Il giudice può condannare chi avvia cause con richieste di risarcimento immotivate

Giornalisti: basta con le querele pretestuose

MILANO – I giornalisti possono difendersi di fronte alle sempre più numerose cause pretestuose e intimidatorie con cui vengono rivendicati senza motivo ingenti risarcimenti danni.
Lo ha spiegato il giudice Roberto Bichi, presidente della prima sezione del Tribunale Civile di Milano, nel corso di un convegno al Circolo della Stampa di Milano, sul tema “Che fare se una querela blocca un’inchiesta?” (promosso dall’Associazione Lombarda dei Giornalisti, dall’Associazione Culturale Balrog, con la collaborazione dell’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione e di Stampa Democratica), annunciando che è maturato in seno alla magistratura l’orientamento di sanzionare chi ha presentato una richiesta pretestuosa, applicando una recente norma di carattere innovativo inserita nel 2009 nel Codice di Procedura Civile, quella dell’art.96, secondo comma.
Essa stabilisce che, al momento di pronunciarsi su chi deve pagare le spese di giudizio, il giudice può condannare, anche d’ufficio, la parte soccombente a pagare alla controparte “una somma equitativamente determinata”. Il dottor Bichi ha sottolineato che si tratta di una innovazione importante, che ha suscitato discussioni, obiezioni, proteste e ricorsi.
Ma, ormai, la norma è pacificamente applicabile in base a una sentenza emessa nel 2010 dalla Corte di Cassazione. Detta sentenza ha riconosciuto che la somma equitativamente determinata va al di là del concetto di risarcimento del danno subito (che in quanto tale dovrebbe essere comprovato, e ciò di solito è molto difficile per un giornale e per un giornalista nella situazione di cui stiamo parlando) e assume invece un carattere di “risarcimento sanzionatorio” nei confronti di chi ha abusato del diritto costituzionale di rivolgersi a un giudice per chiedere la riparazione di un torto presunto.
Il pagamento della somma equitativa, ha spiegato il giudice milanese, ha lo scopo “di evitare l’abuso del diritto processuale, si muove quindi anche a tutela della giurisdizione, vuole in qualche modo sanzionare chi ha provocato ingiustamente la sofferenza derivante dalla pendenza di un procedimento giudiziario”.
Il Tribunale Civile di Milano è orientato ad applicare questa norma. Ma in che misura? Il legislatore non ha stabilito in alcun modo la misura del risarcimento sanzionatorio. Ha lasciato al giudice la più assoluta discrezionalità. I giudici della prima sezione civile si sono posti perciò posti il problema di individuare i limiti di una giusta quantificazione. “Ci siamo riuniti e dopo un primo esame – ha detto il dottor Bichi – è prevalso l’orientamento di applicare il risarcimento sanzionatorio fino a una somma non superiore a un terzo del risarcimento che era stato chiesto ed è stato rigettato”. In parole più semplici, chi ha chiesto centomila euro di risarcimento, se il giudice accerta che lo ha fatto pretestuosamente, o immotivatamente, potrà vedersi condannato a versare fino a 33.000 euro al giornalista querelato.
L’orientamento della Cassazione è importante per arginare il malcostume che si sta diffondendo: richieste di danni vengono proposte sempre più spesso in modo immotivato e pretestuoso, ad esempio definendo notizie giornalistiche false quelle che invece sono vere, anche se il querelante è consapevole che il giornalista ha riferito circostanze vere, oppure contestando opinioni critiche come se la loro espressione non fosse connessa all’esercizio della cronaca. Si agisce così perché con la pura e semplice citazione per danni si può condizionare pesantemente un giornale, si può bloccare a lungo la pubblicazione di una certa notizia e di altre collegate, si esercita un effetto intimidatorio sull’attività del giornale e del giornalista.

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