

In primo grado il tribunale di Bologna – all’epoca dell’articolo ritenuto lesivo della sua onorabilità il Pm in questione era sostituto procuratore proprio presso il tribunale felsineo – aveva accolto la richiesta di un risarcimento. In appello, invece, con sentenza del 2008, i magistrati avevano ritenuto che gli articoli pubblicati nel 1997, su questa vicenda del commercio di olio in Procura, “si fossero limitati a chiarire quanto esattamente accaduto, e cioè che Antonio G. aveva in realtà venduto alcune lattine di olio, proveniente da un’azienda gestita dai suoi familiari, all’interno del suo ufficio, e per questo aveva ricevuto una lettera di richiamo”.
Adesso anche la Suprema Corte ha condiviso il no al risarcimento dopo aver esaminato le carte processuali dalle quali è emerso come “provato il fatto sul piano storico alla luce” degli elementi acquisiti nel processo. Antonio G. oltre a vedersi respinto il ricorso è stato condannato anche a pagare 3.200 euro per le spese di giustizia (sentenza 19805 della Terza Sezione Civile in tema di diffamazione).
Adesso anche la Suprema Corte ha condiviso il no al risarcimento dopo aver esaminato le carte processuali dalle quali è emerso come “provato il fatto sul piano storico alla luce” degli elementi acquisiti nel processo. Antonio G. oltre a vedersi respinto il ricorso è stato condannato anche a pagare 3.200 euro per le spese di giustizia (sentenza 19805 della Terza Sezione Civile in tema di diffamazione).
Sui giornali leggiamo i nomi (e cognomi) di tutti. Per quale ragione il pm di Bologna è solo, pudicamente, Antonio G.?