
Alessandro Bozzo
RENDE (Cosenza) – Se volevi inimicarti Alessandro bastava poco, pochissimo. Ad esempio bastava chiamarlo “Alex”, con la x finale. Una troncatura del suo nome che non sopportava perché quelle quattro lettere gli ricordavano sempre Alessandro Del Piero, il calciatore juventino, e per lui che era tifoso della Fiorentina non era proprio accettabile questa cosa. S’era innamorato della Viola quando era ragazzo e se tu gli chiedevi se alla base di quella scelta ci fosse l’ascesa di Roberto Baggio, lui ti spiegava che la folgorazione sulla via gigliata era arrivata grazie ad Antognoni.
Alessandro è sempre stato così: pieno di storie da raccontarti. Alcune allucinanti, al limite del vero ma molte lo erano. Altre erano, invece, palesemente inventate, ma te le raccontava così bene che ci credevi ed eri costretto a chiedergli «Ma stai scherzando o dici davvero?». Lui se la ghignava e poi ti diceva: «E che ti sto scherzando», volutamente sgrammaticato, “ara cusentina” insomma anche se lui era orgogliosamente di Donnici. Alla fine delle sue storie (credo di essere stato fra le sue “vittime” preferite), gli dicevo sempre che avrebbe dovuto scrivere un libro e chiamarlo con un nome che richiamasse qualcosa tipo “Fottute storie” o “Fatterelli allucinanti”.
Spesso diceva che avrebbe voluto scrivere un libro che come protagonista avesse un giornalista e che il titolo sarebbe potuto essere “Diario di un cronista di provincia”. Ale ha scelto di lasciarci un anno fa e se stessimo qui a scrivere del dolore che ci ha provocato ci definirebbe dei «bamboccioni» oppure dei «frignoni» ma se proprio era in vena ti beccavi un «sei un palle mosce» come niente.
Da quando è andato via Alessandro lo ritroviamo in milioni di cose della nostra quotidianità perché la redazione di un giornale diventa il luogo dove passi più tempo che a casa tua. Ritroviamo Alessandro nel suono delle sue parole e in quelle dello scrittore Irvine Welsh, uno dei suoi autori preferiti. Parole dure e metropolitane che nascondono una profondità enorme come la sua.
Animale, di razza, da strada e da redazione Ale riusciva a trovare una notizia in tutto. Per quanto possa apparire banale e ridondante dire questa cosa posso assicurare che era esattamente così. Quando cercava di capire e carpire qualcosa si toccava una ciocca di capelli dietro la nuca. Faceva spesso così quando stava al telefono. Lì tu capivi che Bozzo aveva trovato una notizia. Guai a quell’interlocutore che gli diceva di non scrivere le informazioni che aveva appena ricevuto perché la risposta era sempre la stessa «Come fai a dirmi questa cosa, stai parlando con un giornalista».
Ecco Alessandro era un ottimo giornalista proprio perché non ostentava il suo essere giornalista. Fatti, non stronzate per dirla come lui e come Welsh. Spesso raccontava di quando aveva effettuato il servizio militare nei vigili del fuoco. Quando ne parlava era sempre, ovviamente, pieno di aneddoti e le cose che raccontava lo rendevano felice. Si vedeva chiaramente. Ma il fuoco che aveva dentro, quello della scrittura, era così grande che nessun pompiere avrebbe mai potuto spegnere ed ecco perché Alessandro era un giornalista.
Mosse i primi passi in un’emittente televisiva cittadina ma niente di che perché a lui piaceva scrivere. Quando lavorò alla Provincia cosentina era diventato un caso editoriale. Per strappare il praticantato (guadagnato con le unghie e con i denti), venne mandato a Castrovillari. Lì riuscì a “stravolgere” quel luogo, soprattutto quando scriveva di politica dove era temuto e ammirato, tanto da far schizzare le copie vendute a cifre mai viste prima.
A Calabria Ora fu, per molti di noi, un punto di riferimento all’inizio della carriera in redazione. Ti spiegava le cose, ti correggeva senza imporsi come maestro. «Stai a sentire tuo fratello, fai così…» e partiva la spiegazione. Ti insegnava che se un collega ti chiede una cortesia tu lo devi aiutare anche se non ti è simpatico perché «al collega lo devi aiutare sempre a prescindere».
Alessandro era anche uno stronzo e gli piaceva esserlo e se non hai pensato almeno una volta che lo fosse allora non gli hai mai voluto bene. Ti punzecchiava fino a farti saltare i nervi, sapeva esattamente dove colpire i tuoi punti deboli, soprattutto se aveva davanti un permaloso. Se gli rispondevi a tono per tenergli testa o ti beccavi ulteriori sfottò o, se lo avevi colpito, un po’ di silenzio e freddezza per qualche tempo.
Oggi alle 15.30 una Messa, nella chiesa di Santa Maria, lo ricorderà nella sua amata Donnici; alle 18 si terrà in un incontro voluto dalla famiglia e dal Coordinamento Libera Cosenza, “100 passi verso il 21 marzo “Sacro fuoco” – Una riflessione sulla libertà di stampa. In memoria di Alessandro Bozzo”, al Teatro dell’Acquario dove verrà presentato anche un libro che racchiude i contributi di molti giornalisti. Su Ale si potrebbero scrivere tantissime altre cose ma conviene fermarsi qui. Ci direbbe che siamo dei «frignoni» con tutte queste “manfrine” che lo riguardano. (l’Ora della Calabria)
Ogni tanto fatti vedere. Voglio chiederti come stai

Alessandro Bozzo
RENDE (Cosenza) – Ogni tanto fatti vedere. Voglio chiederti come stai, voglio vederti. Voglio solo sapere come te la passi. Finché mi ricordo della tua camminata andrà tutto bene, perché a volte le cose tendono a sbiadire io, invece, la tua faccia ce l’ho ancora qui davanti agli occhi, nitida, chiarissima. E anche la voce, la voce è una di quelle cose che la testa sostituisce con il pensiero e invece la tua, se mi concentro davvero, la sento qui vicinissima.
Un po’ ti odio, non in quel modo pessimo con cui poi alla fine non ti parli più con qualcuno chissà perché, io ti odio perché quelle foto orribili non le hai mai cancellate. Lo so, figurati. L’avevi promesso e non l’hai fatto. E perché quella volta mi hai detto: «Ma smettila di scrivere belle cose senza notizia» e io ero appena arrivata e sono arrossita di umiliazione, e quell’altra volta hai gridato: «Sbruff hai massacrato quella vecchietta perché era più bella di te».
Eri più simpatico prima che smettessi di fumare, da quando hai smesso sei diventato insopportabile, e non me lo sono dimenticato quando mi hai dato del barilotto, ma va bene perché l’hai fatto per farmi ridere e ai bambini ridere fa bene, hai aggiunto poi. Certe volte ce la siamo passata male. Così male che non si scherzava più sul culone di quella o di quell’altra.
Entravi per andare dritto al televisore, masticavi qualche parola tra i denti e te ne tornavi a posto con le chiavi della macchina che tintinnavano attaccate alla catenella nei jeans. Ti avevo detto di non fare quel titolo al mio pezzo e tu niente, cocciuto fino alla fine. Cocciuto Alessà, ecco quello che sei. Un cavolo di testardo con un sacco di cose strane da raccontare. In riunione io disegnavo profili e tu coltelli. Ma che diamine.
Non è che alla fine uno prende e se ne va e lascia tutti questi brandelli da ricomporre per scrivere una cosa per te. Io su di te non voglio scrivere. Perché poi resta il ricordo e il ricordo finisce per essere tutto quello che ci resta. E non voglio che succeda. Ti odio perché non mi hai salutato. Mi ricordo solo che eri di spalle a scrivere. Forse ho detto «ciao». Magari l’ho detto, ma non ricordo se ti sei voltato. (l’Ora della Calabria)