Le sorprendenti confessioni di un ottuagenario che si proclama giornalista-artigiano

Il Sindacato come approdo

Toc toc, qualcuno bussa alla porta del civico 28 della Via Biagio Camagna, dove ha la sua sede il Sindacato Giornalisti della Calabria. Il “qualcuno” è un giornalista che chiede di essere ammesso tra gli iscritti delle ultime leve. Tutto bene, ma dove sta la notizia? La notizia sta nel fatto che il nuovo arrivato ha superato abbondantemente gli ottanta anni. Difficile che questo sia mai accaduto in Calabria, forse in tutta Italia. Un primato da Guiness, che richiede qualche spiegazione.

Antonio La Tella

Tenterò di darla in prima persona, per essere proprio io l’entry level che ha scoperto in età matura il valore ed il ruolo del sindacato. Sono costretto a prenderla alla larga. Mi sono trovato alle prese con un mestiere così affascinante, ma anche così difficile, in anni in cui a Reggio e nel resto della Calabria non si sapeva che cosa fosse un sindacato di categoria e, meno che meno, un contratto di lavoro. Esistevano solo i compensi. Nei casi più disperati, una specie di retribuzione a rigaggio, computato sul singolo articolo pubblicato. Gli editori tiravano per i servizi brevi, sempre più brevi, i direttori facevano del loro meglio per servirli, assai spesso a scapito della corretta interpretazione del testo, nel suo complesso.

Non è un caso che i giornalisti, anche quelli più in vista, avessero un altro lavoro, tranne Rodolfo Giarrizzo, a Reggio, con il suo Eco del Commercio ed i fratelli Caputo, a Cosenza, con la loro Cronaca di Calabria. Mi salvavo io che, accreditato dal mio primo impegno al servizio dell’Amgot, ero passato da un ufficio stampa all’altro. Avrei dovuto penare non poco in anni meno remoti per ottenere il sospirato contratto dal mio editore romano

Sintomatico è il fatto che due dei quotidiani stampati a Reggio, il primo negli anni del fascismo, l’altro nell’immediato dopoguerra, siano stati finanziati e diretti da due banchieri. Una cosa oggi inimmaginabile. Allora accadeva. Si favoleggiava quaggiù della condizione privilegiata nella quale si trovavano ad operare i giornalisti di Napoli, Bari e Palermo. Quelli di Messina se la passavano così così. La Calabria era per tutti colonia ed i corrispondenti locali ascari senza diritti.

Bisogna dire che all’interno di una situazione così sciagurata si affermavano tra di noi valori di cultura degni di rispetto. C’era passione, sacrificio senza risparmio, una grande tensione morale. Le veline erano generalmente viste con disprezzo. Penso con tristezza al grande uso che si fa oggi dei comunicati diffusi da uffici stampa dislocati senza risparmio di denaro, a destra ed a manca, dai detentori del potere.

Diciamola tutta: noi della vecchia generazione eravamo totalmente privi di una coscienza sindacale. C’era il senso del rispetto personale, mancava invece la solidarietà di gruppo. Ognuno faceva per sé. E questo non era certo un bene. Sono rimasto lontano dal sindacato per un tempo lunghissimo per un’altra ragione assolutamente personale che tenterò di chiarire alla men peggio..

L’idea che io avevo del giornalismo era assai diversa da quella che ne hanno i giovani d’oggi. Non consideravo – ed ancora oggi considero con fatica – quella del giornalista una professione. A mio giudizio noi eravamo (siamo) chiamati e svolgere un lavoro assimilabile a quello di un artigianato di qualità, ma pur sempre artigianato. Con tutte le sue implicazioni. Eravamo (siamo) tenuti a stare in bottega, laboriosi e creativi ma lontani da ogni idea di aggregazione sociale. Dobbiamo ripeterci? Ognuno per sé. Quanto all’ipotesi sindacato, essa era vista come lontana, inafferrabile, persino inutile, sullo sfondo di ben altre urgenze. E’ solo al termine di un così tormentato percorso che il sindacato mi appare oggidì per quello che è: un approdo.

Resistono ad onta del tempo trascorso alcune di quelle idee di fondo e di quei pregiudizi tutti da rifiutare, ma devo confessare che quando ho visto Carlo Parisi al lavoro sono stato indotto a più d’una riflessione.

Nel giornalismo attivo Parisi ha recato una nota di vitale anticonformismo, anzi di libertà, negando l’assuefazione al peggio come regola di vita. E tuttavia, giunto al sindacato, ha saputo aprirsi agli altri con generosità e non poco coraggio, modulando i suoi interventi in modo costruttivo, mostrando pazienza e, quando necessario, grande prudenza. Sempre con l’obiettivo di giovare alla causa.

Ecco, Parisi è un segretario che si fa stimare per le doti straordinarie che egli mostra nel governo delle cose. Dargli sostegno nel difficile impegno che si è assunto non è una opzione; è un dovere per quanti sanno tenere la penna in mano; e persino per quei pochi (?) che la tengono con qualche difficoltà. Chi scrive questa nota può metterci solo la sua chiacchiera, forse fuori tempo. Che però è sincera e convinta. Vita lunga al nostro sindacato.

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