Enzo Carra
Magari non sarà un inferno, come prevede Franceschini. Certo, però, la discussione sull’arcicontestata legge bavaglio non sarà una passeggiata per chi la impone. La maggioranza ha sfidato settori politici e dell’opinione pubblica ed ha costretto Fini a portare in aula alla Camera questa legge il 29 luglio. La sfida sarà raccolta e aprirà la strada ad una battaglia parlamentare di tipo nuovo. Fin qui abbiamo visto durissimi scontri sulle leggi “ad personam”. Oggi cominciamo con quelli sulle “leggi speciali”. E’ tra queste, infatti, che va annoverato un provvedimento illiberale e antistorico. Illiberale perché – lo ha affermato giusto ieri il compassato garante per la privacy Pizzetti – mettendo i direttori dei giornali sotto il controllo di editori preoccupati delle sanzioni “costituisce una discontinuità significativa”. Antistorico perché non vuole fare i conti con la realtà d’oggi. Fatta com’è di criminalità organizzata che va combattuta con ogni mezzo e con tecnologie che possono in ogni caso sostituire la stampa scritta.
Arriviamo dunque a un dibattito estivo su di una legge speciale e reazionaria. Un dibattito che farà perdere fatalmente di vista anche i punti sui quali c’è generale condivisione e che riguardano la tutela della riservatezza. Il governo e la maggioranza si assumono una grave responsabilità. Il loro sudore, nelle settimane di fine luglio e dei primi d’agosto non sarà pari a quello di chi si opporrà a un testo che cambia il nostro modello di società. Minacciare la libertà di stampa non è cosa da pensosi fautori della “società aperta”, piuttosto è disegno da occhiuti censori, ansiosi di chiudere spazi di libertà.Di questo gli italiani si accorgono, e si accorgeranno. Nella nostra storia ben poche volte l’hanno avuta vinta i potenti che hanno creduto di infrangere i loro diritti. E quando ce l’hanno fatta, è stato per poco. Poi il tonfo è stato clamoroso e l’hanno pagata cara, anche in tempi recenti. Ma già: la storia non insegna niente a chi agisce, come in questo caso, per “puntiglio”, per dimostrare insomma che la forza è nelle sue mani. Finché c’è, quella forza.
Il presidente del consiglio pensa che sia possibile proclamare uno sciopero degli italiani “per insegnare ai giornali a non prendere in giro i propri lettori”. Se lo pensa è anche, o soprattutto perché gli italiani ai quali si rivolge li sente come cosa sua. Gelosi custodi dei suoi diritti e dei suoi beni. Stavolta, forse, sbaglia. I diritti e i beni di Silvio Berlusconi non sono esattamente quelli di cinquanta milioni di italiani, in piena crisi economica. Comunque, è difficile che tra le cose da fare subito questi cittadini mettano il divieto di intercettare e di pubblicare le intercettazioni, ma anche di dare notizie sulle indagini in corso. A meno di non credere che la criminalità mafiosa e la corruzione dei colletti bianchi siano dei fenomeni di massa che toccano da vicino la generalità della popolazione. Strano dunque che il presidente del consiglio indica una battaglia così rischiosa su di un terreno tanto scosceso e impopolare.
Si può invece sospettare che un certo logoramento abbia fatto breccia nelle pur eccezionali risorse psicofisiche del cavaliere e dei suoi collaboratori. Anche così, tuttavia, resta inescusabile la forzatura tentata con successo ieri su Fini. A meno che il presidente del consiglio non spieghi in tv che dopo aver provato, invano e per anni, di rendere più libera l’Italia abbia ultimamente deciso di esserne il normalizzatore. E però, che peccato. (Liberal, 1 luglio 2010).