“L’omicidio in Afghanistan di Hamid Noori è simbolo del fallimento della missione militare”. Lo afferma Information Safety and Freedom, denunciando che “la decapitazione del collega, volto della Tv di Stato, direttore di un giornale e dirigente del Sindacato dei Giornalisti Afghani, è la tragica sintesi della condizione dei professionisti dell’informazione a Kabul”.
In Afghanistan i giornalisti si trovano bersagliati da tre fuochi: le aggressioni violente dei talebani e dei signori della guerra, le condanne e le minacce del governo e le censure delle Forze Alleate. Chi denuncia atti di corruzione o di violenza si trova, dunque, esposto senza alcuna tutela alle più barbare rappresaglie.
“I giornalisti afghani – sottolinea Isf – sono, dunque, eroici combattenti in nome della libertà di stampa e della democrazia, ma, come queste, sono destinati ad una ormai evidente sconfitta alla faccia di tutti i proclami lanciati in questi anni nel corso della missione militare in atto. Molti colleghi afgani sottolineano come Noori fosse un giornalista scomodo che si era schierato con il maggiore oppositore del presidente Garzai per cui non sono solo i talebani ad essere sospettati per questa ripugnante esecuzione”. Perciò i sindacati dei giornalisti chiedono che, stavolta, venga fatta luce su questo omicidio.
Dal 2001 sono 27 i giornalisti uccisi in Afghanistan, fra i quali 12 di quel Paese e oltre 200 quelli che hanno subito aggressioni fisiche. Per nessuno di questi (o quasi) sono stati individuati gli autori. “Lo scorso anno – ricorda Information Safety and Freedom – ci siamo tutti impegnati, e fortunatamente con successo, per salvare il giovane Sayed Pervez Kambaksh dalla condanna a morte che un tribunale della Repubblica Afghana gli aveva comminato a soli 20 anni per aver pubblicato sul web alcuni articoli riguardanti la condizione femminile nell’Islam”. L’esecuzione di Noori ci conferma che in Afghanistan la democrazia non fa alcun passo in avanti, così come la campagna militare sostenuta dall’Onu.
“Garantire la tutela del libero esercizio della libertà di stampa, così come la piena dignità della condizione femminile – conclude Isf – sono obiettivi primari di quella missione militare che poneva la creazione di una piena democrazia nel Paese strappato alla barbarie dei talebani. Un bilancio così palesemente fallimentare dovrebbe imporre una rivalutazione politica della situazione e degli obiettivi prioritari di un così gravoso impegno della comunità internazionale”.