Alla tradizionale consegna del Ventaglio, il presidente della Repubblica ha ricordato l’incertezza e la perdita di posti di lavoro

Napolitano preoccupato dall’inquietudine dei giornalisti

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riceve il tradizionale “Ventaglio” da Pierluca Terzulli, presidente dell'Associazione Stampa Parlamentare, e dall'autrice, Monica Pezzoli

ROMA – Tradizionale cerimonia di consegna del “Ventaglio” al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, stamane al Quirinale. Il presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare, Pierluca Terzulli, alla presenza dei componenti il Consiglio direttivo, degli aderenti all’Associazione e di personalità del mondo del giornalismo ha consegnato a Napolitano il Ventaglio realizzato quest’anno dall’allieva dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, Monica Pezzoli.
Il presidente della Repubblica ha sottolineato che, in continuità con lo spirito e le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è stato possibile concepire e realizzare una prova di coesione nazionale come quella della rapidissima adozione in Parlamento e la manovra finanziaria, resasi necessaria di fronte ai colpi della crisi incombente sull’euro che raggiungevano il nostro Paese.
Napolitano ha espresso preoccupazione per la flessione nel numero degli occupati, il più alto tasso di disoccupazione, l’aumento degli inattivi che non cercano lavoro. Un fenomeno che ha colpito soprattutto i giovani tra i 18 e i 29 anni.
Il presidente della Repubblica ha detto, infatti, che “alla ripresa produttiva non corrisponde – e tale fenomeno non è solo italiano – una ripresa dell’occupazione” aggiungendo di aver “ben presente l’inquietudine del mondo dei giornalisti, per l’incertezza o la perdita di posti di lavoro”.
Infine, parlando dei contrasti e degli scontri politici, benché così aspri, che non rendono impossibile “il manifestarsi, talvolta, di un larghissimo consenso in Parlamento, come quello della partecipazione militare e civile a difficili missioni di stabilizzazione e pacificazione in aree di crisi, dove si annida il terrorismo e covano minacce di conflitto”, Giorgio Napolitano ha detto che “l’informazione non dovrebbe minimizzare tali segnali”.
Per la Federazione Nazionale della Stampa erano presenti alla cerimonia, seduti in prima fila, il segretario generale Franco Siddi, il presidente Roberto Natale ed il direttore Giancarlo Tartaglia.

L’INTERVENTO DI GIORGIO NAPOLITANO
Alla vigilia della pausa estiva, l’attività parlamentare vede ancora in primo piano la manovra finanziaria, giunta ormai quasi all’approvazione finale; ed è d’altronde sulle condizioni e sulle prospettive dell’economia che resta concentrata l’attenzione del paese e dei cittadini. Non può che partire di qui la riflessione a cui ci invita, anche attraverso le parole del dottor Terzulli, la cerimonia del Ventaglio.
La manovra affidata al decreto del 30 maggio scorso si è collocata nella scia degli orientamenti definiti, non senza fatica, in sede europea di fronte ai rischi da cui era stata negli ultimi mesi investita la moneta comune, e quindi di fronte alle esigenze di stabilizzazione finanziaria, di consolidamento dei bilanci dei nostri Stati e insieme di crescita delle nostre economie. Si sono imposte in Europa misure di intervento immediato; e in contesti più ampi come quelli del G8 e del G20 si è lavorato e si lavora su riforme nelle regole del sistema finanziario già apparse obbligate come parte essenziale della lezione da trarre dalla dirompente crisi globale del 2008-2009.
Al di là delle divergenze e delle tensioni manifestatesi sui contenuti del decreto che sta per essere convertito in legge, e anche al fine di tenere aperta la ricerca di risposte a problemi e domande che non hanno trovato sbocco nel confronto finora svoltosi su questo difficile e impegnativo provvedimento, occorre davvero guardare avanti, misurarsi con le sfide del futuro, e farlo con la massima apertura e serietà.
Nessun catastrofismo per quel che riguarda l’Italia, ma consapevole realismo nel valutare le attuali tendenze, nei loro aspetti positivi e nei loro limiti, le questioni di fondo e le incognite che restano. Si sta risalendo la china di una pesante caduta; si sta manifestando una significativa ripresa della produzione industriale e in modo particolare delle esportazioni; si sta confermando la vitalità del nostro sistema imprenditoriale, una parte del quale, soprattutto, coglie i frutti di un processo di rafforzamento delle basi e dell’efficienza aziendali e di dinamica proiezione verso i mercati internazionali.
Sul piano sociale, hanno inciso positivamente le politiche di rafforzamento degli ammortizzatori e di sostegno dei redditi famigliari. Non sottovalutano nessuno di questi elementi tutte le analisi obbiettive che hanno più di recente visto la luce. Ed esse non sottovalutano le risorse di cui l’Italia dispone oggi per competere e crescere, compreso il livello ben più basso che in altri paesi europei dell’indebitamento delle famiglie e delle imprese.
Detto questo, dobbiamo guardare al futuro, e ciò significa in sostanza guardare alla condizione dei giovani, e alle troppe debolezze e strozzature del nostro sistema economico e civile che occorre superare per garantire ai giovani un futuro sostenibile e dinamico. Il punto critico in cui si incrociano le maggiori contraddizioni del nostro sviluppo storico e della fase attuale è quello del livello di inattività nettamente più alto che nella media europea e in ulteriore crescita – come ha documentato il rapporto annuale dell’Istat.
La flessione nel numero degli occupati, il più alto tasso di disoccupazione, l’aumento degli inattivi che non cercano lavoro, hanno colpito soprattutto i giovani tra i 18 e i 29 anni. Alla ripresa produttiva non corrisponde – e tale fenomeno non è solo italiano – una ripresa dell’occupazione. (E mi è ben presente, dottor Terzulli, l’inquietudine del mondo dei giornalisti, per l’incertezza o la perdita di posti di lavoro). Da noi, le questioni storiche dell’occupazione e del Mezzogiorno si rispecchiano, esaltate, nella condizione giovanile. Il problema dei giovani non impegnati né in un lavoro né in un percorso di studio o di formazione, è oggi il problema numero uno se si guarda al futuro dell’Italia.
Anche sulla situazione e sulle prospettive del Mezzogiorno sono stati presentati proprio nell’ultima settimana documenti di analisi approfondita e aggiornata, da parte di fonti di governo (il Dipartimento per lo Sviluppo e la coesione territoriale, e il ministro che vi è delegato) e da parte della Svimez. E riguardano da vicino sia il Mezzogiorno che i giovani alcune scelte essenziali da compiere per superare squilibri e strozzature di antica data e garantire lo sviluppo dell’intero paese: in particolare, politiche forti e mirate per l’istruzione e per la formazione, per la ricerca e l’innovazione, per la valorizzazione del nostro patrimonio ambientale e culturale ; così come scelte di elevamento della dotazione di infrastrutture strategiche e della qualità dei servizi collettivi. Si può confidare in un impegno al più aperto confronto su questi temi? Un impegno che decolli al più presto e a cui concorrano gli opposti schieramenti politici e un vasto arco di soggetti istituzionali, sociali e culturali?

Giorgio Napolitano durante la cerimonia del Ventaglio, stamane al Quirinale

A tale confronto si collegano naturalmente le problematiche di fondo già in piena evidenza come quelle di una nuova visione del rigore e delle priorità di bilancio per lo Stato e per le autonomie, quelle del federalismo fiscale e di una organica riforma del sistema tributario, senza mai trascurare l’imperativo, per tutti, di contribuire alla riduzione di un insostenibile debito pubblico.

Chiudo queste considerazioni con due riferimenti di particolare attualità. Primo : la discussione che ha preso corpo in queste settimane sulla stampa, circa il compito cui la politica dovrebbe assolvere, di suggerire una visione e una prospettiva per il futuro del paese, esplicitando le condizioni – compresi gli sforzi e i sacrifici necessari – perché si possa tendere con fiducia, nonostante le difficoltà, a un futuro di avanzamento, e non di incertezza e declino, dell’Italia nell’Europa e nel mondo di domani. Penso che le sollecitazioni in questo senso vadano raccolte seriamente, e auspico che nel confronto emergano anche visioni diverse, rappresentative sul piano politico delle attuali forze di maggioranza e delle attuali forze di opposizione, non sottraendosi queste ultime alla prova e alla responsabilità a cui sono chiamate in un quadro di feconda competizione come quello che dovrebbe caratterizzare una democrazia dell’alternanza.
Non avevo forse, proprio in questo spirito invitato tutti a cogliere l’occasione del 150° anniversario dell’Unità per un esame di coscienza collettivo, per uno sforzo volto – oltre le strettoie delle polemiche attuali – a “guardare all’orizzonte più largo del futuro della nazione italiana, per elevare al livello di fondamentali valori e interessi comuni il fare politica e l’operare nelle istituzioni”?
Secondo riferimento di attualità. Se ci si impegna in un confronto di fondo sul futuro del paese, partendo dallo spessore e dalla complessità dei problemi da affrontare e riconoscendo che si impongono scelte di medio e lungo periodo, al di là dell’alternarsi delle maggioranze di governo, si comprende la necessità di un’ampia condivisione su grandi obbiettivi e su grandi linee d’intervento. Non c’è spazio per autosufficienze ed esclusivismi né per contrapposizioni totali: convincersi di ciò e trarne le conseguenze, è quel che mi sta a cuore e che sollecito, mentre non mi interessano scenari politici ipotetici di nessuna specie.
Del contesto di lungimirante confronto che auspico, nell’interesse generale, è condizione il corretto funzionamento delle istituzioni e dei rapporti tra le istituzioni. L’istituzione governo non può ormai sottrarsi a decisioni dovute, come quella della nomina di un titolare del Ministero dello sviluppo economico o del Presidente di un importante organo di garanzia quale la Consob. Penso in pari tempo soprattutto all’istituzione Parlamento, e ai rapporti tra governo e Parlamento.
E’ di cruciale importanza che questi rapporti si dispieghino in modo da consentire il più attento vaglio delle soluzioni legislative da adottare, specie quando si tratti di problemi particolarmente complessi. In tali casi, il tempo che può prendere l’esame di un provvedimento da parte delle Camere, anche attraverso laboriosi approfondimenti e ripensamenti, non deve considerarsi qualcosa di abnorme, uno spreco, un segno di disfunzione. In tutti i paesi democratici il procedimento legislativo richiede grande attenzione e riflessività, implica una seria considerazione di tutte le posizioni e le opzioni in campo, non sopporta chiusure pregiudiziali e rigidità sui testi proposti all’esame.
Si può convenire, e si conviene largamente, per quel che riguarda l’Italia, sulla necessità di garantire, anche attraverso i regolamenti parlamentari, maggiore certezza circa l’iter dei disegni di legge e i suoi tempi di durata e conclusione. Ma può essere utile, per evitare semplificazioni eccessive e sommarie polemiche su quel che la nostra Costituzione può consentire o non consente, riflettere sul fatto che mentre da noi è stato possibile approvare tra giugno e luglio una rilevante manovra di aggiustamento dei conti pubblici, in Germania – nel pieno rispetto delle prerogative di quel Parlamento – le misure adottate in linea di massima dal governo e annunciate il 7 luglio saranno definite, insieme col documento di programmazione finanziaria, solo all’inizio di settembre e diventeranno legge di bilancio, a conclusione della apposita sessione in Commissione, con voto dell’assemblea del Bundestag non prima di dicembre.
Non deve dunque stupire che la definizione di una nuova legge in materia di intercettazioni, da lungo attesa, abbia richiesto un tempo non breve e un percorso faticoso, potremmo dire “per approssimazioni successive”. Non c’è da stupirsene perché si trattava di bilanciare tra loro diversi valori e diritti, tutti egualmente riconosciuti in Costituzione. Li richiamo per chiarezza.
Il valore della sicurezza dei cittadini e dello Stato, da garantire con l’imperio della legge, contrastandone e colpendone ogni violazione attraverso la ricerca e la verifica, con i mezzi indispensabili, degli indizi di reato, e l’esercizio della funzione giurisdizionale secondo i principi del giusto processo. Il valore della libertà di stampa e più in generale di informazione; ovvero il diritto dei cittadini di essere informati e il relativo dovere di informare che impegna quanti esercitano tale professione.
E ancora, il valore della libertà di comunicazione tra le persone, il diritto al rispetto della riservatezza e della dignità delle persone. Nessuno di questi valori e diritti può mai essere invocato contro gli altri. Occorre definirne il miglior bilanciamento possibile, che è funzione delicata ed essenziale innanzitutto del legislatore, cioè del Parlamento, restando eventualmente in ultima istanza alla Corte Costituzionale l’apprezzamento del rispetto degli indirizzi e dei vincoli posti nella Carta. Ragionevole bilanciamento, nel momento storico dato, tra diversi valori e diritti, pur al di fuori di una gerarchia prestabilita.
Questo è stato lo sforzo compiuto e ancora in atto a proposito della legge in materia di intercettazioni, e non si può che apprezzarlo, dandone merito e non demerito alla dialettica parlamentare, che ha rispecchiato e teso a comporre anche molteplici contrasti emersi nell’opinione pubblica e nel paese. E tra i contributi allo sforzo compiuto vorrei ricordare quelli venuti da diversi soggetti istituzionali e culturali, tra i quali Autorità Indipendenti come quella per le garanzie nelle comunicazioni e come il Garante per la protezione dei dati personali.
Il Presidente di quest’ultimo organo nella recente relazione al Parlamento ha ampiamente e acutamente esplorato il rapporto tra libertà di stampa e tutela della persona, tra informazione e riservatezza, contestandone letture unilaterali in un senso o nell’altro. Sono certo che i giornalisti abbiano riflettuto su quelle considerazioni, che per certi aspetti sono anche suonate critiche nei loro confronti. Ho notato che nell’intervento del dottor Terzulli si è parlato di autocritica per responsabilità ed errori che non si intende negare : considero positiva questa apertura, cui si vorrà certo dare coerentemente seguito.
Anche nella vicenda della controversa legge cui mi sono riferito, il ruolo del Presidente della Repubblica è risultato, io credo, più che mai chiaro (non vedo, dottor Terzulli, come si possa equivocare) nel rispetto delle attribuzioni e dei limiti sanciti in Costituzione. Nessuna interferenza nella dialettica politica tra gli opposti schieramenti e all’interno di essi; e nessuna interferenza nell’attività del Parlamento, che rappresenta la sovranità popolare nell’esercizio della funzione legislativa, fatta salva la facoltà del Presidente di cui all’articolo 74 della Carta.
Il mio è piuttosto un impegno a valorizzare sempre il profilo e i poteri del Parlamento come istituzione “cardine” della democrazia repubblicana. L’invito a un ampio ascolto dell’opinione pubblica, delle forze sociali, del “paese reale” e alle convergenze o all’avvicinamento delle posizioni, in Parlamento, su scelte di più rilevante portata e valenza, è un dovere che sento come proprio del Presidente della Repubblica quale lo vollero i Costituenti, definendolo “magistrato di persuasione”, chiamato a “rappresentare e impersonare l’unità e la continuità nazionale”.
E mi fermo qui, ripromettendomi di affrontare altri rilevanti fatti e temi di attualità nell’incontro con gli uscenti e gli entranti del Consiglio Superiore della Magistratura – incontro che avrò entro la fine del mese, essendo certo che il Parlamento stia per procedere alla dovuta elezione dei componenti “laici” del Consiglio.
Concludo invitando quanti seguono le vicende della politica e delle istituzioni con ben comprensibile turbamento e preoccupazione, a compiere uno sforzo di pacata e matura riflessione. Ci indigna ed allarma l’emergere di fenomeni di corruzione e di trame inquinanti, anche ad opera di squallide consorterie, ma la nostra democrazia, e vorrei dire la collettività nazionale, dispone di validi anticorpi : in primo luogo la capacità di reazione morale dei cittadini, e insieme la vitalità dei principi costituzionali, e dei presidi costituiti dalle leggi ispirate a quei principi e affidati alla preziosa azione della magistratura e delle forze dell’ordine. Si deve intervenire senza alcuna incertezza o reticenza su ogni inquinamento o deviazione nella vita pubblica e nei comportamenti di organi dello Stato: ma senza cedere a nessun giuoco al massacro tra le istituzioni e nelle istituzioni.
Ho detto, all’inizio, dei motivi di preoccupazione ma anche di fiducia per il futuro del paese, e innanzitutto della sua economia, e ho parlato di una necessaria e possibile ampia condivisione di scelte e riforme cruciali che occorre varare. Tra queste, certo, anche le riforme istituzionali e modifiche ben mirate della Costituzione, e continuerò a sollecitarle senza arrendermi al pessimismo. Peraltro, quella vigente è una Costituzione che non impedisce ma consente e promuove interventi di forte carica innovativa come quelli dettati dal Titolo V, in special modo per il federalismo fiscale nel quadro di una rinnovata unità nazionale.
I contrasti e gli scontri politici, benché così aspri, non rendono impossibile il manifestarsi, talvolta, di un larghissimo consenso in Parlamento: proprio in questi giorni attorno a un impegno caratterizzante del ruolo internazionale del nostro paese, come quello della partecipazione militare e civile a difficili missioni di stabilizzazione e pacificazione in aree di crisi, dove si annida il terrorismo e covano minacce di conflitto. L’informazione non dovrebbe minimizzare tali segnali.
Se è troppo chiedere serenità, mi sia consentito fare appello al senso dell’equilibrio nei giudizi e nelle previsioni, a uno sforzo di consapevolezza e di responsabilità, e, soprattutto, contare su una diffusa volontà di partecipazione per il successo delle buone cause.

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