Indro Montanelli si scagliava contro i giornalisti asserviti al potere che, così, non rispettano il pubblico

“L’unico padrone del giornalista è il lettore”

Indro Montanelli

ROMA – Nel 1999, due anni prima di morire, Indro Montanelli festeggiava i suoi 90 anni. Tanti vip e gente comune a Fucecchio per il compleanno di uno dei più grandi giornalisti italiani del dopoguerra. E tra questi l’avvocato Gianni Agnelli, il presidente della Rcs Rizzoli, Cesare Romiti, il presidente di Telemontecarlo, Biagio Agnes, gli scrittori Alain Elkann e Geno Pampaloni. In prima fila la segretaria di sempre, Iside Frigerio. Tantissimi i colleghi: Mario Cervi ed Enzo Bettiza (che con lui diedero vita al “Giornale”), Enzo Biagi, Paolo Mieli, Ferruccio De Bortoli, Gaetano Afeltra, Paolo Occhipinti e tanti altri ancora.
E’ il tempo dei bilanci, per chi ha iniziato nel 1937 la professione del giornalismo, durante la guerra civile spagnola, come corrispondente del “Messaggero”. Dopo oltre sessant’anni di lavoro, Montanelli è sempre in prima linea: stavolta si scaglia contro i giornalisti asserviti al potere, e ribadisce, ancora una volta, che l’unico giudice è il lettore, il pubblico. “E’ strumento del potere solo chi vuole diventare strumento del potere”, tuona Indro, rispondendo a una domanda sulle penne al servizio dei potenti: “Chi però non si mette a servizio della politica e dell’economia ha un potere maggiore, quello del pubblico”, avverte il fondatore del “Giornale nuovo”. “E chi si guadagna il credito e i «galloni» tra il lettori non potrà mai essere ridotto al servizio dei poteri forti”.
Poi è il momento dei ricordi. E in quella occasione, dopo il brindisi, per le novanta primavere, Montanelli ricorda un sogno ricorrente: “Ritorno alla mia vecchia casa sulla collina di Fucecchio. Mi apre un vecchio pieno di rughe. Lo guardo ed è uguale a me, sono io, soltanto molto più vecchio e mal ridotto in arnese. Mi chiede cosa voglio e poi mi scaccia”.
E’ il sogno dove il giornalista, che ha avuto “successo, donne, stima e notorietà”, torna a fare i conti con le proprie origini, quasi colpevole di “averle abbandonate” per una vita. Il suo alter ego lo avverte: “Tu te ne sei andato, qui sono rimasto io. E nella nostra villa io sono rimasto, questo è il nostro giardino dei ciliegi, invecchiato con me…”.
Montanelli “inconscio” ammette la propria responsabilità: “Io ho tradito il mio passato, non sono riuscito a difendere quel mondo, non ci sarei riuscito, ma dovevo restare nella casa dei ricordi, perché i ricordi sono importanti, e tanto più si invecchia, tanto più si ha bisogno dei ricordi…”.

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