
Marshall McLuhan
Daniela Giammusso
ROMA – Il mezzo, o, come lo definiva McLuhan, il “medium”, è alla base della crisi della carta stampata? Davvero internet e la multimedialità uccideranno i giornali? Editori e giornalisti si sono messi a confronto nel convegno che l’Università La Sapienza, insieme a Osservatorio TuttiMedia – Media Duemila, ha dedicato ieri a Marshall McLuhan (1911-1980), il sociologo canadese che per primo parlò di “villaggio globale” e di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, festeggiato, solo in Italia, da 250 conferenze.
Un’intensa giornata, intitolata “McLuhan: Tracce del futuro – The future of the future is the present”, aperta dall’ambasciatore canadese S.E. James A. Fox e guidata dal sociologo Derrick de Kerckove, che in varie declinazioni ha illustrato la lungimiranza delle dieci predizioni formulate da McLuhan nel ‘62, dalle applicazioni bio-mediche raccontate dallo psichiatra della Columbia University Norman Doidge all’importanza di internet in eventi come le rivolte del nord Africa o l’elezione del presidente Obama ricordati dal professor Abdullah Alrefaee dell’Università dell’Arabia Saudita.
Momento focale, i sei Atelier di Intelligenza Connettiva, dibattiti aperti che, come la rete prevista da McLuhan, mettessero in connessione temi, voci e soluzioni. Ad animare l’Atelier sull’editoria, il tema della multimedialità. “L’editoria oggi è sinonimo di crisi”, ha esordito Giulio Anselmi, presidente dell’Ansa.
“Ma in realtà – ha aggiunto – alla caduta delle copie cartacee dei giornali, -25% in 10 anni, corrisponde una tenuta su internet. Molti pensano che la mutimedialità possa risolvere tutti i problemi e non c’é grande gruppo editoriale che non sia stia impegnando su questo fronte. Il problema centrale, però, oggi è innanzitutto la qualità”.
In uno scenario, in alcuni casi, all’impasse, tra editori “capaci solo di tagliare” e giornalisti “abbarbicati sulle loro posizioni” per capire se fosse il caso di “accettare o meno la multimedialità”, per Anselmi la conoscenza delle nuove tecnologie è ormai la dotazione indispensabile di un giornalista. “Ma – sottolinea – la macchina è la macchina. A fare la differenza è l’intelligenza della persona. Il cervello, per cominciare”.
Fino a quando “l’informazione sarà poco attraente, autoreferenziale o si limiterà a uno scambio tra poteri, sarà destinata alla crisi. Non è vero che la carta stampata è stata uccisa da internet, é stata vittima di un suicidio” con atteggiamenti “cerchiobottisti” in cui “si è utilizzato strumentalmente persino l’infoteinment per non dare l’informazione. C’é un problema alla base che è di gran lunga più importante del dibattito «carta o internet»”.
A scommettere tutto sulla multimedialità e sullo sfruttamento incrociato di media diversi nel recupero pubblicitario è Paolo Liguori, direttore del Tgcom, per il quale “le nuove generazioni di giornalisti sono dei «McLuhan naturali», ma senza nessuno che insegni loro come maneggiare i contenuti”.
Di parere contrario Enrico Pedemonte, a lungo corrispondente per L’Espresso da New York, che citando il caso americano (“dove persino il New York Times non riesce a fare soldi con i filmati che pubblica”) rilancia l’idea del data-journalism, delle newsletter e delle inchieste regionali.
“Il problema non è essere disponibili al cambiamento”, conclude Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa. “Se gli editori accoglieranno la sfida della multi-piattaforma con più coraggio” e investendo “su un’informazione professionale, con un contenuto etico, identitario e coerente, potranno ottenere che i giornalisti non si fermino a discutere su cosa spetti loro in più”.
Un’intensa giornata, intitolata “McLuhan: Tracce del futuro – The future of the future is the present”, aperta dall’ambasciatore canadese S.E. James A. Fox e guidata dal sociologo Derrick de Kerckove, che in varie declinazioni ha illustrato la lungimiranza delle dieci predizioni formulate da McLuhan nel ‘62, dalle applicazioni bio-mediche raccontate dallo psichiatra della Columbia University Norman Doidge all’importanza di internet in eventi come le rivolte del nord Africa o l’elezione del presidente Obama ricordati dal professor Abdullah Alrefaee dell’Università dell’Arabia Saudita.
Momento focale, i sei Atelier di Intelligenza Connettiva, dibattiti aperti che, come la rete prevista da McLuhan, mettessero in connessione temi, voci e soluzioni. Ad animare l’Atelier sull’editoria, il tema della multimedialità. “L’editoria oggi è sinonimo di crisi”, ha esordito Giulio Anselmi, presidente dell’Ansa.
“Ma in realtà – ha aggiunto – alla caduta delle copie cartacee dei giornali, -25% in 10 anni, corrisponde una tenuta su internet. Molti pensano che la mutimedialità possa risolvere tutti i problemi e non c’é grande gruppo editoriale che non sia stia impegnando su questo fronte. Il problema centrale, però, oggi è innanzitutto la qualità”.
In uno scenario, in alcuni casi, all’impasse, tra editori “capaci solo di tagliare” e giornalisti “abbarbicati sulle loro posizioni” per capire se fosse il caso di “accettare o meno la multimedialità”, per Anselmi la conoscenza delle nuove tecnologie è ormai la dotazione indispensabile di un giornalista. “Ma – sottolinea – la macchina è la macchina. A fare la differenza è l’intelligenza della persona. Il cervello, per cominciare”.
Fino a quando “l’informazione sarà poco attraente, autoreferenziale o si limiterà a uno scambio tra poteri, sarà destinata alla crisi. Non è vero che la carta stampata è stata uccisa da internet, é stata vittima di un suicidio” con atteggiamenti “cerchiobottisti” in cui “si è utilizzato strumentalmente persino l’infoteinment per non dare l’informazione. C’é un problema alla base che è di gran lunga più importante del dibattito «carta o internet»”.
A scommettere tutto sulla multimedialità e sullo sfruttamento incrociato di media diversi nel recupero pubblicitario è Paolo Liguori, direttore del Tgcom, per il quale “le nuove generazioni di giornalisti sono dei «McLuhan naturali», ma senza nessuno che insegni loro come maneggiare i contenuti”.
Di parere contrario Enrico Pedemonte, a lungo corrispondente per L’Espresso da New York, che citando il caso americano (“dove persino il New York Times non riesce a fare soldi con i filmati che pubblica”) rilancia l’idea del data-journalism, delle newsletter e delle inchieste regionali.
“Il problema non è essere disponibili al cambiamento”, conclude Franco Siddi, segretario della Federazione Nazionale della Stampa. “Se gli editori accoglieranno la sfida della multi-piattaforma con più coraggio” e investendo “su un’informazione professionale, con un contenuto etico, identitario e coerente, potranno ottenere che i giornalisti non si fermino a discutere su cosa spetti loro in più”.