputati e ministri.
La “stretta”, decisa dall’Ufficio di presidenza della Camera, (stretta, si badi, non bavaglio) parte il prossimo 29 novembre e prevede un tesserino anche per fotografi e cameramen. Documento concesso previa firma di un codice in cui ci si impegna «a non utilizzare strumenti di ripresa fotografica o visiva per cogliere gli atti o i comportamenti non risultanti essenziali per l’informazione».
«L’aula è un luogo pubblico, come una piazza. Non possiamo impedire ai fotografi di fare il loro lavoro – ha detto Fini – ma non può essere permesso invece di intercettare le comunicazioni». La novità piace al Garante della privacy e all’Associazione Stampa Parlamentare. Trullalleru trullallà.
Piace, dunque, a Fini ed al garante, ma suscita – scrive Silvio Buzzanca su “la Repubblica” – le critiche del presidente dell’Ordine dei giornalisti: «La proposta che i fotografi si riuniscano in un’associazione è condivisibile, ma che l’adozione di un codice di autoregolamentazione vada concordato con la Camera non va affatto bene», dice Enzo Iacopino.
Un concetto condiviso dalla Fnsi: «Va bene a condizione che di vera autoregolamentazione si tratti, affidata cioè alla responsabilità dei colleghi», dice il presidente Roberto Natale. Decisamente contrario il fotoreporter Umberto Pizzi: «È una privazione della libertà di stampa, – dice – se giornali e agenzie l’accetteranno, accetteranno un bavaglio vero e proprio. Un bavaglio al teleobiettivo».
Conclusione, resta confermato che il bavaglio è quello di destra. Ed è giusto, stavolta, che a denunciarne il rischio sia – soletto soletto – Umberto Pizzi. Stavolta le cucine della sinistra distribuiscono a carrettate insipidi brodini. Buoni solo per i palati dei tanti onorevoli Giulietti che adornano il Parlamento italiano.

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