BEIRUT (Libano) – Soldati e tank dell’esercito siriano sono entrati nella città di Beniyas, una delle roccaforti della protesta contro il governo di Damasco. Lo riferisce la Bbc, citando attivisti per i diritti umani. L’emittente britannica ha aggiunto di non poter avere conferma della notizia, dato che l’elettricità e tutte le comunicazioni con la città risultano interrotte.
L’agenzia di stampa Dpa, che cita attivisti, riferisce di tre donne uccise a colpi d’arma da fuoco dalle forze di sicurezza siriane. Altre cinque persone sono rimaste ferite. “Il regime di Bashar al-Assad ha preso di mira uomini e bambini. Ora anche le donne. Questo farà insorgere tutta la Siria”, hanno commentato dal Partito riformista siriano.
A quanto si apprende, le truppe sono entrate da tre punti diversi della città costiera e si sono dirette verso i quartieri sunniti dove più accesa è stata la protesta anti-regime, tralasciando quelli degli alawiti, la minoranza religiosa a cui appartiene il presidente Bashar al Assad. Secondo la tv al-Jazeera alcuni abitanti hanno formato “catene umane” per bloccare l’avanzata dei carri armati.
Sotto assedio anche il quartiere Bab Amr di Homs, città a nord della capitale dove si è concentrata la sanguinosa repressione del Venerdì della Sfida voluto dal fronte riformista, che in tutto il Paese ha provocato almeno 26 morti. Lo riferisce la tv al-Arabiya, che cita testimoni. L’emittente non fornisce al momento ulteriori dettagli sulla situazione in città.
Intanto la Casa Bianca ha espresso una “ferma condanna” nei confronti della Siria, minacciando “nuovi passi” contro il governo siriano se Damasco non cesserà la repressione contro i manifestanti. “Gli Stati Uniti ritengono che le deplorevoli azioni della Siria contro il suo popolo meritino una forte risposta internazionale”, recita un comunicato.
Gli Stati Uniti e i suoi partner internazionali, si afferma ancora, “adotteranno ulteriori passi per chiarire la nostra forte opposizione al trattamento del governo siriano contro il suo popolo” se Damasco non cesserà “l’uccisione dei manifestanti”. Dal canto suo Hillary Clinton ha detto di essere “profondamente turbata” dalle “uccisioni, dagli arresti e dalla persecuzione di manifestanti, attivisti e giornalisti”.
Secondo il Comitato siriano per i diritti umani in un suo ultimo rapporto, dall’inizio delle proteste antigovernative, esplose a metà marzo, i morti sono 827, mentre ottomila persone sarebbero state arrestate.
Il bilancio, aggiornato al 29 aprile, comprende sia i civili uccisi dalle forze di sicurezza, che i militari e gli agenti assassinati perché si sono rifiutati di sparare contro i manifestanti.
La maggior parte delle vittime della repressione delle proteste è stata uccisa a Daraa, la città “ribelle” del sud da giorni sotto assedio da parte delle forze di sicurezza siriane, nei villaggi nelle vicinanze di questa località e a Homs, città a nord della capitale Damasco.
Tra le vittime, secondo il Comitato siriano per i diritti umani, ci sono bambini, donne, anziani, medici e personale paramedico, ma anche molte persone morte sotto tortura. Alcuni siriani, si legge, sono stati uccisi negli ospedali dove erano stati ricoverati perche’ feriti nella repressione delle proteste. L’organizzazione denuncia, inoltre, di avere conferma della cattura di 2.834 persone di cui 891 sono abitanti di Daraa. (Aki).
I carri armati dell’esercito entrano nella città di Beniyas: “catene umane” per fermarli