

Spetterà alla terza sezione civile della Suprema Corte l’ultima parola sulla ormai più che ventennale “guerra di Segrate”, lo scontro che risale alla fine degli anni ‘80 e che portò Silvio Berlusconi ad assicurarsi il controllo di uno dei maggiori gruppi editoriali italiani.
Domani, infatti, verrà discusso il ricorso, depositato nel novembre 2011 dal pool dei legali di Fininvest, tra cui Romano Vaccarella e Giuseppe Lombardi, contro il verdetto del 9 luglio del 2011 della Corte d’Appello civile di Milano che impose alla holding di via Paleocapa di versare il maxi-risarcimento alla Cir.
Anche se arrivò uno “sconto” rispetto al giudizio di primo grado, nel quale il giudice civile Raimondo Mesiano aveva fissato, nell’ottobre 2009, in quasi 750 milioni di euro la cifra dei danni patrimoniali “da perdita di chance”.
Anche in secondo grado, comunque, erano state, in sostanza, accolte le tesi dei legali della holding della famiglia De Benedetti, gli avvocati Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini. La causa civile era stata intentata dalla Cir alla luce della sentenza penale sul Lodo Mondadori, arrivata nel 2007, con la condanna definitiva per corruzione in atti giudiziari del giudice Vittorio Metta, dell’avvocato di Fininvest, Cesare Previti, e degli altri due legali Giovanni Acampora e Attilio Pacifico.
Domani, dunque, l’ultimo atto. Davanti alla sezione della Cassazione, presieduta da Francesco Tritone, verrà esaminato il ricorso contro la sentenza: tra i 15 motivi con i quali Fininvest cerca di “smontare” la sentenza di secondo grado, il primo sottolinea che la Corte d’Appello di Milano “non aveva il potere di rifare il giudizio” di secondo grado che all’epoca diede ragione alla famiglia Berlusconi, poiché tale compito spetta semmai alla Corte d’Appello di Roma e, per giunta, solo dopo la richiesta revocazione – è un punto su cui si insite – che Cir avrebbe dovuto presentare 30 giorni dopo il passaggio in giudicato della condanna dell’ex giudice Metta.
Nel quarto motivo, invece, si rileva come sia stato negato il ‘carattere tombale” dell’accordo dell’aprile del ‘91 che portò alla spartizione della casa editrice. Altri motivi riguardano, tra l’altro, come i giudici d’appello hanno respinto la cosiddetta “eccezione di giudicato”, “l’inesistenza del danno ingiusto” e del “nesso causale tra la sentenza romana e il danno Cir”.
Infine, tra l’altro, si respinge la “l’imputabilità di Fininvest, sia diretta che indiretta, della corruzione” e si contesta “il calcolo dell’abnorme danno liquidato”. La decisione non dovrebbe arrivare immediatamente, ma nel giro di qualche mese. Intanto, gli oltre 560 milioni di euro sono stati già versati nel 2011 dalla Fininvest alla Cir, che li ha congelati in attesa, appunto, del verdetto di terzo grado. (Ansa)