E’ la motivazione con la quale sono stati assolti i 4 manager che pubblicarono il video di un disabile vessato dai compagni

Google assolta: la verifica preventiva mutilerebbe la libertà

MILANO – Una “verifica preventiva di tutto il materiale immesso dagli utenti” non può “essere ritenuta” doverosa, perché “demandare a un internet provider un dovere-potere di verifica” è un’opzione “non scevra da rischi, poiché potrebbe finire per collidere contro forme di libera manifestazione del pensiero”.
Lo scrive la Corte d’Appello di Milano nella sentenza con cui ha assolto 4 manager di Google imputati per il caso del video caricato in Rete che ritraeva un disabile vessato. Nel febbraio 2010, in primo grado, il giudice Oscar Magi aveva condannato a 6 mesi (pena sospesa) per violazione della privacy tre manager del famoso motore di ricerca in relazione a quel filmato, che riprendeva un minorenne disabile insultato e vessato dai compagni in un istituto tecnico di Torino e che venne caricato su Google Video l’8 settembre 2006.
La sentenza all’epoca suscitò molto clamore a livello internazionale perché si trattava del primo processo, a livello mondiale, ai responsabili di un provider di internet per la pubblicazione di contenuti sul web. E il verdetto di condanna venne duramente criticato dall’ambasciatore americano a Roma, David Thorne, e anche dalla stampa “a stelle e strisce” che aveva parlato di un “regalo” a regimi come quello iraniano e cinese, contrari all’internet libero.
Lo scorso 21 dicembre, però, i giudici della prima sezione penale della Corte d’Appello (collegio Malacarne-Arienti-Milanesi) hanno assolto i tre manager “perché il fatto non sussiste” e anche un quarto responsabile di Google che era imputato per diffamazione, accusa già caduta in primo grado. E hanno accolto, in sostanza, la linea difensiva degli avvocati Giulia Bongiorno, Giuseppe Vaciago e Carlo Blengino secondo cui Google non aveva, in base all’ordinamento, alcun obbligo né di controllo preventivo sui contenuti caricati in Rete né informativo in relazione al trattamento dei dati personali.
In un passaggio delle motivazioni, appena depositate, dove si affronta in particolare l’accusa di diffamazione, i giudici scrivono che “non può essere ravvisata la possibilità effettiva e concreta di esercitare un pieno ed efficace controllo sulla massa dei video caricati da terzi, visto l’enorme afflusso di dati”.
Non può non vedersi, spiega ancora la Corte, “come l’obbligo del soggetto-web di impedire l’evento diffamatorio, imporrebbe allo stesso un filtro preventivo su tutti i dati immessi in Rete, che finirebbe per alterarne la sua funzionalità”.
Nelle parte relativa all’assoluzione dall’accusa di violazione della privacy, invece, i magistrati chiariscono che “va esclusa” per il “prestatore di servizi” su internet, come Google, la possibilità “di procedere a una efficace verifica preventiva di tutto il materiale immesso dagli utenti”. E questo sia per “la complessità tecnica di un controllo automatico”, sia perché si tratterebbe di una “scelta da valutare con particolare attenzione in quanto non scevra di rischi” per i suoi riflessi sulla “libera manifestazione del pensiero”.
Nelle motivazioni di primo grado, invece, il giudice, tra le altre cose, aveva scritto che la Rete non può essere una “sconfinata prateria” dove “tutto è permesso”. (Ansa)

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