In mostra fino al 13 novembre, alla Barbara Frigerio Contemporary Art di Milano, gli scatti del direttore di “Sette”

La Pianura Padana del siciliano Giuseppe Di Piazza

Una delle foto della mostra “Io non sono padano”

MILANO – Vaghe silouette di rami, macchie di cespugli nel movimento di un treno in corsa, riflessi d’acqua e sassi e mattoni. La materia che si svela e si cela avvolta dal manto misterioso della nebbia. E ancora: il gelo dell’inverno nel riverbero azzurro di un campo innevato, lo scorrere dei tir nella foschia di un paesaggio bidimensionale.
E’ la Pianura Padana raccontata negli scatti di Giuseppe Di Piazza, giornalista e direttore di “Sette”, settimanale del Corriere della Sera che nella mostra “Io non sono padano” (fino al 13 novembre presso “Barbara Frigerio Contemporary Art” in via Fatebenefratelli, 13 a Milano), ripropone nelle sue fotografie l’essenza magica del Nord catturata dallo sguardo di un uomo del Sud.
Nato a Palermo e vissuto per 18 anni a Roma, Di Piazza infatti padano proprio non lo è, ma “dopo 11 anni che vivo a Milano – spiega il direttore di Sette – mi sono innamorato di questo mondo fascinosissimo della Pianura, della nebbia che dà un’emozione pazzesca e che nasconde la possibilità di essere carnali, trasgressivi. Un mondo strano per me che ho il mare negli occhi e che ho voluto catturare e raccontare attraverso la fotografia, mia prima passione e mezzo espressivo”.
Immagine e scrittura, due forme narrative distinte e complemetari che sempre più spesso convivono nel mondo multimediale.
“Sono due percorsi paralleli di multimedialità fortissima – spiega Di Piazza che è anche docente di giornalismo all’Università Iulm -. Insieme all’immagine mai come oggi la parola ha valore. Qualunque cosa si scriva o si fotografi, grazie ai social network rimbalza in migliaia di mondi. Ma al contrario dell’immagine, dei filmati che hanno un impatto emotivo fortissimo – sottolinea Di Piazza -, al giornalismo di parola è riservato il ruolo dell’approfondimento, della ricerca, della ponderazione”.
Insomma, “l’informazione multimediale che viaggia su Internet deve essere popolare, rapida, immediata. Ha il compito di trasmettere emozioni ma è priva di approfondimento documentale. In questo senso – afferma – le foto scattate dai ribelli al corpo di Gheddafi morto sono un atto di giornalismo, istintivo, ma pur sempre giornalismo”.
Parallelamente continua a vivere l’altro tipo di giornalismo, quello di scrittura, di approfondimento “che è destinato a diventare elitario e ad avere sempre più la necessità di dare informazioni originali, notizie esclusive, interessanti oltre ad analisi e opinioni autorevoli”.
Ma attenzione, chiarisce Di Piazza, “anche per la fotografia ci sono diversi gradi di narrazione: se la foto scattata dal telefonino del ribelle in Libia è un documento, la stessa foto scattata da un fotoreporter avrà in più quella suggestione che sta nello sguardo di chi ha la capacità di raccontare”.
Lo stesso sguardo, forse, con cui un cronista venuto da Palermo ha saputo catturare e svelare i misteri della Pianura Padana. (Ign)

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