
Mitici: Lorenzo Del Boca e Angelo Moia al Gran San Bernardo dopo 37 giorni di marcia
GRAN SAN BERNARDO – Giù dal massiccio del Giura. Due giorni sui bordi del lago Leman da Losanna a Villeneuve. Su per i contrafforti delle Alpi, verso l’Italia. Lorenzo Del Boca, tre volte presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, dopo esserlo stato della Fnsi, oggi nel Cda del Salone del libro di Torino, e il suo compagno d’avventura, il dirigente industriale Angelo Moia sono arrivati in cima al Gran San Bernardo.
Si sono consentiti di fare in una sola tappa – da Orsieres all’ospizio dei frati Agostoniani – il percorso che, normalmente, le tabelle di viaggio dividono in due. Erano partiti l’11 luglio, da Torino in aereo, per raggiungere l’Inghilterra e, dal giorno dopo, hanno incominciato a camminare. 37 giorni di marcia, due giorni di sosta a Reims e Besancon, 1024 chilometri percorsi attraversando l’Europa e scavalcando quattro frontiere.
Per i pellegrini non conta arrivare primi o ultimi. Non ci sono medaglie da vincere né sconfitte da cancellare. E, tuttavia, Lorenzo e Angelo, una piccola impresa l’hanno segnata.
La Via Francigena non si ferma al Gran San Bernardo, che rappresenta poco più della metà del percorso. Il cammino continuerebbe per Roma per altri 900 chilometri, ma per Lorenzo e Angelo, per il momento, il viaggio finisce qui. Tornano a casa con uno zaino di ricordi, 2000 fotografie, suggestioni e sensazioni che, il più delle volte, le parole non sono in grado di esprimere.
Immagini di un viaggio prese a caso? Le aquile di Roma e quelle di Napoleone, che, come il nostro Garibaldi, “è stato qui”. La casa di Arras dove è nato Robespierre e quella di Besancon dove sono cresciuti i fratelli Lumiere. Il paese di Guinegatte dove Baiardo è stato fatto prigioniero, ma liberato senza riscatto, e le trincee della prima guerra mondiale che hanno sterminato tre generazioni di ragazzi. Nelle chiese si venerano dei santi sconosciuti, come San Mammes a Langres, San Marcou a Corbeny, San Vaast tra Arras e Reims, Saint Omer nel Pas de Calais sulla tomba del quale i marciatori portano le loro scarpe.
Indimenticabili le persone che, ai pellegrini, hanno aperto le porte di casa. Zudausques, per come si scrive e si legge, sembrerebbe un villaggio sperso negli Urali, mentre si trova appena sotto la Manica. Qui i coniugi Marcotte hanno invitato Lorenzo e Angelo alla loro tavola, hanno lavato loro i panni e hanno stappato la bottiglia migliore.
A Trepail, Viviane Jacqueminet ha rinfrescato l’acqua dei due pellegrini prendendo i cubetti di ghiaccio con le mani, come si potrebbe fare solamente con dei nipoti in grande confidenza. Il sindaco di Corbeil ha messo a disposizione una stanza del municipio in modo che, tra i tavoli da ping-pong e le scrivanie dell’anagrafe, si potessero sistemare due brandine per dormire. Ha portato personalmente la cena (precotta) e ha voluto firmare il loro diario di viaggio.
Ma la palma d’oro dell’ospitalità tocca a madame Songy di Coole che, ai pellegrini, consegna direttamente le chiavi di casa propria. Quando Lorenzo e Angelo sono si sono presentati era previsto l’arrivo di altri tre pellegrini in bicicletta. Sembrerebbe impossibile accogliere cinque ospiti in una casa normale. Madame Songy, con naturalezza senza affettazione, ha accettato di trasformare la sua casa in un refettorio (prima) e in un dormitorio (poi). La ricchezza dei sentimenti che si acquisiscono strada facendo, valgono 1000 chilometri a piedi?