Iacopino difende l’Ordine dei giornalisti - Il quotidiano dà “lezioni” di democrazia e giustizia

La “legge” secondo “Il Giornale”

Renato Farina

Enzo Iacopino

Vittorio Feltri

ROMA – “Tutti i membri del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, nessuno escluso, hanno ritenuto meritevole di sanzione disciplinare il comportamento di Vittorio Feltri nella vicenda che ha interessato il collega Dino Boffo. Feltri è stato a lungo ascoltato e gli sono state garantite tutte le opportunità di sostenere le sue ragioni, con un contraddittorio che non sempre si registra e che non a tutti viene altrove garantito”. Lo afferma il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino, evidenziando che “lo stesso difensore di Feltri ha ritenuto di ringraziare pubblicamente i consiglieri” affermando che era stato testimone di “un fatto unico” perché mai, in altra sede, si era trovato davanti a giudici capaci di agire con tanto rigore, dando vita ad “un dibattito molto significativo”.
“Sono grato – afferma Iacopino – per il riconoscimento a nome di un Consiglio che agisce sempre così, nei confronti di tutti i colleghi, non solo per una correttezza formale e sostanziale, ma perché vive come una sconfitta la necessità di infliggere una sanzione disciplinare. Queste decisioni, infatti, testimoniano che un collega ha violato le norme deontologiche che regolano la professione a tutela del diritto dei cittadini di essere correttamente informati”.
Secondo Iacopino “la prova lampante di questa capacità del Consiglio di interrogarsi è data, anche in questo caso, dal risultato della votazione: tutti i partecipanti hanno giudicato Feltri responsabile di una violazione deontologica relativa ad un fatto specifico e non ad una opinione. Tutti. Cosa che dovrebbe indurre a riflettere anche quanti alla vigilia della decisione hanno ritenuto di diffondere un appello per chiedere l’assoluzione di Feltri, appello che – per i toni, i tempi e soprattutto l’importanza e il ruolo dei sottoscrittori – è apparso come il tentativo di una indebita pressione”.
Nessun cenno Iacopino fa, invece, rispetto alla dichiarazione di Vittorio Feltri che, dalle colonne de Il Giornale, fa la vittima definendo il provvedimento una “condanna alla disoccupazione”. E, sempre sul Giornale, la sanzione viene definita “un attacco contro le voci libere della stampa” da parte dell’Ordine dei giornalisti che “imbavaglia Vittorio Feltri”.
E mentre il Cdr de Il Giornale “stigmatizza la decisione dell’Ordine dei giornalisti” definendola “l’ennesimo tentativo di metterci a tacere, in un momento delicatissimo per questa testata, peraltro alle prese con un doloroso piano di ristrutturazione”, il Giornale, come era facilmente prevedibile, è infarcito di accuse di ogni tipo all’Ordine dei giornalisti ed ai suoi consiglieri nazionali. In democrazia, per carità, ognuno è libero di esprimere la propria opinione, assumendosene (è ovvio) le responsabilità. In un articolo firmato Giancarlo Perna, dal titolo “L’Inquisizione dei giornalisti, un’arena piena di faide politiche”, tra le tante “considerazioni”, i consiglieri nazionali dell’Ordine vengono definiti  “un’accozzaglia di oltre cento colleghi, molti professionalmente oscuri e della cui personale moralità non sappiamo nulla. Tra loro – presumibilmente – nessuno ha mai diretto un grande giornale e tutti ne ignorano problemi e complessità. I rovelli di ciò che è pubblicabile o no, non li hanno mai sfiorati. Come possono ergersi a giudici? Non possono. Le loro sentenze sono perciò dettate dalla personale simpatia o antipatia per il giornalismo di Feltri o, più probabilmente, dallo schieramento cui appartengono. Dunque, decisioni farlocche come quelle delle toghe politicizzate che rappresentano la vergogna della giustizia. Ma con una differenza che accentua l’anomalia. I giudici veri, anche i peggiori, sono autorizzati dalla legge e devono fare riferimento a norme precise. Gli inquisitori dell’Ordine sono invece autoproclamati e applicano regole di loro invenzione, soggette agli umori, alle convinzioni politiche, nel migliore dei casi giornalistiche. Fuffa, in netto contrasto con la libertà di pensiero e di parola”.
Le espressioni usate si commentano da sole. Davvero singolare il concetto di democrazia e giustizia. Fa un certo effetto leggere affermazioni simili sul giornale della famiglia Berlusconi. Non è colpa dei giornalisti se di “accozzaglie” di personaggi “professionalmente oscuri” sono, ormai, pieni finanche il Parlamento e i ministeri.
L’articolo de “Il Giornale”, naturalmente, si conclude ossequiando Renato Farina, ex vicedirettore di Libero, “arruolato” nel Sismi col nome di Betulla e radiato dall’Ordine dei giornalisti per aver accettato dai servizi segreti circa 30 mila euro”: “…siamo all’assurdo. È radiato, d’accordo. Ma l’Ordine – per fortuna – non può condannarlo al silenzio. È deputato, sa scrivere, piace. Può, dunque, intervenire e firmare quanto vuole. O forse per lui, signori inquisitori, non vale l’articolo 21? Una norma che, applicata davvero, dovrebbe incenerirvi all’istante”. Stando a questa tesi, se fosse, cioè, sufficiente saper scrivere e piacere per fare il giornalista, nel caso Totò Riina sapesse scrivere e piacesse, Il Giornale gli offrirebbe un posto da editorialista? Altro che Repubblica delle Banane. Siamo proprio nel Principato del “Bunga bunga”.

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