La legge sulle intercettazioni rimane estremamente problematica, illogica e sbagliata; nonostante tutti i tentativi di renderla “potabile”. Una legge che non assicuri la trasparenza dell’attività giudiziaria ed il diritto all’informazione, corretta, senza altri aggettivi, resta una legge non buona. La qualità del provvedimento che interviene su diritti essenziali della convivenza civile e della formazione dell’opinione pubblica per la partecipazione democratica alla vita del Paese non si può misurare sulla base di sanzioni calcolate per grammi anziché per chilogrammi.
Il nodo sta nei principi che si infrangono. Far diventare i padroni dei giornali proprietari dell’informazione, attraverso lo strumento di multe, ancorché ridotte rispetto a quelle iniziali, significa capovolgere i pilastri della libertà dell’informazione e violare due leggi dello Stato: quella sulla stampa n. 47 del ’48, con cui la Costituente interpreta direttamente la Carta Costituzionale; e quella n. 69 del 1963 che istituisce l’ordinamento della professione giornalistica e pone in capo ai giornalisti l’obbligo di fornire al pubblico un’ informazione “rispettosa della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri della lealtà e della buona fede”.
Nessuno chiede l’arbitrio per violare la dignità delle persone ma i fatti e gli atti delle indagini, specie quanto non più segreti devono essere pubblici e pubblicabili, anche perché la giustizia è – per Costituzione – amministrata in nome del popolo ed a garanzia dei suoi diritti e non di pochi eletti. Udienza filtro perché siano stralciati in origine atti estranei o dedicati ad aspetti meritevoli di tutela assoluta per la dignità professionale e il Giurì per la Lealtà dell’Informazione restano inascoltate proposte. La nostra linea non cambia e si rafforza: dalla disobbedienza civile, alla denuncia, al ricorso alla corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo e alla lotta degli abusi e delle prepotenze.