A Tabularasa l’analisi del giornalista pugliese, autore di “Terroni”, sulla questione meridionale

Pino Aprile: “Sui meridionali pesa la colpa dei perdenti”

Pino Aprile

REGGIO CALABRIA – “150 anni. Quale unità d’Italia?” A sviscerare tutto quello che c’è da sapere sul nostro bel Paese, ieri sera, al XVII appuntamento di Tabularasa, sulla terrazza de “La luna ribelle”, il giornalista pugliese Pino Aprile, pungolato dagli organizzatori, Giusva Branca e Raffaele Mortelliti.
Nel 2010, Aprile pubblica il libro “Terroni” (sottotitolo: “Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali”), un saggio giornalistico che descrive, in tono di invettiva, gli eventi che hanno penalizzato economicamente il meridione, dal Risorgimento ai giorni nostri. L’opera, divenuta un bestseller, ha venduto oltre duecentomila copie.
“Questo Sud c’è perché ha scoperto di saper  poco di sé e ora vuole sapere, perché vuole ritrovare se stesso – esordisce Aprile – Non c’è un rigo sui libri di storia di quello che il Sud ha fatto, è  una terra senza memoria e un popolo senza radici. Su altri popoli sono state fatte ricerche molto accurate, mentre per il Sud non c’è nulla. I meridionali hanno reagito, non hanno patito quella condizione dell’imprevisto e si sono ribellati prendendo le armi”.
Aprile fa il punto su una situazione che si trascina da anni, ma che, di recente, sembra essersi radicata in uno scontro di difficile composizione. Ripercorre la storia di quella che per alcuni è conquista, per altri liberazione e porta alla luce una serie di fatti che, nella retorica dell’unificazione, sono stati volutamente rimossi e che aprono una nuova, interessante, a volte sconvolgente, finestra sulla facciata del trionfalismo nazionalistico.
“La storia dei vinti non è storia, quando c’è una guerra c’è un vincitore e uno sconfitto e quest’ultimo perde il diritto del vivere – continua il giornalista – La storia la scrivono i vincitori perché il vinto non deve ricordare la sua perdita, ecco perché la nostra storia, quella del Sud, è stata cancellata. Dobbiamo acquisire la consapevolezza di quella colpa e poi, per spezzare questa catena, dobbiamo interrompere il percorso della colpa. Sui meridionali persiste la colpa di aver perso”.
Aprile ricostruisce un lungo percorso storico e tuona quando ricorda che “Il ministro Calderoli, tra le ventimila leggi che avrebbe dovuto abrogare, ha abolito la norma con cui nel 1897  il Veneto e Mantova venivano ammesse all’Italia. Il Veneto e Mantova, dunque, – continua Aprile – non sono più italiani. Il ministro si è giustificato dicendo che, nel frattempo, lo sono diventati per usucapione. Non tentate di convincere gli osservatori internazionali che Calderoli sia un ministro”.
E poi si sofferma sulle pagine “nere” della storia italiana fatta di guerre, persecuzioni e morti. “Le stragi vengono fatte in osservanza di disposizioni emesse, ma tanto è stato rimosso tutto. Quelli che hanno voluto preservare quella memoria sono morti suicidi. Noi siamo i sopravvissuti, siamo i discendenti del peggio, perché quelli che ebbero più rispetto di sé, non tollerando di diventare schiavi, preferirono morire con un fucile in mano. I sopravvissuti che non vollero rimanere preferirono andar via, emigrare. La consapevolezza dei fatti storici  unisce e chi non sa disconosce un patrimonio culturale”.
In conclusione, Aprile si rivolge al pubblico, ai meridionali, dicendogli: “La verità che viene negata ai meridionali non viene tolta solo a loro, ma a tutti gli italiani, perché siamo tutti più poveri se ci viene sottratta una parte della nostra storia. La Calabria è rimasta in un angolo e,  mentre le altre regioni sono state studiate dai forestieri, la Calabria viene investigata dai calabresi. L’Italia è stata costruita e poi divisa. Compito del giornalista è dire le cose quando si sanno. Il cattivo giornalista è colui che pubblica qualcosa quando conviene a lui o quando lo pagano profumatamente, aldilà del suo stipendio: quello è un giornalista servo. Siamo tutti figli di quella storia ed apprenderla non farà altro che migliorarci”.

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