Dai sostenitori del deposto presidente Mubarack con l’accusa di aver seminato divisioni nel Paese

Giornalisti di Al Jazeera pestati al Cairo

Hosni Mubarack

IL CAIRO (Egitto) – Un gruppo di sostenitori del deposto presidente egiziano, Hosni Mubarak, ha aggredito questa mattina una troupe della tv araba “Al-Jazeera” al Cairo.
I giornalisti si trovavano davanti all’Accademia della polizia, dove stava per iniziare il processo a carico del deposto presidente, quando i sostenitori di Mubarak li hanno aggrediti accusando l’emittente qatariota di aver “seminato divisioni nel Paese e di essere responsabile di questo processo”.
I giornalisti sono stati costretti a interrompere per alcuni minuti il collegamento in diretta con l’emittente.
Oggi, infatti, è iniziato il processo a carico dell’ex presidente egiziano e dei suoi più stretti collaboratori. Il presidente della Corte ha aperto la seduta ricordando la necessità che “i lavori si svolgano nel massimo della tranquillità”.
L’ex raìs, che questa mattina ha lasciato l’ospedale di Sharm el-Sheikh, dove è ricoverato da mesi, per essere trasferito a bordo di un velivolo militare al Cairo per il processo, è entrato su una barella nella gabbia degli imputati predisposta nell’aula magna dell’Accademia di polizia. Nei primi minuti dell’udienza, l’ex presidente ha alzato più volte la testa dal lettino nel quale era coricato per seguire il processo.
I suoi due figli, Alaa e Gamal, con indosso la tuta bianca dei detenuti egiziani, hanno seguito l’udienza in piedi nella parte destra della gabbia nella quale sono stati portati. Dall’altra parte della gabbia l’ex ministro dell’Interno, Habib el-Adly, con una divisa azzurra. El-Adly era stato già processato nelle scorse settimane per malversazione.
L’udienza ha preso il via con la chiamata dell’ex ministro dell’Interno. Con lui sono stati chiamati anche altri imputati. I legali di Mubarak hanno chiesto alla Corte di separare il processo a carico del loro assistito da quello che vede imputato l’ex ministro dell’Interno. Gli avvocati dell’ex presidente egiziano e degli altri imputati hanno inoltre chiesto più tempo per convocare nuovi testimoni.
I pubblici ministeri del Cairo hanno accusato Mubarak ed el-Adly di aver ordinato alla polizia di sparare sui manifestanti durante la rivoluzione egiziana.
I pm hanno anche accusato l’ex raìs di corruzione per una serie di progetti immobiliari a Sharm el-Sheikh e per la vendita del gas a Israele. La procura del Cairo ha, quindi, chiesto di inserire tra i capi di imputazione gli omicidi e la repressione condotta dalla polizia nei giorni della rivoluzione in tutte le province egiziane.
L’ex presidente egiziano e i suoi figli hanno respinto le accuse. Dopo che i pubblici ministeri hanno letto i capi d’imputazione, il deposto presidente steso nella barella ha replicato: “Non ho commesso nessuno dei reati che mi vengono imputati”. Analoga risposta è giunta anche dai suoi due figli.
Gli avvocati delle famiglie delle vittime della repressione hanno, invece, chiesto che siano chiamati in tribunale come testimoni il capo del Consiglio supremo delle Forze Armate, Field Marshall Mohamed Hussein Tantawi, e il funzionario del Consiglio Sami Annan. I legali chiedono che siano interrogati sulle loro dichiarazioni rilasciate ai mezzi di informazione nelle quali hanno sostenuto che era stato loro chiesto di sparare sulla folla, ma si erano rifiutati. Uno dei legali delle vittime ha chiesto per Mubarak la pena di morte.
Il presidente della Corte ha sospeso l’udienza due volte per esaminare prima le richieste dei legali del raìs e poi quelle avanzate dalla Procura e dai legali delle vittime. L’udienza a carico di Mubarak è stata poi rinviata al 15 agosto, a domani quella a carico di Habib el-Adly. Il deposto presidente ha lasciato l’Accademia dove oggi si è svolto il processo diretto all’International medical center, che si trova fuori dalla capitale.
Nei pressi dell’Accademia si sono registrati scontri tra centinaia di sostenitori dell’ex rais e suoi oppositori. A dividere i manifestanti, che hanno lanciato bottiglie e pietre, sono intervenuti più volte gli agenti delle forze di sicurezza. Almeno 61 persone sono rimaste ferite, secondo quanto riferisce la Dpa, 11 sono state trasferite in ospedale.
E’ stato a quel punto che un gruppo di sostenitori di Mubarak ha anche aggredito una troupe di “al-Jazeera” accusando l’emittente qatariota di aver “seminato divisioni nel Paese e di essere responsabile di questo processo”. I giornalisti sono stati costretti a interrompere per alcuni minuti il collegamento in diretta con l’emittente.
La notizia dell’avvio del processo a carico del deposto presidente egiziano campeggia questa mattina sulle prime pagine della stampa del Cairo. Per il quotidiano “al-Ahram”, il più antico giornale arabo, quello di oggi è un “giorno memorabile” perché “per la prima volta nella sua storia viene processato un presidente egiziano”.
Il giornale riporta anche le dichiarazioni di Muhammad Fathallah, direttore dell’ospedale di Sharm el-Sheikh, secondo il quale “le condizioni psichiche del deposto presidente stanno rapidamente peggiorando”, mentre secondo altre fonti “soffre di attacchi di pianto continui”.
Secondo il giornale “al-Jumhuriya”, “si realizza oggi lo stato di diritto in Egitto perché per la prima volta viene processato un presidente nell’ambito di un processo”.
Mentre la prima seduta del processo è stata salutata con gioia su Internet. Sui social network, infatti, molti egiziani hanno scritto di trovarsi davanti a un evento che non si sarebbero mai immaginati. “Gioisci, madre del martire”, scrive ShaimaStreet su Twitter, perché Mubarak è stato portato in un’aula di un tribunale. NadiaE descrive come “molto, molto, molto emozionante vedere Mubarak in un’aula di tribunale”.
Le fa eco l’utente di Twitter Arwasm, che in maiuscolo scrive: “Oh mio Dio! Lui è qui!”. Anche per giornalisti e attivisti si tratta di un momento storico. Alaa Abdel-Fatah, ad esempio, scrive sul web: “Chi avrebbe creduto che potesse accadere quando, per la prima volta nel 2004, lo accusavamo di essere illegittimo”’. Il giornalista di “Democracy Now”, Sharif Kouddous, scrive: “Tanti hanno aspettato, hanno combattuto e sono morti per questo momento”.

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