L’ex direttore dell’Avanti in collegamento con Mentana, su La7, racconta la sua “verità”. Intanto il fascicolo da Roma a Bari

Lavitola: “Sono un pescivendolo ex giornalista latitante”

Valter Lavitola

ROMA – Ha raccontato la sua “verità”, Valter Lavitola, ex giornalista, ex direttore de “L’Avanti”, al momento “soltanto pescatore e pescivendolo”, in collegamento tv, ieri sera, con il direttore del Tg de “La7”, Enrico Mentana: dei magistrati dice di avere un “sacro terrore”, ed è per questo che rimarrà latitante – è lui stesso a confermarlo – , in un Paese del Sudamerica (da cui si è collegato) che neanche Mentana dice di conoscere con esattezza.
E’ da uno studio con pareti bianche, seduto su una poltrona di pelle davanti a una scrivania sopra la quale sono stese carte giudiziarie e tabulati telefonici, che il faccendiere vuole dimostrare di non essere “l’uomo nero” che tutti dipingono.
In origine indagato assieme ai coniugi Tarantini per estorsione ai danni del premier Berlusconi e ora sempre ricercato per un’accusa ora derubricata dal Tribunale del Riesame di Napoli a induzione a rendere dichiarazioni false o mendaci nell’ambito dell’inchiesta pugliese sulle escort, Lavitola passa subito al contrattacco.
Ci sarebbe una telefonata – racconta in una esplosiva prima puntata di “Bersaglio mobile” – tra lui e il premier in grado di scagionarlo dall’accusa di essersi appropriato indebitamente di parte dei 500mila euro da girare a Gianpaolo Tarantini affinché l’imprenditore barese avviasse una sua attività e la smettesse di “rompere le scatole” con continue telefonate. Quella somma, peraltro, Lavitola rivela di averla anticipata di tasca propria ai Tarantini grazie alla vendita di due pescherecci e di altri beni a Panama.
Ma quella telefonata, di nove minuti, non è tra le intercettazioni agli atti della procura di Napoli, seppure – dice – sia stata fatta “dalla stessa utenza argentina usata con Tarantini”. Ecco perchè “ho chiesto al mio avvocato di presentare istanza alla procura per approfondire e verificare se questo tabulato che ho prodotto è vero o falso e vorrei capire perchè questa telefonata non è stata intercettata o non è stata trascritta”, dice Lavitola.
Lavitola mostra i tabulati e spiega: “Dopo aver parlato con Tarantini ho chiamato Berlusconi. Al terzo tentativo (i primi sarebbero andati falliti, ndr.) ho parlato con il presidente e gli ho detto: mi ha contattato Tarantini, ha notizia dei 500mila euro e vuole che gli sia consegnata questa somma. Che faccio? Gliela metto a disposizione? Guardi che lui consuma come una Ferrari”.
E Berlusconi – riferisce Lavitola – gli avrebbe risposto: “No, no, lui deve fare un’attività (con quella somma, ndr)”.
E ancora: quella somma anticipata gli sarebbe stata restituita solo in parte: 255.500 euro, “per l’esattezza”, utilizzati per le spese di Tarantini e avuti in diverse tranche, ma mai tramite un bonifico del premier su conto estero. Semmai con il sistema delle “foto” (così vengono chiamati i soldi nelle telefonate intercettate) consegnategli dalla segretaria del premier, Marinella.
Il faccendiere, che fa sapere di non avere alcuna intenzione di tornare in Italia, nega di aver fornito alcuna scheda telefonica peruviana a Berlusconi: a lui “ho dato una scheda italiana comprata da un mio collaboratore peruviano. Ho dato la scheda per timore di essere intercettato non per i contenuti illegali della telefonata, ma perché parlavo di considerazioni riservate”.
Di Tarantini dà la definizione di un “ragazzo scapestrato, non un criminale, anche un po’ fesso”. Le ossessioni dei coniugi baresi erano tre: “Vedere il premier in più occasioni possibili; riuscire ad aiutare un loro amico, l’imprenditore Pino Settani a fare affari con una società vicino all’Eni; avere lavoro e soldi per le loro esigenze”. Quanto ai rapporti con l’Eni, però, Lavitola ammette di aver bluffato, e di essersene vantato al telefono con Nicla Tarantini perché i coniugi erano insistenti e lo “assilavano anche con due telefonate al giorno”.
Ammette di essersi iscritto alla massoneria quando aveva 18 anni (“in una loggia di Roma, perché mi sembrò, leggendo un libro, che fosse il miglior apprendimento per imparare a stare zitti, per me che sono sempre stato un gran chiacchierone”), e non sa datare con precisione la sua conoscenza con il premier, anche se esclude il tramite di Craxi.
Con Finmeccanica rivela di aver avuto una consulenza di 30mila euro l’anno (“Pozzessere, ex direttore commerciale, pensava di avermi ‘fregato’”) e di aver chiesto un aumento a 70mila lo scorso 30 giugno, al momento della scadenza del contratto.
“Avevo subito una serie di ingiuste delusioni da un amico con cui ho una particolare vicinanza”, vale a dire “Berlusconi, che non mi ha mai candidato come parlamentare”.
Così, “nel 2010 chiesi al presidente se era possibile nominarmi come rappresentante personale del premier in America Latina. Non mi disse né sì né no. Gli chiesi di mettermi alla prova, ma poi c’é stata la famosa storia delle ballerine e di San Paolo e io non ho più avuto alcuna possibilità”. Come “risarcimento” per la delusione della mancata candidatura politica, Lavitola si sarebbe proposto a Pozzessere come procacciatore di affari, facendo leva sulla sua esperienza nel settore dell’import-export in America Latina.
Intanto, stamane, la procura di Roma ha inviato ai colleghi di Bari il fascicolo dell’inchiesta sul cosiddetto “caso Lavitola”. Nei giorni scorsi il tribunale del riesame di Napoli ne aveva disposto la trasmissione.

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