Il chirurgo Gennaro Rispoli intenzionato a riscrivere la storia “scritta con la complicità dei giornalisti dell’epoca”

Garibaldi in Aspromonte ferito da “fuoco amico”

Giuseppe Garibaldi ferito a Gambarie d’Aspromonte

NAPOLI – Un proiettile, o meglio ciò che ne resta, referti, ferri chirurgici, documenti e foto. Un nutrito pool di esperti. Un lavoro di due anni per far luce su uno dei punti non del tutto chiariti del Risorgimento Italiano: la ferita di Garibaldi durante la battaglia dell’Aspromonte. Il risultato altamente probabile di questa indagine è di quelli che possono riscrivere la storia: a colpire il generale non fu un bersagliere ma uno dei suoi, un garibaldino. Per errore, si intende. A ciò si aggiunga che una parte rilevante nella vicenda l’hanno svolta i giornalisti dell’epoca (in particolare il corrispondente del Times da Capri, Henry Wreford) sotto l’input di quello che oggi definiremmo un “ufficio stampa” efficientissimo.
Insomma, se parliamo di intrecci fra azioni di guerra, politica e media, possiamo essere sereni. Il XX secolo non ha fatto che seguire le orme di uno dei primi apparati di comunicazione che la storia può annoverare, quello degli uomini più vicini a Garibaldi prima e dopo l’Unità d’Italia. Perché, al di là delle posizioni storiografiche, non c’è dubbio che il generale sia stato un grandissimo comunicatore. E il silenzio – che seppe mantenere sulla vicenda – ne è la riprova.
A smuovere le acque è il professor Gennaro Rispoli, primario chirurgo dell’Ascalesi di Napoli, esperto di ferite da armi da fuoco e di guerra, studioso appassionato di arti sanitarie al punto da aver fondato ed attrezzato con proprie collezioni il Museo presso “Gli Incurabili”.
Proprio in questo museo, unico in Europa, Rispoli ha ricostruito – al fianco di altri studiosi e medici legali – come è arrivato a formulare una simile ipotesi. Il contesto storico è particolarmente critico. E’ il 29 agosto 1862, il Re Savoia ha ordinato di fermare l’avanzata garibaldina verso Roma. Garibaldi e i suoi sono attestati su una piccola altura nell’Aspromonte. I bersaglieri arrivano dal basso, armati di carabine. Il generale è rivolto verso i suoi, spalle all’esercito piemontese, chiede di non sparare perché “sono fratelli”. Arriva un colpo che lo ferisce sulla regione trocanterica sinistra (il gluteo), Garibaldi si sposta istintivamente ed un secondo colpo lo raggiunge nel malleolo destro forando lo stivale. Conservato nel Museo del Risorgimento a Roma, lo stivale è una delle prove di quanto poco credibile sia la versione ufficiale passata alla storia.
Rispoli ricostruisce così la dinamica della scena del crimine: “La traiettoria della pallottola è chiara, dall’alto verso il basso. I bersaglieri sono situati più in basso, ad almeno 200 metri di distanza (come si evince da numerose stampe dell’epoca), impossibile che a colpire siano stati loro”. Non solo. La forma della bruciatura sullo stivale rivela altro: “E’ di quelle che noi chiamiamo lacero-contusa, probabilmente esplosa da una pistola a distanza ravvicinata, tra 1,5 e 3 metri. Solo i garibaldini erano così vicini al generale”.
Fuoco amico, quindi, su Garibaldi. Un episodio da non rivelare in un frangente politicamente delicato del Risogimento. Una circostanza che viene abilmente occultata prima dai garibaldini e poi dai piemontesi. A nessuno avrebbe fatto gioco che si sapesse la verità. Rispoli insiste: “Credo che il generale abbia anche capito chi sia stato a colpirlo per errore e abbia deciso di nascondere una verità difficile da gestire”.
A dimostrazione di questa tesi l’impenetrabile muro degli uomini di Garibaldi sulla vicenda e la richiesta del figlio Menotti di avere per sé la pallottola una volta estratta. Su tutto i servizi giornalistici di Wreford che, forte di numerosi informatori dal fronte, scrive dalla sua residenza caprese sul Times – un po’ come certi cronisti negli hotel di Bagdhad – e, sostengono alcuni storici, probabilmente legato ai servizi segreti britannici.
Siamo di fronte ad un giallo stile “Cold Case” che farà ancora discutere (ad Ischia, dove Garibaldi soggiornò per curare con le acque termali la ferita, il prossimo 8 ottobre si terrà un convegno ad hoc). Soprattutto perché il professor Rispoli avanza una proposta che farà scalpore: “Bisognerebbe fare un esame del dna del generale. Con gli strumenti odierni si potrebbe capire una volta per tutte da quale arma è stata esplosa la pallottola. Chiederò al governatore della Sardegna – l’unico che può decidere sulla salma di Garibaldi sepolto a Caprera – di poter riesumare il cadavere”.

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