
Giorgio Pegoli e Pino Scaccia
SENIGALLIA (Ancona) – “Sul filo delle guerre” sarà il filo conduttore della serata che, mercoledì prossimo (17 agosto) a Senigallia, vedrà protagonisti il giornalista Pino Scaccia e il fotoreporter Giorgio Pegoli.
Alle ore 21.30, in Piazza Roma, il giornalista della Rai presenterà i suoi libri “Lettere dal Don” e “Shabab”, con l’amico fotoreporter che, da tanti anni lo accompagna nei suoi viaggi in giro per il mondo.
La lettura dei brani sarà, invece, affidata a Mauro Pierfederici.
L’amicizia tra Pegoli e Scaccia è stata ricordata dal giornalista in uno scritto (“Testimoni”), che rievoca il primo incontro ad Abu Dhabi. Scaccia era reduce da un mese di Kabul, Pegoli, invece, era pronto a imbarcarsi per l’Afghanistan.
I successivi incontri a Zagabria, base per visitare i mille paesi devastati della guerra nei Balcani, e ancora nella valle del Don, in Russia e Ucraina.
Esattamente vent’anni dopo ho deciso di tornare. Sia nei sotterranei che nelle campagne, per vedere cos’è cambiato. La prima operazione, negli archivi, stavolta è risultata quasi proibitiva perché dopo l’ubriacatura immediatamente post-comunista è tornata in maniera forte l’abitudine sovietica di soffocare la libertà d’informazione.
Più facile, e assai redditizio, il viaggio nella valle del Don, dove il cambiamento sociale è stato clamoroso, e dove la ricerca dei dispersi in guerra continua con immutata emozione. E forse, più di allora, è stato facile raccogliere storie dirette. Molti testimoni sono ancora vivi. Ma bisogna sbrigarsi, non c’è più molto tempo: i loro racconti presto saranno gli ultimi.
Shabaab in arabo significa letteralmente gioventù. Gli shabab, dunque, sono i giovani. Sicuramente sono diventati i protagonisti della rivolta in Libia, il nocciolo duro che ha innescato l’insurrezione. Per Gheddafi sono estremisti di al Qaeda “in preda ad allucinogeni sciolti nel Nescafé”.
Per il presidente americano Barack Obama sono invece ragazzi “alla ricerca di un modo di vita migliore”. Tutti rigorosamente volontari, fra i giovani guerrieri c’è di tutto: dai teppisti di strada agli studenti universitari, dai disoccupati agli operai. Ma anche mercanti ed ex soldati, tutti con i calci dei fucili (così come le facce) dipinti di rosso verde nero, la bandiera pre rais.
Il loro modo di combattere spesso è più rumoroso che concreto: vanno al fronte cantando e sparando in aria, su e giù per il deserto sugli improvvisati gun-wagons, i pick up su cui sono montate alla buona le mitragliatrici. Una volta ne ho visti quattro con un solo kalashnikov, se lo passavano. Certamente non sono soli.
Ci sono religiosi e probabilmente qualche jihadista come istruttore. Ma, oltre all’irresistibile entusiasmo giovanile, la loro molla è la rabbia che cresce ad ogni lutto. Non sappiamo ancora come finirà. Ma cerchiamo di capire almeno come, e perché, è cominciata.