Ritardi, luoghi comuni e falsi problemi sull’utilizzo dei giornalisti negli uffici stampa

Se la Legge 150 intacca i privilegi nelle Regioni

REGGIO CALABRIA – Tra colleghi giornalisti si sente spesso dire: “La 150 non si applica alle Regioni”. In realtà, è questa un’affermazione cattiva ed egoista, detta anche da un collega portavoce di presidente di regione che, si è poi scoperto, era stato assunto proprio con la legge 150.
Legge che, almeno in Calabria, è stata applicata solo per i portavoce, nel timore, o meglio terrore, che, attivando in toto questa benedetta legge 150, si intaccasse il privilegio del contratto Fnsi-Fieg utilizzato appunto per i soli giornalisti delle Regioni.
In questa visione ci sono due miopie. La prima è che, costituzionalmente, una legge nazionale, nel rispetto dell’autonomia legislativa delle Regioni, per essere applicata deve essere recepita ed adottata dall’ente regionale dopo un preciso passaggio legislativo o normativo.
La Regione Calabria, ad esempio, ha applicato parzialmente la 150 nazionale con una direttiva del presidente, la numero 300 del 2004; mentre la Regione Piemonte ha predisposto una legge, nel 2007, prevedendo norme anche sul digitale televisivo terrestre, su un tributo della Rai a favore del territorio regionale, e sulle telecomunicazioni e la digitalizzazione dell’apparato burocratico.
La seconda miopia è che la 150 è stata vista solo nella parte che dispone per i giornalisti degli uffici stampa una specifica area contrattuale, discussione ferma da anni all’Aran, diversa appunto, dal contratto Fnsi-Fieg utilizzato dalle Regioni.
E’ un falso problema, perché la 150 è un primo luogo una normativa ricca di disposizioni organizzative. Cioè, già a partire dal 2000, la 150 prevede che in ogni ente pubblico deve essere organizzato un dipartimento/direzione generale della “informazione e comunicazione istituzionale” articolato in portavoce, ufficio stampa e urp.
Oggi, undici anni dopo, sullo stesso argomento tornano il ministro Brunetta e gli esperti di DigitPa e Formez che inseriscono nel Cad – codice dell’amministrazione digitale – l’articolo 17 che dispone la costituzione in ogni ente di un”unico ufficio dell’Ict”.
Esperti che si soffermano poi, nel Vademecum delle Linee Guida per i siti web della Pubblica Amministrazione, nella illustrazione dei “ruoli coinvolti nello sviluppo e nella gestione dei siti web”, cioè capo ufficio stampa, responsabile Urp, e quindi, il responsabile del procedimento di pubblicazione dei contenuti sul sito, il responsabile dell’accessibilità informatica, il responsabile dei sistemi informativi.
Il concetto è chiaro: le attività sul web e di governo dei processi di messa in rete dei pc degli uffici, devono essere gestiti da professionisti dell’informatica, dai comunicatori per la comunicazione con cittadini e imprese, e dai giornalisti per i rapporti con testate giornalistiche stampate e televisive e l’informazione da curare in senso al portale/sito web quotidianamente.
Ovviamente, da quel giugno 2000, data di pubblicazione della legge 150, tempo ne è passato, ed il web e la multimedialità hanno fatto passi da gigante.
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, comunica direttamente con la gente attraverso Facebook e Twitter, la cancelliera tedesca Angela Merkel fa arrabbiare i giornalisti accreditati perché, comunicando su Facebook, fornisce notizie importantissime sulle relazioni estere senza passare per i comunicati stampa ufficiali, ed in piccolo, stessa operazione ha fatto di recente il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, con la conseguenza di far infuriare giornalisti e scatenare un vespaio di polemiche che tarda di cessare.
La novità è stata colta dall’avanzatissima Regione Emilia Romagna che, ad aprile, ha emesso un bando per la selezione di un “super capo ufficio stampa” dell’Assemblea Legislativa: oltre ad organizzare le attività tradizionali – conferenze stampa, redazione e diffusione di comunicati, eccetera, il Dirigente del Servizio Informazione che sarà pure il responsabile dell’ufficio stampa dell’Assemblea Legislativa, dovrà anche coordinare la programmazione di contenuti/prodotti radiofonici e televisivi – web tv -, proponendo innovazioni, anche attraverso l’attivazione di canali web/digitale terrestre esistenti o da avviare. Inoltre “svilupperà servizi multimediali e l’utilizzo dei social network, e parteciperà, con altri servizi dell’Assemblea, alla progettazione e alla gestione del portale e dei siti web dell’Assemblea legislativa”.
Di tutto e di più. La Regione Emilia si avvicina al cuore del questione innovazione e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, quando si pone alla ricerca di un Dirigente del Servizio Informazione, ma sbaglia quando lo vuole anche responsabile dell’Ufficio Stampa, quando cerca insieme un super giornalista esperto di Ict e di relazioni con il pubblico. Insomma, un’immensa confusione.
Confusione estesa in Italia laddove si pensi che molte Regioni  hanno delegato le attività Ict ad aziende “in house” come è di moda dire oggi, cioè “Società dell’Informazione” che governano tutti i processi di e-governament utili alla comunità regionale, sanità, politiche del lavoro, trasporti, eccetera.
La società dell’informazione a capitale interamente regionale della Lombardia ha 600 dipendenti ed un fatturato annuo di 800 milioni di euro, un proprio attrezzatissimo centro informatico (sala server a prova di terremoto e incendio), ed una imponente rete informatica a servizio di Comuni e Province ed altri enti pubblici.
Stessa cosa ha fatto il Piemonte con un consorzio tra Regione e Comuni e Province, con un fatturato minore, ma sempre cifre importanti. Coma funzionano, è la domanda da porsi. Al loro interno è prevista una redazione web di giornalisti, che organico hanno, che contratto applicano; in riferimento alle gestione del portale istituzionale che rapporti intercorrono tra redazione web e ufficio stampa della Regione Lombardia o Piemonte?
Sono tutte questioni aperte che possono essere affrontate con tavoli tecnici tra le associazioni territoriali dei giornalisti, dei comunicatori e dei professionisti dell’Ict, con i rappresentanti istituzionali di Regione, Anci, Upi, al fine di pervenire ad un “quadro di regole minime”, come afferma il recente Protocollo d’Intesa siglato nel Veneto dalla Fnsi territoriale e le delegazioni regionali delle associazioni di comuni e e province, a tutela degli enti e dei lavoratori interessati, per meglio offrire un servizio utili ed efficace alla comunità dei cittadini.
Insomma, prima un tavolo tecnico di confronto e poi l’intesa per applicare norme che avranno il risultato di attivare azioni amministrative efficaci, rilanciare l’occupazione delle nuove figure professionali, accelerare il processo di modernizzazione degli apparati burocratici, ricavare risparmi nella spesa pubblica, servire al meglio i cittadini e le imprese.

Filippo Praticò

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *